LA DOMENICA DEL PONENTINO
Rubrica settimanale di Narrativa e Poesia

VIA GOBETTI

Vita domestica

Pier Guido Qaurtero

Ma torniamo alla domenica mattina; tra gli altri rumori del risveglio, arrivava anche quello dell’acqua per il bagno: a quei tempi l’acqua calda, nel nostro caseggiato, si aveva solo in quelle prime ore della giornata festiva, e la mamma preparava la vasca, prima di venire a farci alzare. Nella stessa acqua, dopo, si sarebbe lavata anche lei. Anche il riscaldamento era razionato, e in certe giornate d’inverno non c’era da stare allegri: non dico che ci fosse il ghiaccio alle finestre, ma si formava una condensa bella spessa e l’acqua scendeva in tanti rivoletti giù per i vetri. Ricordo che molte volte in giornate di questo tipo, la sera, al rientro dal lavoro, mia madre dopo i saluti consueti andava ad attaccarsi al calorifero del tinello. Stava lì per un po’ in silenzio a scaldarsi il sedere e poi sbottava: “Ah!!… Io avrei potuto vivere all’età della pietra!… Purché ci fosse il riscaldamento…”

Si intende che, oltre alle ore passate al campetto, c’erano quelle della scuola e dello studio e altri momenti di vita domestica. Un momento particolare era alla domenica mattina, quando si dormiva un po’ di più e, nello svegliarti, sentivi subito il profumo del tuccu: il sugo alla genovese con il pezzo di carne che stava a consumarsi, lento, dentro alla casseruola della nonna, sciogliendo i suoi sughi più intimi nel parpellare dell’intingolo scuro e gustoso che poi avrebbe insaporito la pasta del pranzo. A seguire, di solito, avevamo lo stracotto con patatine arrostite (tutt’oggi una specialità di famiglia) e poi le paste, comprate alla pasticceria della Signora Palumbo. Per un certo periodo, mangiammo spesso il pollo, seguendo i consigli di Ugo Zatterin, un giornalista radiotelevisivo impegnato in una campagna per la promozione del Made in Italy… I pasti venivano consumati in silenzio, ascoltando la radio, dove c’erano trasmissioni dialettali come “A Lanterna”, con “o sciò Rattella”, interpretato da Giuseppe Marzari, oppure commedie, anch’esse in genovese. Dicevo della radio, e non è quasi il caso che parli anche della televisione, che non avevamo. A quei tempi c’era un solo canale, in bianco e nero, e capitava di vedere delle trasmissioni in casa di parenti, oppure di essere invitati da un vicino di casa ad assistere a Lascia o Raddoppia, con Mike Bongiorno oppure Domenica è sempre domenica (ma non sono sicuro che si chiamasse così), con Mario Riva. In compenso, si comprava il Secolo XIX (e al lunedì la Gazzetta del Lunedì) e c’era anche il giornale settimanale per noi bambini: il Corriere dei Piccoli, con le storie di Alibella, Gelsomino ladro buono, Scooterino, il Signor Bonaventura (che ogni volta aveva un premio di un milione). Più tardi, in altre pagine di quel giornale, trovammo le avventure di Tommy River, raccontate dalla penna dal grande Mino Milani, e sul Vittorioso le storie di Cocco Bill, Pippo Palla e Pertica e l’Arcipoliziotto Cip. Topolino, Cucciolo e soprattutto l’Intrepido erano banditi: la nonna li aveva messi all’indice. Ricordo che all’Esame di Ammissione (in quinta elementare, allora era considerata una prova importante, fui secondo, con due otto e due nove. Mia madre, tornando a casa, mi comprò una copia di Topolino, come premio, ammonendomi: “Non farci l’abitudine, eh?”

Era una giovane vedova, in quei tempi lì, e ogni tanto aveva le sue cose (l’ho capito molto dopo, naturalmente) e allora c’era un altro rito. Dopo essersi scaldata, andava a sedersi al suo posto a capo tavola e la nonna le portava i biscotti del Lagaccio e una bottiglia di vino imbottigliato (la tradizione voleva che tenessimo in cantina dolcetto e barbera). La mamma ci metteva dentro un cucchiaino abbondante di zucchero e il liquido nel bicchiere si metteva a friggere, crescendo in una bella schiuma rosa, dove poi i biscotti venivano pucciati per la consolazione dell’invalida.

Un altro rito era quello del venerdì, legato alle regole della chiesa cattolica. Allora, una volta alla settimana, c’era l’obbligo di astinenza dalla carne. Era una buona occasione per mangiare le acciughe (il pesce era consentito) aperte a libretto, impanate e fritte, ma soprattutto, alla sera, qualcosa di inusuale: qualche volta, la nonna faceva la pizza, oppure deliziosi tramezzini con tonno maionese e insalata, ma il momento veramente felice era quando, per qualche circostanza veramente eccezionale, ci trovavamo fuori casa, in qualche tramonto estivo, e la mamma ci portava alla sciamadda, vicino all’incrocio di Via Zara, dove comperava la farinata. Sarà perché eravamo giovani, ma tutto quello che mi viene da dire è: erano bei tempi.

Puntate Precedenti Via Gobetti:
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(2)La Romana
(3)Il campetto

Pier Guido Quartero
Opere dell’autore pubblicate da Liberodiscrivere

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