Racconto a puntate di Pier Guido Quartero


Cogliendo le sollecitazioni degli amici inizio qui a proporre, a chi abbia del tempo da dedicare alla lettura, una vecchia storia, risalente ai primi tempi in cui mi dedicai a prove di scrittura. Il protagonista di questa avventura si chiama Peo Traverso. Chi ha già letto qualcosa di mio sa che questo cognome compare nella saga familiare attraverso la quale ho provato a narrare la storia di Genova, e tutto questo non avviene a caso.


P.G.Q


L’AFFARE SPAMPANATO TRIPOLI

Cap 9: LA GITA ANDO’ BENISSIMO

Malgrado i cattivi presagi, la gita andò benissimo.

Masone non è uno dei luoghi più ameni del creato, tuttavia quella domenica, illuminato da un sole amichevole, non appariva luvego come in altre circostanze. La salita per la Cappelletta, lungo una stradina asfaltata, passava, in lieve pendenza, in mezzo a boschi di castagno colorati dall’autunno.

La Nina chiacchierava senza sosta, raccontando gli ultimi eventi o facendo osservazioni sulla natura circostante. Peo aveva sempre avuto una suprema invidia per la capacità delle donne, anche quelle poco dotate per gli sforzi, di camminare parlando. Lui, pur essendo un discreto camminatore, aveva bisogno di tutto il suo fiato per muoversi e un po’ si vergognava un po’ provava rabbia per non essere capace ad interloquire.

In un’oretta di marcia raggiunsero la meta. Un gruppetto di case piuttosto eleganti su un pianoro, sotto alti alberi di faggio e di castagno, inframmezzati da qualche abete. La trattoria era in stile campagnolo: le pareti dei locali erano fasciate di legno, come di legno erano i tavoli e le sedie; le tovaglie e le tende erano a quadri bianchi e rossi, la luce delle lampade, aiutata da quella che filtrava attraverso le finestre, dava all’ambiente un’aria rassicurante e familiare.

Mangiarono polenta per primo e per secondo –col sugo di funghi e con il coniglio in umido- accompagnandola con un discreto barbera. Alla fine neanche la Nina aveva più il fiato per parlare.

Fecero tardi a tavola, leggendo i giornali che lei aveva portato nel sacco. Mentre scendevano, e il cielo cominciava già ad assumere le tonalità della sera, Peo, che in discesa riusciva finalmente a parlare, descriveva alla compagna gli aspetti salienti della Valle Stura.

Fu proprio mentre le faceva l’elenco dei comuni della vallata che gli venne improvvisa un’idea. Rossiglione era a due passi: sarebbe stato carino fermarsi a dormire lì ed approfittare, il giorno dopo, per fare una piccola indagine sulla vita del Tripoli. Infatti, spiegò alla Nina, dopo avere lasciato Bargagli e i suoi genitori, risultava che l’uomo si era trasferito a Rossiglione esercitandovi prima l’attività di autoriparatore e poi il commercio all’ingrosso di pezzi di ricambio.

Chissà se quella tizia che aveva sposato in prime nozze –come si chiamava… Minetti Rosa, ecco!!- era ancora viva e residente a Rossiglione… forse avrebbe potuto avere più informazioni sul posto che insistendo con le ricerche all’INPS, alla faccia del Dott. Arvigo, dell’Ufficio legale e del Cherubino –alias Rum Picasso…-

Nina accettò la proposta con entusiasmo. Uno strappo alla regola, una conclusione della domenica un po’ diversa dal consueto rientro tra le solitarie mura domestiche, era proprio quello che le ci voleva.

Risultò che, visti gli orari della ferrovia, era meglio fermarsi per la notte a Campoligure, dove c’era un alberghetto aperto anche dopo la chiusura della stagione turistica. A Rossiglione potevano recarsi la mattina dopo. Ne approfittarono per fare un giretto nel paese, quasi deserto, e salire fino all’antico castello che lo domina. La novità della situazione destava in entrambi una leggera euforia.

All’ora di cena la polenta era già stata abbondantemente digerita. Mangiarono ravioli e torta della casa e bevvero un po’ più del necessario. Mentre salivano la scala semibuia che li portava alle loro camere Nina si appoggiava a Peo con sospetta familiarità.

-Vuoi che facciamo un revival? –Le chiese lui, con lo sguardo fisso ai gradini.

La risposta fu una risatina eloquente.

La appoggiò contro il muro e la baciò. La mano corse subito ad accarezzarle il petto, ancora piuttosto sostenuto. Si staccarono dopo due minuti e, urtandosi l’un l’altro nella precipitazione, si infilarono in camera di lei.

La mattina dopo Nina aveva l’aria del gatto che ha mangiato il topo. Mentre facevano colazione Peo cercava di parlare di argomenti neutri, prospettando ciò che avrebbe dovuto fare quando fossero giunti a Rossiglione, ma gli occhi celesti della sua compagna lo tenevano inchiodato e gli parlavano d’altro. Prima di sera, in un modo o nell’altro, gli sarebbe toccato pagare pegno e spiegare quali intenzioni aveva per il futuro.

Il guaio era che non lo sapeva neanche lui. La compagna era piacevole e gli anni passavano: una relazione stabile sembrava, razionalmente, una soluzione consigliabile. Nelle sue viscere però si agitavano pulsioni contrastanti: il ricordo dell’ultima, travolgente, passione per Terry, di cui portava ancora i segni, l’affetto solido e profondo verso Monica, sua moglie, con la quale tuttavia non riusciva a ricostruire le condizioni per recuperare il matrimonio… Resistere, resistere, resistere… chi lo aveva detto?

Presero il treno per un soffio. Quando si furono seduti, ansanti, uno di fronte all’altro, davanti al finestrino, lui le prese la mano e cominciò, penosamente, a tentare di spiegarsi. Fu lei, con un ghignetto, a fermarlo.

-Guarda che lo so già. Nun starmi a raccuntàre tùta la sturièlla. Va bèn cusì. Solo, quèsti revival, finché sei in grado, vediamo di farli un po’ più spesso, neh?

Peo arrossì per il sollievo e l’imbarazzo. –Ueh- disse, cercando di imitare l’accento lombardo- Sono proprio diventato un uomo oggetto eh?- Ma gli occhi stavano ringraziando.

Arrivati a Rossiglione, Nina se ne andò a far due passi lungo il torrente, mentre Peo, leggero come un libellulo, se ne andava al Municipio, dove intendeva intervistare il responsabile dell’Anagrafe civile del paese.

L’impiegato del Comune, quando gli ebbe chiesto se nei registri della popolazione esistesse una Minetti Rosa, reagì con la consueta diffidenza che ovunque, ma soprattutto nell’entroterra genovese, accoglie gli intrusi ficcanaso. Naturalmente anche qui esistevano problemi di privacy eccetera eccetera eccetera…

Peo giocò una carta disperata.

-Capisco, peccato. Si tratta di una persona il cui ex marito è sul punto di morire e che probabilmente dovrebbe beneficiare di una parte della pensione. Ma se non si può… speriamo che la trovino quelli della Previdenza, sempre che sia una cosa su cui procedono d’ufficio e non ad istanza di parte…- E si voltò per andarsene.

L’esca funzionò. Se si trattava di soldi per un compaesano la cosa assumeva un altro aspetto, e la formulazione burocratica aveva reso il messaggio anche più convincente alle orecchie dell’impiegato.

-Aspetti un momento- disse in fretta -forse posso comunque aiutarla. Sa, qui in paese ci conosciamo tutti, e quello che non posso dirle come ufficiale di anagrafe glielo posso dire mentre prendiamo qualcosa al bar…

Uscirono dal Municipio per andare a prendere un caffé. Intanto l’impiegato continuava:

-Qui di Minetti Rosa ce ne devono essere quattro o cinque. Sa, è un cognome delle nostre parti, e i nomi nelle famiglie si trasmettono ancora da una generazione all’altra, con qualche eccezione per i nomi di moda. Abbiamo avuto dei Minetti Verdi, dei Minetti Benito e ora…

-Dei Minetti Silvio?- interloquì Peo

L’impiegato non raccolse. –No, ma abbiamo avuto delle Debore, e anche degli Yuri, sa, ai tempi di Gagarin…
[Continua…]
Capitoli di “L’affare Spampinato-Tripoli” già pubblicati

Pier Guido Quartero
Opere dell’autore pubblicate da Liberodiscrivere

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