Di Angelica Lubrano

I documenti e i riconoscimenti della Lotta di Liberazione sono sempre stati “declinati” al «maschile». I dati ufficiali della partecipazione femminile alla Resistenza hanno quindi scontato criteri di riconoscimento e di premiazione puramente militari, non prendendo in considerazione i “modi diversi”, ma non per questo meno importanti, con cui le donne parteciparono ad essa. Per questi motivi si parla di Resistenza taciuta. I dati, sicuramente parziali, per le ragioni che spiegheremo nel corso di questa conversazione, sono i seguenti:

  • 70.000 donne organizzate nei Gruppi di Difesa della Donna;
  • 35.000 donne partigiane, che operavano come combattenti;
  • 20.000 donne con funzioni di supporto;
  • 4.563 arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti;
  • 2.900 giustiziate o uccise in combattimento;
  • 2.750 deportate in Germania nei lager nazisti;
  • 1.700 donne ferite
  • 623 fucilate e cadute;
  • 512 commissarie di guerra;

Le partigiane italiane decorate con medaglia d’oro al valor militare furono, pertanto, (solo)19:

  • Irma Bandiera
  • Ines Bedeschi
  • Gina Borellini
  • Livia Bianchi
  • Carla Capponi
  • Cecilia Deganutti
  • Paola Del Din
  • Anna Maria Enriquez
  • Gabriella Degli Esposti Reverberi
  • Norma Pratelli Parenti
  • Tina Lorenzoni
  • Ancilla Marighetto
  • Clorinda Menguzzato
  • Irma Marchiani
  • Rita Rosani
  • Modesta Rossi Polletti
  • Virginia Tonelli
  • Vera Vassalle
  • Iris Versari
  • Joyce Lussu (Medaglia d’argento al valor militare)

L’immagine più diffusa è quella delle donne con compiti di staffette, cioè le 20 mila con funzioni di supporto: trasportare armi o il plastico per gli attentati, documenti, volantini, stampa clandestina, ecc. Anche gli uomini svolgevano gli stessi servizi di supporto. Ma non venivano chiamati staffette.

Allora il maschile dì staffetta? Ufficiale di collegamento…

Il termine staffetta (Storia della Resistenza di Marcello Flores e Mimmo Franzinelli) é parola evocativa di servizi ancillari e poco consoni ai pericoli. Le donne in verità si sono sempre distinte per l’attento rispetto dei protocolli di sicurezza. E furono abili ed estrose protagoniste dell’arte d’improvvisare e far fessi i gelidi e sospettosi controllori nazifascisti.

Cosa ha spinto uomini e donne alla lotta partigiana?

Volendo sottolineare l’assoluta gratuità disinteressata dell’adesione femminile alla lotta partigiana va ricordato che, al tempo, dopo l’8 settembre, agli uomini non restavano che due opzioni: la coscrizione obbligatoria, cioè essere arruolati nell’esercito della RSI, al servizio dei nazisti per tenere il Paese sotto gli stivali dei tedeschi e aiutarli a massacrare altri italiani, o i campi di lavoro in Germania.

La scelta per gli uomini possiamo definirla, quindi, almeno in parte, necessitata, senza nulla togliere alle motivazioni ideali e culturali di questa scelta eroica per tanti di loro…

Per le donne no. Nulla le obbliga al rischio, alla lotta, alla clandestinità. Potrebbero rimanere a casa alla finestra, in attesa “ch’adda passà ‘a nuttata” come direbbe Eduardo De Filippo.

In molte donne la determinazione alla lotta partigiana ebbe carattere particolarmente forte perché lo scopo non si limitava solo al ritorno indietro alla vita di prima, ma al sogno di un cambiamento profondo per se stesse o, almeno, per le proprie figlie. Nella lettera di Paola Garelli alla figlia, Mimma, tante parole d’amore e una sola richiesta, quasi un lascito testamentario: “Studia”.

In molte di loro troviamo un forte desiderio di un mondo nuovo, più giusto e più libero non solo della dittatura fascista, ma anche della stanca democrazia liberale precedente, quella della monarchia umbertina e dell’ottriato, benevolmente concesso, Statuto albertino.

Le forti motivazioni ideali sarebbero a capo e spiegherebbero forse meglio l’empito del sacrificio eroico, portato fino all’estremo sacrificio, per esempio, delle brigate garibaldine, d’ispirazione marxista, che contarono il più alto numero di caduti: il sacrificio supremo della propria vita per il sogno di un mondo nuovo…

Perché Resistenza taciuta?

Taciuta, per molto tempo la partecipazione delle donne alla Resistenza perché quanto di orribile hanno dovuto sopportare proprio a causa della loro vulnerabilità, donne cresciute nel sacro rispetto del pudore, annichilite dalla violenza dei nazifascisti, non ne fu facile il racconto.

Spesso ci siamo chiesti perché, mentre per tanti partigiani si cominciavano a scrivere imprese, a ricordarne i ruoli nella Resistenza, i primi documenti, le prime notizie, subito dopo il 25 Aprile del 1945, i primi libri sulle donne partigiane si pubblicarono solo trent’anni dopo nel 1975. Basta un calcolo veloce: le ventenni del ‘45 hanno ormai più di 50 anni… A 20 anni si vuole solo dimenticare. In tante non vi riusciranno mai.

Il silenzio sfiora anche il tema della reputazione personale. La promiscuità ancora oggi è vista con sospetto, immaginatevi com’era considerata in una società che divideva le bambine dai maschietti persino nelle classi elementari…

Il prezzo pagato dalle donne riguardò anche le maldicenze e i sussurri malevoli alle spalle.

Anche fra gli stessi partigiani, purtroppo, spesso, troppo spesso, si riscontravano pregiudizi. Pregiudizi e stereotipi da cui non erano esenti, come anche oggi, le stesse donne partigiane, assumendo talvolta atteggiamenti addirittura misogini, volendo dimostrare di essere più realiste del re. Parlo del fenomeno della mascolinizzazione dell’immagine delle donne partigiane.

“La mascolinizzazione forzata, insieme al mascheramento della femminilità sono il prezzo pagato dalle donne che, assumendo ruoli pubblici, entrano nella dimensione considerata maschile della politica” dice Maria Teresa Sega dell’Istituto veneziano per la Storia della Resistenza.

Inutile sottolineare che è un fenomeno che persiste ancora oggi in molte donne pubbliche, che rivendicano il ruolo declinato al genere maschile. Quanto difficile e complicata sia stata l’esperienza delle donne nelle brigate partigiane persino l’abbigliamento, indossare i calzoni, rivelò qualche problematicità. D’altronde non possiamo stupirci se ancora nel 1990 Lara Cardella scriveva “Volevo i pantaloni”.

Accadeva purtroppo, che le donne, criticate talvolta violentemente anche in famiglia, sono state vittime di maldicenza sul loro comportamento: succedeva anche di passare per puttana piuttosto che “passare per le armi” dei nazifascisti come partigiana…

Naturalmente non vanno taciute le complicazioni che la convivenza forzata di uomini, spesso molto giovani e con il testosterone a mille, per la stessa situazione adrenalinica in cui si trovavano a vivere a indurre, talvolta, situazioni complicate, raccontate anche da scrittori come Italo Calvino ne “Il Sentiero dei nidi di ragno, o da Beppe Fenoglio in “Una questione privata”.

Ora, non si vuole qui assegnare punteggi di valore alla Dignità di ogni scelta. Qui ho voluto sottolineare il prezzo pagato dalle donne non solo nei termini dei rischi di sopravvivenza e di integrità fisica, ma anche in termini, appunto, di reputazione.

Anche Teresa Mattei, una delle Madri Costituenti, confessò il martirio e lo stupro abominevole subito in un’intervista a Gianni Minà solo nel 1997.

Cosa sia potuto accadere si raccontava nelle “marocchinate”, a tutti é noto di cosa si tratti. E qualcuno ricorda la “Ciociara”, il libro di Moravia e il film di De Sica e l’Oscar a Sofia Loren.

Le donne hanno preferito tacere gli obbrobri subiti. E non sempre le violenze e gli stupri sono stati considerati aggravanti nelle sentenze successive di processi ai nazifascisti; gli stupri, d’altronde, furono derubricati da delitto contro la morale e non contro la persona solo nel 1996.

L’unico Tribunale attivo è sempre rimasto quello della pubblica opinione. “Se la sono cercata”: sentenza ancora in auge.

La vera Resistenza venne subito (ed è ancora considerata solamente) quella armata. Tanto é vero che nella prima sfilata, il 29 aprile a Milano, la foto realizzata é, di fatto, una messinscena, addirittura con la presenza di un’attrice (Lù Leone).

Molte donne, pur ottenendo il riconoscimento di “partigiana combattente” si rifiutarono all’uso delle armi, nell’intima convinzione che la loro fosse una “guerra alla guerra”.

Lidia (Brisca ) Menapace: “ Non voglio imparare a sparare nella pancia di nessuno”, affermò.

In effetti la partecipazione delle donne alla Resistenza ebbe raramente carattere militare. Ciò non toglie che i GDD nel 1944, in occasione del loro primo anno di vita, in un giornale clandestino si esprimano con termini come: “combattenti in lotta per la conquista di diritti in battaglie per la libertà”.

Quelle che imbracciavano le armi (ce n’erano, naturalmente) confessavano un profondo e inesorabile odio per chi aveva massacrato loro familiari e persone care…

Beninteso portare il plastico sotto la gonna per gli attentati non era affatto meno pericoloso che stare in postazione sui monti.

Sicuramente per ciascuna di loro non deve essere stato facile superare i pregiudizi altrui, ma anche quelli sedimentati nell’anima di ogni donna sin dalla nascita, per bocca dei parenti o dei preti.

Del tutto assenti nell’immaginario collettivo modelli di riferimento, se si escludono figure quasi mitologiche come Anita Garibaldi, o le rivoluzionarie della Comune di Parigi per le comuniste dei GDD, o Giovanna D’Arco per le cattoliche.

La stessa fierezza che oggi si riscontra negli sguardi delle afghane e delle iraniane di DONNE VITA E LIBERTA’, Jin, Jîyan, Azadî (in curdo).

Prof. Angelica LUBRANO – ex Docente di Scuola Secondaria Superiore; Presidente *UDI – Unione Donne in Italia – Savona; ex Presidente Associazione Sandro Pertini di Stella; segretaria ANPI Fornaci Savona; scrittrice di saggi (Recupero Terre marginali) romanzi (ARON Delitti in Val Bormida) autrice e illustratrice di fiabe, racconti e poesie.

*UDI – Unione Donne in Italia è un’associazione femminista di promozione politica, sociale e culturale, senza fini di lucro. Nasce nel 1945 dai Gruppi di Difesa delle Donne antifasciste. Ha dato ben 11 delle 21 Madri Costituenti alla redazione del documento fondante della nostra Repubblica: la Costituzione, contribuendo nel tempo alla conquista di diritti sociali, culturali e civili delle donne, tra cui la legge194 e l’istituzione dei Consultori.

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