Elena Loewenthal “Un’aringa in Paradiso” Ed. Einaudi

L’umorismo è una delle poche cose serie che fanno ridere. Ridere è una facoltà esclusivamente umana, nessun essere vivente, neppure fra i mammiferi superiori, quelli più vicini a homo, è in grado di praticare l’umorismo, almeno a quanto se ne sa al momento. Non si può escludere che un giorno o l’altro salti fuori qualche ricerca che dimostrerà il contrario,  dalla scienza c’è da aspettarsi di tutto. Sarebbe l’ultimo colpo alle supponenti pretese di unicità della nostra specie.

 In attesa di quel giorno, filosofi, psicologi, letterati, di tutto rispetto hanno studiato con molta serietà l’umorismo, Bergson, Freud, Pirandello, solo per fare i nomi più noti. Posso darne testimonianza diretta, perché uno dei corsi più interessanti e divertenti che ho frequentato all’università aveva come argomento proprio l’umorismo. La bibliografia era nutrita e di tutto rispetto, a leggere alcuni saggi, be’ c’era poco da ridere, erano belli tosti!

Detto questo è doveroso dire che l’umorismo non è un fenomeno unitario e compatto, ma si presenta sotto varie spoglie;  dal più semplice e immediato, non di rado grossolano e volgare, che induce alla grassa risata,  a quello più sottile e sofisticato che suscita un sorriso, magari acidulo, e stimola il pensiero.

Le storielle ebraiche appartengono a quest’ultima categoria, fanno ridere, senza dubbio, ma tenendo desto il pensiero, perché sottendono sempre una certa filosofia di vita; disincantata, ma non rassegnata;  ironica, ma non cinica; una visione indulgente e bonaria degli errori umani; un atteggiamento benevolmente irridente nei confronti del divino.

Il testo é suddiviso per tematiche: la famiglia, le situazioni sociali quotidiane, il denaro, la religione; istituzioni alle quali non si risparmiano strali ironici, ma anche autoironici. Una categoria a parte è rappresentata dalle storielle paradossali, che smontano gli ingranaggi della logica, le mie preferite, confesso.

Qualche esempio

Il mio rabbino, – dice tronfio Gimpel, – è così devoto che digiuna tutti i giorni, salvo ovviamente il sabato e le feste.

Ma va’, – replica sarcastico Zorach, -se l’ho visto io, il tuo rabbino, non piú di un’ora fa che s’abbuffava di fegatini di pollo da Goldenberg!

Giustappunto! Il mio rabbino è talmente modesto e schivo che cerca in tutti i modi di non mettersi in mostra. E quando mangia, è solo per non far vedere agli altri che digiuna!

Mio marito, – dice Rachele, – l’ho abituato a consegnarmi la busta paga, tutti i venerdí sera, la vigilia di shabbat…Per lo più è vuota, lo so, ma è il principio che conta.

In questa rubrica è stato presentato anche E Dio rise di Marc-Alain Ouaknin.

Grazia Tanzi

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