Prima di entrare in quel prezioso gioiello risalente alla seconda metà del XIII secolo che è l’ Oratorio di San Martino in Pegli (Oratorium Sancti Martini), sulla sinistra, una nicchia conserva una mirabile statua del Santo a cavallo che divide il suo mantello (clamide) con un mendicante.

di Massimo  Bramante

  Il gruppo ligneo – come riferisce in un esauriente saggio Agostino Ricci (“Oratorio di San Martino di Pegli”, in “Pegi – Nomen a fontibus; 2010, pp. 173/193) fu probabilmente eseguito da Pietro Galleano (Genova, 1681-1761), uno dei più noti allievi di Anton Maria Maragliano, come noto autore di numerosissime casse processionali.  La cella viene aperta in occasioni appunto processionali e credenti o non credenti possono non solo ammirare la bellezza della materia scolpita magistralmente (San Martino che divide la sua ricca veste in due parti e ne dona una al mendicante, privo di una gamba, che tende la mano), ma anche riflettere sul significato profondo del gesto altruistico: dividere un oggetto “divisibile” e donarne una parte.  Quella che gli economisti oggi chiamano “economia del dono”.  Ma procediamo per gradi.

   Primo tempo


L’atto di donare, di con-dividere con l’altro un bene, non è proprio dei soli eroi.  Ricordiamoci la famosa risposta che Galileo Galilei dà (in Vita di Galileo” di B. Brecht) all’amico Andrea che aveva con rammarico sentenziato: “Infelice la terra che non ha eroi !”. No, lo corregge Galileo : “Infelice la terra che ha bisogno di eroi”.

Oratorio di San Martino
Oratorio di San Martino di Pegli (AntoRivaPhoto)

        Donare è un verbo che solo all’apparenza risulta di immediata comprensione. Donare è, in realtà, qualcosa di diverso, di più che “regalare”.  Per i latini  munus indicava tanto il dono quanto l’obbligo.  Il termine inglese per dono, gift , è identico, forse non casualmente, a quello tedesco (appunto gift) che significa però veleno… Noi doniamo ma – è lecito domandarsi – Doniamo cosa? Il superfluo? Doniamo a quale fine? Doniamo oggi per ricevere, seppur inconsciamente, domani?  Il dono, vestito dell’ambigua veste del “regalo” può, ad esempio, creare una sorta di credito da vantare nei confronti di chi lo ha ricevuto, un’ipocrita forma di richiesta, presente o futura, di contro-dono.  Chi ha studiato la storia dei rapporti di forza tra nazioni nel secolo scorso o i complessi modelli dell’economia internazionale è a conoscenza che, non poche volte, doni umanitari devoluti dai paesi c.d. ricchi ai paesi c.d. poveri del Terzo Mondo hanno incentivato una sempre maggiore dipendenza di questi ultimi dai primi.

Oratorio di San Martino
Cassa processionale “San Martino e il povero” e l’ingresso dell’oratorio (AntoRivaPhoto)

        Il dono perfetto è il dono in cui il donatore, un istante dopo aver donato – se così possiamo dire – scompare o rimane sconosciuto e dunque senza la possibilità di ricevere alcuna ricompensa presente o futura…Con una splendida metafora il teologo Roberto Repole paragona l’atto di donare a quello di piantare un albero da frutto: “Esso sarà visibile e fruttuoso per persone che non vedranno mai colui che lo ha piantato e che non potranno in alcun modo contraccambiare” (R.Repole, “Dono”, 2013, pag.65).  Ecco in cosa si sostanzia il dono perfetto: un’azione più che un oggetto.  Una manifestazione dell’aver cura (l’insegnamento di Don Milani…) oltre che una cosa, materia, che dalle nostre mani passa ad altre mani.

        Secondo tempo 


Volgiamo ancora lo sguardo alla splendida statua lignea del San Martino in Pegli.  Il Santo, sul suo imponente destriero, sfodera la spada e divide il suo ricco mantello purpureo.  La spada, strumento per antonomasia di offesa, di violenza si trasforma ora nelle sue mani o, meglio, grazie alle sue mani, in salvezza per l’altro, in con-divisione. 

Oratorio di San Martino
L’interno dell’oratorio/particolare di vista verso l’altare (AntoRivaPhoto)

        Chiediamoci – riandando con la mente all’osservazione acuta di Galileo : Come divide? Quanta stoffa resterà nelle mani del cavaliere-donatore e quanta andrà al mendicante-ricevente?  Non è un quesito banale, privo di significanza economica.  Lo sottolinea un illustre economista, Serge Christophe Kolm (“Altruism and Efficiency”, in “The Economics of Altruism”, 1983) che definisce lapidariamente il gesto del Santo quello dell’altruista perfetto (perfect altruism): perché in quel preciso momento questi non frappone alcuna significativa distanza tra il proprio ben-essere e quello di un individuo sconosciuto, fragile, zoppicante, privo di tutto; divide il mantello in due parti, probabilmente uguali.  Salva l’altro e, nei rigori del gelido inverno, salva anche se stesso.

Oratorio di San Martino
L’interno dell’oratorio/particolare di vista verso organo (AntoRivaPhoto)

        Il suo – direbbero gli economisti – è un comportamento del tutto asimmetrico (non risponde né al do ut des, né al do et des).  Il suo è un dono totalmente incondizionato, è l’agape di L. Boltanski: “L’agape, definita dal dono, non si aspetta un ritorno, né sotto forma di oggetti, né nella veste immateriale di amore in cambio.  Il dono dell’agape ignora il contro-dono…”  (“Stati di pace – Una sociologia dell’amore”, 2001).  San Martino: l’ altruista perfetto.

        Terzo tempo o epilogo

Una statua, un quadro, un disegno dai vivaci colori sui muri dei quartieri delle nostre città (Street – Art, secondo l’odierna denominazione) possono sollecitare  emozioni/riflessioni che coinvolgono tanto lo Spirito quanto le molteplici dimensioni della conoscenza umana, nel caso qui esaminato, l’economia ?  Certamente sì.  Un esempio cristallino è dato dal tema dell’avarizia, del risparmio fine a se stesso, del denaro trattenuto e non messo in circolo per fini produttivi; tema che ha coinvolto famosissimi artisti (un esempio su tutti Jheronymus Bosch e la sua tavola “Morte di un avaro” del 1490) ed illustrissimi economisti: dal grande John Maynard Keynes, docente a Cambridge, al nostro Franco Modigliani.

Oratorio di San Martino
Cassa Processionale San Martino e il povero/particolare (AntoRivaPhoto)

Siamo di fronte ad una feconda contaminazione di emozioni visive e  saperi che non può  – a nostro avviso – che produrre ottimi frutti.

Foto di copertina: particolare di “San Martino e il povero”-elaborazione grafica ©AntoRivaPhoto

Massimo Bramante– Laureato con pieni voti et laude in Economia e Commercio (indirizzo economico-sociale) presso Università Studi di Genova. Ha lavorato presso Istituto di credito e svolto Corsi di formazione nazionali su Economia e Sociologia del lavoro. E’ stato giornalista pubblicista nel settore economico-finanziario. Ha collaborato in qualità di “cultore della materia” e membro di commissione d’esame presso le cattedre di Economia Internazionale ed Economia dell’integrazione europea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Studi di Genova. E’ stato relatore ed ha coordinato seminari ed incontri di studio su temi di “Etica finanziaria” e “Nuove economie”

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