Racconto a puntate di Pier Guido Quartero

Cogliendo le sollecitazioni degli amici inizio qui a proporre, a chi abbia del tempo da dedicare alla lettura, una vecchia storia, risalente ai primi tempi in cui mi dedicai a prove di scrittura. Il protagonista di questa avventura si chiama Peo Traverso. Chi ha già letto qualcosa di mio sa che questo cognome compare nella saga familiare attraverso la quale ho provato a narrare la storia di Genova, e tutto questo non avviene a caso.
P.G.Q


L’AFFARE SPAMPANATO TRIPOLI

Cap 10: PEO TROVA LA ROSA

Il bar aveva una vetrata velata dalla polvere proveniente dalla strada e dalla condensa del vapore interno. Nella vetrina, dietro a poche confezioni di Panettone e a scatole di caramelle e cioccolatini di marche andanti, si ergevano due magnum di barbera.

A uno dei tavoli stavano seduti alcuni uomini in tuta da operaio, che evidentemente stavano prendendosi una pausa. Nell’angolo, un pensionato leggeva le notizie sportive, tenendo il giornale aperto sul tavolino rotondo. Sotto al giornale era appoggiata una tazzina da caffè, presumibilmente vuota.

Dietro al banco, un uomo di una cinquantina d’anni dalla figura aitante, con un paio di baffoni alla Stalin, versava vino bianco nei bicchieri di tre giovanotti, avendo cura di riempire il bicchiere fin sopra l’orlo, nei limiti in cui lo consentivano le leggi della fisica. Gli avventori presero i bicchieri e li portarono alla bocca, senza versare una goccia. Parlavano e sorseggiavano. Nessuno mostrò di far caso ai nuovi venuti.

L’impiegato comunale, nel ruolo di padrone di casa, richiamò l’attenzione del barista.

-Guido, ti ne faè dui café?

Si appoggiarono al banco e ripresero il colloquio.

-Come Le dicevo, di Minetti Rosa ne abbiamo un po’, ma sulla base dell’età possiamo già scartarne qualcuna. Sa mica come si chiamava il marito?

-Tripoli, e veniva da Bargagli.

-Da Bargaggi pe moddo de dì, con quello nomme lìe… O saia staeto un nasello… armeno de famiggia…Comunque non mi ricordo di un Tripoli… Ti ti ne conosci?- Chiese al barista che, fingendo di pulire un bicchiere, orecchiava i discorsi dei nuovi clienti.

-Comme ti dixi? Tripoli?- Disse l’omone grattandosi la folta capigliatura rossastra. –No savieiva. Peu dase che o Nan o ne sacce quarcoze. Ou, Nan, ti te ricordi de un Tripoli c’o fisse maiou co na Minetti Rosa?

Il pensionato alzò il naso dal giornale. Aveva su di sé l’attenzione di tutti i presenti, e la cosa gli faceva evidentemente piacere. La prese alla larga.

-Dunque, c’era la Rosa che stava su dal Berlino, quella che lavorava alla fabbrica. Ma a no s’è mai maia, anche se quarchedun a ghe l’ha avuo –sogghigno generale, quella Rosa lì la conoscevano tutti- Poi c’era quell’altra che lavorava all’officina. Comme o se ciamava o maio? Quella ch’a gh’a o figgio mezo scemmo…

-Un’officina?- intervenne Peo- Il marito della Rosa che cerco riparava auto, e poi ha messo su un commercio di pezzi di ricambio…

-O Mino!- esclamarono insieme il barista e il pensionato.

-Scià poeiva dìmelo subito. O Mino o l’éa un amigo. No o saveiva manco c’o fise un nasello e ch’o se ciamasse Tripoli.- Disse il barista. Il pensionato, deluso per aver perso l’occasione, si rituffò nel giornale con un’alzata di spalle.

-Allora dove la trovo questa Rosa Minetti?- chiese Peo

-In Via Roma, se va fino in fondo, c’è un bar e vicino un parrucchiere. Due portoni più avanti c’è la casa della Rosa. Sempre che a quest’ora sia in casa. Alla mattina va a servire in un negozio a Campoligure.

Dunque si erano incrociati alla mattina: Peo veniva e la Rosa andava. Ma ormai il momento dell’incontro era vicino.

Prima di uscire, bevendo il caffè ormai freddo, esaminò a fondo le bottiglie alle spalle del barista. Era sempre curioso delle scorte dei bar di provincia, dove si potevano trovare marche storiche, ormai scomparse dai lustri locali cittadini, oppure bottiglie di provenienze oscure e indecifrabili. Grappe, brandy e amari dai nomi assolutamente sconosciuti, che magari giacevano sullo scaffale da decine d’anni e che nessuno avrebbe più assaggiato.

Un giorno o l’altro il proprietario, o più probabilmente il suo successore, si sarebbe accorto della loro esistenza, magari ne avrebbe assaggiato un sorso, avrebbe fatto una smorfia di disgusto e se ne sarebbe liberato. Sic transit gloria mundi. In tutto ciò si rendeva conto che c’era un messaggio che avrebbe dovuto cogliere, ma non riusciva a capire quale.

Pagato il caffè, ringraziati il barista e il pensionato –che rispose con un mugugno, senza neanche alzare lo sguardo dal giornale- stretta la mano all’impiegato comunale, Peo si avviò verso il ponte, dove aveva appuntamento con Nina.

Stavolta fu lei a doversi sorbire il racconto divertito ed eccitato del compagno, mentre si dirigevano verso via Roma. Peo era al settimo cielo. Pregustava la soddisfazione che avrebbe provato il giorno dopo, sorprendendo il cherubino con le sue scoperte. Più ancora, godeva all’idea della chiacchierata che sarebbe seguita con Pietro, col quale aveva spesso divertiti diverbi sulla liceità e correttezza di certe espressioni gergali a proposito degli immigrati meridionali. Pietro in realtà era una persona assolutamente corretta e tollerante, ma gli piaceva provocare per gioco l’amico usando espressioni da leghista accanito.

Mentre Peo, concludendo la propria relazione, faceva l’elenco delle marche di liquore più strane individuate sugli scaffali del bar, la coppia arrivò a destinazione. Con qualche incertezza, identificarono il portone. Sulla pulsantiera del citofono il nome Minetti era scritto a chiare lettere. Peo suonò. Nessuno rispose.

-Deve ancora tornare- commentò la Nina con un’alzata di spalle.

-Madonna santa!- Sbuffò Peo, visibilmente contrariato- E ora che cosa facciamo?

Per mangiare era ancora presto. Peo propose a Nina di andare a guardare i pesci dal ponte. Lei conosceva la passione dell’amico per la pesca, e del resto non c’erano molte alternative. Accettò di buon grado, e i due si avviarono lungo la strada già percorsa all’andata, verso il ponte.

In quella stagione l’acqua era fredda, e pesci in giro non se ne vedevano quasi, tranne qualche cavedano intirizzito dal freddo che cercava di acchiappare qualcosa sulla corrente vicino al fondale. Peo, recuperato il buon umore, raccontò alla Nina qualche aneddoto di quando veniva a pescare nella riserva turistica di Rossiglione con suo zio.

Passata una buona mezz’ora, fecero un rapido spuntino al bar e si ripresentarono alla porta della Minetti. Per scaramanzia, fu Nina a suonare il campanello. Questa volta il portone si aprì.

Pier Guido Quartero
Opere dell’autore pubblicate da Liberodiscrivere

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