I FALÒ DI SAN GIOVANNI BATTISTA

Il 24 giugno, a ridosso del solstizio d’estate, a Genova si festeggia il santo patrono della città, Giovanni il Battista. Patrono per caso, a dire il vero, o di seconda scelta, in quanto il nostro protettore avrebbe dovuto essere San Nicola. Infatti i genovesi al ritorno dalla Terra Santa dopo la presa di Antiochia del 1098, fecero tappa a Mira, città della Licia, dove pensavano di trovare i resti del santo custoditi in un monastero; ma restarono delusi quando i frati, dispiaciuti, dissero loro che erano stati preceduti dai baresi e allora dovettero giocoforza accontentarsi degli unici resti rimasti, quelli del precursore. Non so come l’abbia presa il Battista ma fatto sta che da allora è diventato il patrono della nostra città.

Ma dopo l’antefatto storico parliamo della tradizione che vuole che, nella sera precedente la festa, si accendano dei falò (i faoî), sistemati in luoghi aperti in modo da non causare problemi a persone o cose, prevalentemente sulla spiaggia (a-a mænn-a) o sul greto di un torrente (in ta giæa). Parlando della sua origine Tutto questo ha un preciso significato, a dire il vero più d’uno, ma andiamo con ordine. L’usanza troviamo l’usanza già presente nell’anno 1000, quando si accendevano fuochi per salutare il Sole invicto che raggiungeva il suo apogeo appunto in quel periodo. Più tardi i falò assunsero la funzione di deterrente nei confronti delle streghe che, secondo la tradizione, nella notte del 23 giugno avrebbero avuto dei poteri particolarmente efficaci. Poteri inibiti dal fuoco, proverbiale nemico di questa categoria, finché allo scoccare della mezzanotte san Giovanni non si sarebbe impossessato del suo giorno obbligando le streghe a battere sconsolatamente in ritirata.

Noi ragazzi allestivamo i falò accatastando legna di vario genere, per lo più materiale raccolto sulla spiaggia e cassette da frutta, attorno a un palo (normalmente un albero strappato alla campagna) sulla cima del quale veniva sistemata una bambolina comunemente chiamata biondinn-a. Ma si trattava della corruzione di miodinn-a, che in genovese significa strega (strìa). Nome che trova il corrispettivo italiano in merudina che, con l’iniziale maiuscola, diventa Merudina, che era una diversificazione del nome di Salomé. Da ciò si evince facilmente che quella bambolina-simbolo doveva ardere sul rogo per far scontare la pena del suo crimine a colei che aveva fatto decapitare il santo.

Nino Durante
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