Cogliendo le sollecitazioni degli amici inizio qui a proporre, a chi abbia del tempo da dedicare alla lettura, una vecchia storia, risalente ai primi tempi in cui mi dedicai a prove di scrittura. Il protagonista di questa avventura si chiama Peo Traverso. Chi ha già letto qualcosa di mio sa che questo cognome compare nella saga familiare attraverso la quale ho provato a narrare la storia di Genova, e tutto questo non avviene a caso.
P.G.Q

L’AFFARE SPAMPANATO TRIPOLI

Cap 7: IL CHERUBINO

Lunedì era una di quelle giornate che anticipano i più bei giorni invernali: aria fredda e tersa e un sole luminoso che faceva venir voglia di camminare. Peo prese una decisione importante: oggi, violando l’abituale digiuno mattutino, avrebbe comprato un etto di focaccia da sgranocchiare mentre scendeva verso Piazza della Vittoria: le calorie ingurgitate sarebbero state smaltite dalla passeggiata per arrivare all’INPS e poi da un’altra passeggiata, assolutamente voluttuaria e fuori programma, lungo Corso Italia, dalla Foce fino a Boccadasse.

Scendendo per Via XX Settembre, osservava con compiaciuto disinteresse le vetrine ed i passanti. La sua mente era concentrata sul godimento afrodisiaco della focaccia calda che gli pervadeva il palato e le narici. Subito prima di entrare nel palazzone della Previdenza sociale bevve un buon caffè e si procurò, onde evitare di trovarsi impreparato davanti ad eventuali necessarie attese, una copia di Repubblica, il quotidiano che leggeva più spesso.

Dopo aver ripetuto l’itinerario percorso in occasione della visita precedente, raggiunse finalmente la stanza del Cherubino (che aveva certamente un nome, ma per lui ormai si chiamava così).

-Buon giorrno dottorre. In coscia poscio esscierrle utile?

Il funzionario si mostrava, come al solito, di una cortesia formale ineccepibile.

-Credo di aver risolto quel problema dell’accesso ai dati previdenziali del Sig. Tripoli, ricorda?

-Rricorrdo benisscimo. Ha fatto piuttoschto prreschto!! –rispose il cherubino con un cenno di sospetto nella voce.

-Ecco, guardi: ho una delega firmata dal Tripoli con l’autentica notarile. Penso che dovrebbe essere più che sufficiente.

-Ma non mi aveva detto che sci trrrattava di perrrsona incapacze di intenderre e di volerre ?

-Non proprio del tutto, visto che in qualche modo davanti al notaio ha firmato, e infatti un accertamento formale di questo suo status non c’è…

Il cherubino non era del tutto persuaso, d’altra parte ormai aveva le spalle al muro. Per prolungare l’agonia tentò un’ultima carta.

-Mi rrendo conto che la scituaczione è alquanto ingarrrrbugliata. Sce non Le scpiacze vorrrrei averrre il nulla oschta del mio capo.

Peo, sapendo di avere ormai vinto, non volle scontentare il suo correttissimo avversario –in futuro avrebbe potuto avere ancora bisogno di lui- e lo seguì di buon grado verso l’ascensore.

Quasi tutti i palazzi delle grandi organizzazioni sono costruiti secondo la logica della Città di Dio, dove i gradini sociali più bassi stanno al pian terreno e via di seguito, in ordine di grado e importanza, fino ai livelli più alti, alloggiati all’ultimo piano.

Il capo del Cherubino non era importantissimo: solo due piani al di sopra dell’ufficio del sottoposto, ma aveva già diritto alla pianta di ficus fuori dalla porta e ad una segretaria –presumibilmente condivisa- che gli introducesse gli ospiti.

-Il Dotore è fuori stanza, Dotore- disse la segretaria, una fighetta un po’ matura ma ancora passabile

–Dovrebe tornare tra un quarto d’ora.

Il cherubino arrossì leggermente e fece le labbra a culo di gallina.

-Scemprre coscì- mormorò tra sé. Poi, rivolto a Peo:

-Temo che dovrrrà aschpettarrre un po’. Sce non Le schpiacze io me ne torrrnerrrei a lavorrarre- Qualcuno deve purr farrlo- soggiunse tra sé e sé.

-Faccia pure con comodo!- Peo si assise nella poltrona d’aspetto e aperse il giornale: come previsto gli sarebbe tornato utile. Peccato per la passeggiata in Corso Italia, che era rinviata di qualche tempo.

Non passò mezz’ora che, da dietro il giornale, Peo scorse l’arrivo del suo prossimo interlocutore. Un uomo elegante, approssimativamente dell’età di sessant’anni, con la capigliatura ancora intatta –cosa questa che gli attirò l’immediata antipatia del nostro.

-Dotore, c’è il Dotore che l’aspetta- cinguettò la segretaria- L’ha acompagnato il Dotor Picasso.

Il Dotore tese la mano. -Piacere, Arvigo, si accomodi.- Poi, rivolto alla segretaria: -Mi chiami un po’ Picasso…

Peo, dopo le presentazioni, entrò nella stanza ben illuminata, arredata con tappeti e quadri. Il Dott. Arvigo non era al massimo della carriera, ma sembrava messo bene. Picasso sopravvenne a passo di carica.

-Bene, Picasso, mi vuol fare un quadro della situazione?- Disse il Dott. Arvigo, incrociando le mani davanti alla bocca, dopo essersi abbassati gli occhiali sulla punta del naso.

L’esposizione del cherubino fu piuttosto lunga e costellata di espressioni di dubbio, tuttavia non tale da preoccupare Peo, che si permise una breve conclusione con la quale gli sembrò di chiudere la partita.

Il Dott. Arvigo a questo punto sciolse le mani, si assestò gli occhiali ed emise il suo verdetto:

-Grazie, Picasso. A prima vista la soluzione proposta dal Dott. Traverso ben si attanaglia alla fattispecie. Mi sembra però che Lei abbia dei dubbi circa la reale capacità di chi ha sottoscritto la delega. –Brividi di paura corsero per la schiena di Peo: un personaggio con un vocabolario così prometteva male- Francamente non mi sembra il caso che ci assumiamo una responsabilità di questo tipo. Per favore, mi può redarre una nota per l’Ufficio legale? Mi sembra una soluzione ragionevole, non Le pare?- Concluse sorridendo verso Peo.

Questi, agghiacciato dalle parole dell’interlocutore, non riuscì a spiccicare parola. Strinse meccanicamente la mano del Dott. Arvigo e uscì, scortato dal cherubino, che lo guardava con commiserazione.

-Quel crrretino avrrrrebbe benissscimo potuto prrenderrle perrr buona quella prrocurra., ma non capische neanche la differrrentsha trra una prrrocurra e una delega.. Sch’immaghini un po’ Lei… Orra ci vorrrrà un meshe prima di averre il parrerre dell’Ufficzio legale…

Peo ritrovò improvvisamente la parola.

-Ma scusi, se pensava che il suo capo avrebbe dovuto prenderla, perché non me l’ha presa Lei?

-Ah no! Io schono titolarrre di una funczione merramente ischtrruttorria. Quando rrilevo una posschibile irregolarrrità è mio prreczisho doverre inforrmarrne i shuperrriorri perr la deczisshioni del casho. Sche poi i schuperriori non capischcono un catzzo non shono affarrri miei.

-Mi rendo conto –disse Peo, con animo contrastato tra la simpatia che in fondo gli ispirava il personaggio e l’irritazione per la conclusione dell’affare. –Mi chiedo però se non potrebbe darmi una mano per accelerare la pratica all’Ufficio legale.

-Verramente non dovrrei, ma vishto che è perr rrriparrarre ad un errrorre dell’Ishtituto… Penscho che in due o trre giorrrni potrrremmo shischtemarre la prratica.

Il cherubino rifiutò il caffè che Peo gli aveva offerto per mostrargli la propria gratitudine –ipotigzzando forrshe che schi trrattassche di tentativo di corrructzione, pensò il nostro tentando di imitarne tra sé e sé l’impossibile pronuncia- dopodiché si lasciarono amichevolmente.

Peo uscì dal palazzo dell’INPS con un sospirone. Tutto sommato anche di questa storia si cominciava a vedere la fine. Si avviò verso la Fiera del mare con passo rilassato. Erano passate da poco le undici e mezza: poteva arrivare a Boccadasse giusto in tempo per consumare uno spuntino in una delle trattorie della zona. Poi poteva prendersi un autobus e tornare a casa, dove aveva da fare un po’ di lavoro al tavolino per gli altri clienti. Per la Spompinato si era già dato abbastanza da fare.
[Continua…]

image_printScarica il PDF