Cenni di Storia e Antropologia del territorio (4)

Di G.Walter Cavallo

Palazzo Grimaldi, poi Pallavicini ed in seguito Durazzo Pallavicini, attualmente adibito a museo di archeologia ligure, può essere considerato il fulcro attorno al quale si sono sviluppati prima l’orto botanico di Clelia Durazzo ed in seguito il parco voluto da Ignazio Alessandro Pallavicini, suo nipote.

Il testamento di Ansaldo Grimaldi, datato 2 luglio 1535, ci fa sapere che i benedettini furono da lui chiamati per popolare l’attigua chiesa di San Martino e che egli aveva costruito loro il dormitorio. Nei primi anni del seicento i benedettini avevano già venduto alla famiglia Grimaldi la tribuna che collegava il palazzo alla chiesa. Con la creazione del Catasto Napoleonico del 1798 in cui l’edificio viene censito, insieme con le ville “della Pineta e della Pinara del Palazzo” abbiamo informazioni precise in merito. Queste proprietà occupavano il terreno confinante ad ovest con la strada degli Archetti (oggi via Opisso) e il torrente Varenna, ad est con la strada che conduce alla parrocchia di San Martino e alla proprietà Doria, a sud con vico Chiuso (oggi Vico Sinope) e la palazzata affacciata sulla strada litoranea (oggi Lungomare). La strada comunale, l’attuale via Malocello, divideva già all’epoca le ville della Pineta e del Boschetto che si estendevano a monte della villa di Pinara, che si sviluppava al di sotto del Palazzo, in un’area oggi completamente edificata. Fu proprio su una piccola parte di questo terreno, quella addossata al percorso denominato “cavallo” che Clelia Durazzo, moglie di Giuseppe Grimaldi, piantò il suo orto botanico.

Clelia nasce a Genova nel 1760 da Giacomo Filippo e Maria Maddalena Pallavicini. La passione per la botanica le deriva dagli studi di famiglia: il padre, ma soprattutto lo zio Ippolito, furono tra i primi a Genova a promuovere la cultura naturalista. Ippolito Durazzo, appassionato di botanica, viaggiatore e collezionista, incaricò l’architetto Andrea Tagliafichi di ristrutturare la sua villa allo Zerbino con l’inserimento di piante esotiche, inserendo così i principi di trasformazione del giardino da geometrico in paesistico. Certamente per la giovane Clelia questo fu il modello a cui ispirarsi e, quando il matrimonio con Giuseppe Grimaldi la portò a condividere la villa di Pegli con ampi terreni e giardini, nel 1794 impiantò il primo nucleo del suo orto botanico con la messa a dimora di piante rare.

In odio alla rivoluzione francese, con il marito si rifugiò nel regno di Parma, a partire dal 1797 e per diversi anni. A Parma Clelia continuò i suoi studi e intraprese numerosi viaggi, visitando giardini e orti botanici, incontrando scienziati, raccogliendo nuove piante. Nel 1812 pubblica il primo catalogo delle piante coltivate nel suo giardino sicché l’Orto Botanico della villa Grimaldi di Pegli diventa famoso e molti ne parlano.

La morte del marito segna profondamente la donna che, senza prole, si ritira a Pegli sino alla sua morte, avvenuta il 27 maggio 1837. Anche la statua a lei dedicata celebra l’unico aspetto per il quale Clelia vuole essere ricordata: quello della donna di scienza. Umile e caparbia, con lo sguardo assorto di chi ama lo studio più di ogni altra occupazione, i capelli raccolti dietro la nuca e con un libro in una mano e un ramoscello nell’altra. Su ordinazione di Ignazio Alessandro Pallavicini, così ne fissa l’immagine lo scultore Giovanni Battista Cevasco nell’unica statua che la raffigura. E il marchese Pallavicini in una sua lettera, di casa, 31 dicembre 1852, lo ringrazia per il lavoro che lo ha commosso tanto da pensare, per un attimo, di essere di fronte alla persona stessa.

Nel testamento Clelia Durazzo vedova Grimaldi aveva nominato eredi di tutti i suoi beni per due terzi la Marchesa Maria Maddalena vedova Pallavicini, la mamma di Ignazio Alessandro, e per un terzo gli eredi di Angiola Grimaldi Landi. Con un accordo intercorso tra le parti, i marchesi Landi per la somma di 400 nuove lire piemontesi concedono la totale proprietà della villa di Pegli al marchese Ignazio Alessandro che, a partire dal primo maggio 1840 fa iniziare la ristrutturazione del palazzo e la costruzione del nuovo parco. L’area prescelta per la realizzazione del parco non era certo tra le più adatte. Già in parte occupata da piante di alto fusto (sul catasto napoleonico del 1798 veniva indicata come “il boschetto dietro la chiesa parrocchiale”) quest’area, nel suo insieme, presentava diversi dislivelli ed era molto pietrosa. A Michele Canzio, pittore, insegnante all’Accademia Ligustica di Belle Arti e scenografo del Carlo Felice, il marchese Pallavicini affida la costruzione del parco della villa. Narra il Salvi che “[…] il lavoro richiese l’impiego di 350 operai al giorno, escluse le feste, per una durata di sei anni. Fu necessario appianare colline, tagliare rocce, aprire strade e viali […] la spesa arriva a quasi tre milioni di lire piemontesi”.

Clelia Durazzo ved. Grimaldi

All’architetto Angelo Scaniglia il marchese Pallavicini affida invece la ristrutturazione del palazzo padronale, delle scuderie, della casa del custode e la costruzione di un viale rialzato che dalla piazza antistante l’attuale stazione ferroviaria porta al suo palazzo.

Il parco fu concepito come un percorso-ambiente, da visitare accompagnati da una guida che, oltre illustrare la trama della storia raccontata dal suo ideatore, fosse in grado di illustrare le caratteristiche botaniche e paesaggistiche e le curiosità e le curiosità relative alla sua costruzione.

Il “racconto Pallavicini” è una storia inedita che il Canzio, quasi certamente in accordo con Ignazio Alessandro, se non più semplicemente esecutore del pensiero di quest’ultimo, vuole comunicare al visitatore.

Una storia apparentemente fiabesca che comincia con il gioco double-face all’Arco di Trionfo per giungere al Castello incantato all’attimo della morte del suo capitano e poi alle grotte-inferi.

Ma la storia cela ben altri significati.

E per questo vi rinvio ai miei due saggi e ai lavori degli Architetti Fabio Calvi e Silvana Ghigino, in particolare modo al loro “Villa Pallavicini a Pegli – l’opera romantica di Michele Canzio” che trovate oggi nel bookshop della biglietteria della villa di Pegli.

Le ricerche storiche non hanno permesso di comprovare che Ignazio Pallavicini e Michele Canzio fossero membri di una loggia massonica genovese, anche se è verosimile supporlo, alla luce della loro posizione sociale, politica e artistica. Non a caso il basamento che regge il busto di Canzio, eseguito dal Cevasco per incarico di Ignazio Pallavicini, reca il simbolo del maestro: la squadra, il compasso e i pennelli.

Una cosa è certa: le affinità ideali, l’empatia tra il mecenate e l’artista erano molto forti, tanto da riuscire nell’intento di creare una splendida opera d’arte.

(Si ringrazia il collezionista Elvio Perazzo per la concessione della foto in copertina. Per altre immagini storiche di Pegli visitate http://www.pegliese.it/)

Per approfondire:

Alla ricerca di Ignazio Alessandro Pallavicini
Splendore di PEGLI e dei suoi personaggi
Acquistabili presso liberodiscrivere.it  e amazon.it, o presso la libreria Safigi Store di Genova Pegli, dove sarà possibile avere le propria copia autografata dall’autore

Giacomo Walter Cavallo
Dopo 35 anni di lavoro bancario. a sessant’anni, ha conseguito la Laurea in Storia Moderna e contemporanea e di seguito la Laurea Magistrale in Antropologia Culturale ed Etnologia all’Università degli Studi di Genova. Svolge attività di volontariato in ambito educativo e formativo come socio presidente dell’Organizzazione di Volontariato “Seniores Liguria”. E’ membro del direttivo dell’Associazione di Promozione Sociale “Amici di Villa Durazzo Pallavicini”
(la foto del tondino è tratta da uno scatto di Angelo Lavizzari)

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