L’AFFARE SPAMPANATO TRIPOLI

Cap 11: E SCOPRE QUALCOSA

Salirono su per due rampe di scale buie e fredde. La porta dell’appartamento era semiaperta e dietro si intravedeva una figura.

-Desiderano?- La voce era sottile ma sicura.

-La Signora Rosa Minetti?- disse Peo cercando di assumere un tono tranquillizzante- Mi chiamo Traverso e vengo da Genova per via di una pratica pensionistica del Sig. Tripoli.

La porta si aprì. Entrati nella stanza d’ingresso, furono accolti da un gradevole tepore. Anche l’ambiente era illuminato in modo adeguato, e la casa sembrava, a prima vista, ben tenuta. La Sig.ra Minetti si era portata al centro della stanza e li guardava con aria apprensiva, ma non appariva sorpresa, come se la visita non le fosse giunta inaspettata.

Peo presentò la Nina e cominciò a spiegarsi.

-Sa signora, siamo venuti ieri in gita alla Cappelletta e, visto che mi sto curando di questa pratica per il Sig. Tripoli, che mi sembra sia il suo ex marito –dico bene?- e che ho qualche difficoltà a ricostruire la situazione contributiva, ho pensato di allungare di un giorno la vacanza e di venirLa a trovare…

La Minetti lo stava a guardare con aria tra lo stupito e il sospettoso, senza aprire bocca. Si limitò a fare un cenno verso l’interno dell’appartamento:

-Vengano di là, che stiamo più comodi…

Entrarono in una saletta che doveva fungere da soggiorno e da sala da pranzo per quando c’erano ospiti. Era arredata con mobili scuri, di legno massiccio, evidentemente risalenti a prima della guerra. Sotto il tavolo era steso un tappeto che Peo non seppe giudicare. Per lui poteva essere artigianato sardo piuttosto che persiano, o magari era stato comprato sulle bancarelle del mercato del paese. Anche i quadri alle pareti sfuggivano al suo giudizio. Non aveva mai capito molto di queste cose: poteva solo rendersi conto che la casa era tenuta come si deve e con un certo amore. Quanto al valore degli arredi rinunciava a pronunciarsi, anche se palesemente il contesto non era quello di una famiglia particolarmente ricca.

La Minetti si sedette ad un capo del tavolo e fece loro segno di accomodarsi di fronte a lei. Era una donna minuta, sulla cinquantina, con il viso segnato ma solido, dal quale due occhi scuri e decisi puntavano l’ospite.

-Allora, che cosa vuole da me?

Peo rimase un po’ interdetto per il piglio aggressivo dell’interlocutrice.

-Mi perdoni. La Sig.ra Spampanato, attuale coniuge del Sig. Tripoli, mi ha incaricato di ricostruirne la carriera sotto il profilo contributivo, in quanto ritiene che la pensione non gli venga corrisposta nella misura dovuta. Io, nell’effettuare le indagini, ho trovato il Suo nome, ma ho qualche difficoltà a capire esattamente come si siano intrecciate le vostre relazioni. Le aggiungo che non è escluso che, alla morte del Sig. Tripoli, che, per inciso, è gravemente malato, una parte di questa pensione spetti a Lei.

-E Lei se ne viene qua a chiedermi della mia vita e di quella di Mino? Perché non ci ha chiesto a lui? E perché non se l’è fatta raccontare da quell’altra bagascia? Si aspetta che io ci creda che è qua per sapere da me della pensione di mio marito?

Peo si accorse in quel momento che, trascinato dagli eventi, dalla curiosità e dall’antipatia per la Spampanato, aveva commesso un passo falso. In effetti, la visita alla Minetti, che aveva evidentemente interessi contrastanti con quelli della sua cliente, non era proprio un capolavoro di deontologia professionale. D’altra parte, ora che era in gioco tanto valeva giocare. Tentò la carta della sincerità.

-La verità signora, che Lei mi creda o no, è che la Spampanato mi ha taciuto un bel po’ di informazioni, che ho trovato cammin facendo, e che Suo marito –anzi, il Suo ex marito- non è in grado di comunicare, a causa di un ictus che lo ha colpito abbastanza di recente.

La donna si piegò in avanti, come se avesse ricevuto un colpo allo stomaco.

-Un ictus?! Povio Mino… pensare che l’ultima volta… – e qui si morse le labbra e tacque.

Dunque esistevano ancora rapporti tra loro, pensò Peo. Tentò di insistere ancora.

-Mi sembra di capire che i rapporti tra di voi non erano cessati. Devo aggiungere, Signora, che personalmente non intendo agire a danno dei diritti di nessuno. Se risulterà che la pensione deve essere adeguata me ne occuperò senz’altro, ma segnalerò alla mia cliente che, nel caso di premorienza del Sig. Tripoli, anche Lei ha i suoi diritti.

La donna si scosse. Si alzò in piedi lentamente e gli disse:

-Venga a vedere.

Si spostò verso una porta in fondo alla stanza e la aprì con cautela. Poi fece cenno a Peo di avvicinarsi. Nella penombra si scorgeva la figura di un uomo, sprofondato in una poltrona, circondato da un impianto di video e computers dell’ultima generazione. Su alcuni video si intrecciavano immagini in movimento, mentre su altri si distinguevano simboli che per Peo risultavano del tutto incomprensibili. Dalle casse usciva una musica strana, non priva di fascino.

La donna richiuse la porta.

-E’ mio figlio. L’ho avuto da una relazione. Per questo abbiamo divorziato. Verso gli otto anni ha cominciato a essere strano. Il dottore ha detto schizofrenia. Dice che ormai è a uno stadio di autismo quasi totale.

-E lo tiene chiuso in casa?

-Finché ho potuto ho cercato di farci fare una vita quasi normale. Ora però è diventato difficile farlo muovere. Io cerco sempre di portarlo a pigliare un po’ d’aria, come mi ha detto il dottore, ma tante volte lui non ne ha proprio voglia. Prima o poi dovrò metterlo in un istituto, ma voglio farlo il più tardi possibile, e del resto non so neanche da che parte cominciare…

La donna evidentemente aveva deciso di fidarsi e scaricava sugli ospiti una parte del suo peso.

-Mino aveva saputo di questo guaio e cercava di darmi una mano, come poteva. Sa, quell’arpia di sua moglie avrebbe voluto che lui non mi sentisse più, ma lui era una brava persona e anche se c’avevo fatto quel torto mi voleva bene e mi compativa…

Tirò fuori dalla manica un fazzoletto e si soffiò il naso. Nina la guardava con evidente simpatia.

-Saranno dieci mesi fa, mi è venuto a trovare. Mi ha detto che aveva avuto un colpo di fortuna, che c’era stato un pasticcio che non ho capito bene con l’INAIL e che gli avevano dato dei soldi che non si aspettava. Così ha voluto comprare tutto quell’ambaradan che c’è di là per Andrea, o mè figgieu. Sa, lui era diventato una specie di maniaco dei videogiochi. Al principio cercavo di staccarlo, ma poi il dottore mi ha detto che tanto valeva lasciarlo fare… Quando siete arrivati mi credevo che era per quei soldi lì…

-Tombola- pensò Peo- Ecco dove erano finiti i soldi che la Spampanato stava cercando…

-Non si preoccupi, Signora. Non siamo dell’INAIL e questa storia non ci interessa più che tanto. Piuttosto mi racconti qualcosa del lavoro di Suo marito finché stavate insieme, e mi faccia vedere, se vuole, se ha dei documenti di quel periodo e magari una copia della sentenza di divorzio…

Non ne uscì fuori nulla di particolarmente interessante. Dopo un’oretta Nina e Peo lasciarono la casa della Minetti portandosi dietro un senso di pena che l’aria fresca del pomeriggio non dissipò del tutto. Se ne stettero taciturni per tutto il tempo del viaggio di ritorno e si lasciarono con la promessa di risentirsi presto, ma nessuno dei due parlò più di revivals…

E SCOPRE QUALCOSA

Salirono su per due rampe di scale buie e fredde. La porta dell’appartamento era semiaperta e dietro si intravedeva una figura.

-Desiderano?- La voce era sottile ma sicura.

-La Signora Rosa Minetti?- disse Peo cercando di assumere un tono tranquillizzante- Mi chiamo Traverso e vengo da Genova per via di una pratica pensionistica del Sig. Tripoli.

La porta si aprì. Entrati nella stanza d’ingresso, furono accolti da un gradevole tepore. Anche l’ambiente era illuminato in modo adeguato, e la casa sembrava, a prima vista, ben tenuta. La Sig.ra Minetti si era portata al centro della stanza e li guardava con aria apprensiva, ma non appariva sorpresa, come se la visita non le fosse giunta inaspettata.

Peo presentò la Nina e cominciò a spiegarsi.

-Sa signora, siamo venuti ieri in gita alla Cappelletta e, visto che mi sto curando di questa pratica per il Sig. Tripoli, che mi sembra sia il suo ex marito –dico bene?- e che ho qualche difficoltà a ricostruire la situazione contributiva, ho pensato di allungare di un giorno la vacanza e di venirLa a trovare…

La Minetti lo stava a guardare con aria tra lo stupito e il sospettoso, senza aprire bocca. Si limitò a fare un cenno verso l’interno dell’appartamento:

-Vengano di là, che stiamo più comodi…

Entrarono in una saletta che doveva fungere da soggiorno e da sala da pranzo per quando c’erano ospiti. Era arredata con mobili scuri, di legno massiccio, evidentemente risalenti a prima della guerra. Sotto il tavolo era steso un tappeto che Peo non seppe giudicare. Per lui poteva essere artigianato sardo piuttosto che persiano, o magari era stato comprato sulle bancarelle del mercato del paese. Anche i quadri alle pareti sfuggivano al suo giudizio. Non aveva mai capito molto di queste cose: poteva solo rendersi conto che la casa era tenuta come si deve e con un certo amore. Quanto al valore degli arredi rinunciava a pronunciarsi, anche se palesemente il contesto non era quello di una famiglia particolarmente ricca.

La Minetti si sedette ad un capo del tavolo e fece loro segno di accomodarsi di fronte a lei. Era una donna minuta, sulla cinquantina, con il viso segnato ma solido, dal quale due occhi scuri e decisi puntavano l’ospite.

-Allora, che cosa vuole da me?

Peo rimase un po’ interdetto per il piglio aggressivo dell’interlocutrice.

-Mi perdoni. La Sig.ra Spampanato, attuale coniuge del Sig. Tripoli, mi ha incaricato di ricostruirne la carriera sotto il profilo contributivo, in quanto ritiene che la pensione non gli venga corrisposta nella misura dovuta. Io, nell’effettuare le indagini, ho trovato il Suo nome, ma ho qualche difficoltà a capire esattamente come si siano intrecciate le vostre relazioni. Le aggiungo che non è escluso che, alla morte del Sig. Tripoli, che, per inciso, è gravemente malato, una parte di questa pensione spetti a Lei.

-E Lei se ne viene qua a chiedermi della mia vita e di quella di Mino? Perché non ci ha chiesto a lui? E perché non se l’è fatta raccontare da quell’altra bagascia? Si aspetta che io ci creda che è qua per sapere da me della pensione di mio marito?

Peo si accorse in quel momento che, trascinato dagli eventi, dalla curiosità e dall’antipatia per la Spampanato, aveva commesso un passo falso. In effetti, la visita alla Minetti, che aveva evidentemente interessi contrastanti con quelli della sua cliente, non era proprio un capolavoro di deontologia professionale. D’altra parte, ora che era in gioco tanto valeva giocare. Tentò la carta della sincerità.

-La verità signora, che Lei mi creda o no, è che la Spampanato mi ha taciuto un bel po’ di informazioni, che ho trovato cammin facendo, e che Suo marito –anzi, il Suo ex marito- non è in grado di comunicare, a causa di un ictus che lo ha colpito abbastanza di recente.

La donna si piegò in avanti, come se avesse ricevuto un colpo allo stomaco.

-Un ictus?! Povio Mino… pensare che l’ultima volta… – e qui si morse le labbra e tacque.

Dunque esistevano ancora rapporti tra loro, pensò Peo. Tentò di insistere ancora.

-Mi sembra di capire che i rapporti tra di voi non erano cessati. Devo aggiungere, Signora, che personalmente non intendo agire a danno dei diritti di nessuno. Se risulterà che la pensione deve essere adeguata me ne occuperò senz’altro, ma segnalerò alla mia cliente che, nel caso di premorienza del Sig. Tripoli, anche Lei ha i suoi diritti.

La donna si scosse. Si alzò in piedi lentamente e gli disse:

-Venga a vedere.

Si spostò verso una porta in fondo alla stanza e la aprì con cautela. Poi fece cenno a Peo di avvicinarsi. Nella penombra si scorgeva la figura di un uomo, sprofondato in una poltrona, circondato da un impianto di video e computers dell’ultima generazione. Su alcuni video si intrecciavano immagini in movimento, mentre su altri si distinguevano simboli che per Peo risultavano del tutto incomprensibili. Dalle casse usciva una musica strana, non priva di fascino.

La donna richiuse la porta.

-E’ mio figlio. L’ho avuto da una relazione. Per questo abbiamo divorziato. Verso gli otto anni ha cominciato a essere strano. Il dottore ha detto schizofrenia. Dice che ormai è a uno stadio di autismo quasi totale.

-E lo tiene chiuso in casa?

-Finché ho potuto ho cercato di farci fare una vita quasi normale. Ora però è diventato difficile farlo muovere. Io cerco sempre di portarlo a pigliare un po’ d’aria, come mi ha detto il dottore, ma tante volte lui non ne ha proprio voglia. Prima o poi dovrò metterlo in un istituto, ma voglio farlo il più tardi possibile, e del resto non so neanche da che parte cominciare…

La donna evidentemente aveva deciso di fidarsi e scaricava sugli ospiti una parte del suo peso.

-Mino aveva saputo di questo guaio e cercava di darmi una mano, come poteva. Sa, quell’arpia di sua moglie avrebbe voluto che lui non mi sentisse più, ma lui era una brava persona e anche se c’avevo fatto quel torto mi voleva bene e mi compativa…

Tirò fuori dalla manica un fazzoletto e si soffiò il naso. Nina la guardava con evidente simpatia.

-Saranno dieci mesi fa, mi è venuto a trovare. Mi ha detto che aveva avuto un colpo di fortuna, che c’era stato un pasticcio che non ho capito bene con l’INAIL e che gli avevano dato dei soldi che non si aspettava. Così ha voluto comprare tutto quell’ambaradan che c’è di là per Andrea, o mè figgieu. Sa, lui era diventato una specie di maniaco dei videogiochi. Al principio cercavo di staccarlo, ma poi il dottore mi ha detto che tanto valeva lasciarlo fare… Quando siete arrivati mi credevo che era per quei soldi lì…

-Tombola- pensò Peo- Ecco dove erano finiti i soldi che la Spampanato stava cercando…

-Non si preoccupi, Signora. Non siamo dell’INAIL e questa storia non ci interessa più che tanto. Piuttosto mi racconti qualcosa del lavoro di Suo marito finché stavate insieme, e mi faccia vedere, se vuole, se ha dei documenti di quel periodo e magari una copia della sentenza di divorzio…

Non ne uscì fuori nulla di particolarmente interessante. Dopo un’oretta Nina e Peo lasciarono la casa della Minetti portandosi dietro un senso di pena che l’aria fresca del pomeriggio non dissipò del tutto. Se ne stettero taciturni per tutto il tempo del viaggio di ritorno e si lasciarono con la promessa di risentirsi presto, ma nessuno dei due parlò più di revivals…
[Continua…]
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Pier Guido Quartero
Opere dell’autore pubblicate da Liberodiscrivere

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