LA DOMENICA DEL PONENTINO
Rubrica settimanale di Narrativa e Poesia

VIA GOBETTI

(2)LA ROMANA

Dicevo, l’altra volta, della Valletta Cambiaso e dei contadini che ci vivevano quando arrivammo noi, nei primi anni cinquanta. Ma non c’erano solo loro. Proprio davanti al nostro caseggiato, c’era un ampio spazio, (che poi ebbe il nome di Campetto) in parte ricoperto da tettoie e in parte lasciato aperto, dove il Sig. F. teneva materiali edili.

Per sé e per la propria famiglia, il, Sig. F. aveva costruito nella parte più alta del terreno una casetta a un solo piano, costituita da tre o quattro stanze poste una in fila all’altra. Dentro ci abitavano insieme a lui la moglie e due figlie: la Sofia, più grande, e la Romana, mia grande amica. Di fianco alla casa, il Campetto era in discesa, e c’era una specie di terrazzino con un bersò e un bell’albero di fichi neri dalla polpa rossa e dolce; a fianco, una vasca con i pesci rossi circondata da un’aiuola dove il padrone di casa coltivava delle carotine fresche e croccanti. Usando l’acqua della vasca, noi bambini, quando ce ne davano il permesso, ne sciacquavamo qualcuna, per poi sgranocchiarla con grande piacere. C’erano anche delle galline, che nascondevano le loro uova tra i materiali del deposito, e una volta successe che la Romana, mentre si aggirava sotto alle tettoie, tutta concentrata nella ricerca, finisse per mettere infilarsi nel piede un grosso chiodo. Per fortuna non c’era sangue e io non mi spaventai: afferrai il ferro per la capocchia e lo estrassi senza difficoltà, divenendo così l’eroe della giornata.

Era bello, nelle sere d’estate, ascoltare il Sig. F che suonava la chitarra, seduto sull’uscio della sua casetta. C’erano le rondini, in primavera, e a maggio giravano le lucciole. Ma c’erano anche i concerti delle rane: I marchesi Cambiaso, dai quali prendeva nome la valletta, avevano infatti una villa, costruita in altri tempi più in alto, oltre il campetto, sopra a dove si trovava ora la casa dei F. Lì sotto c’era un grande serbatoio per l’acqua, così, quando lui non suonava, ci teneva compagnia il cra cra proveniente dagli animaletti che abitavano nella cisterna.

Tutto questo ebbe termine quasi di colpo, per motivi che allora ero troppo piccolo per capire e sui quali la mamma e la nonna furono poi bravissime a glissare, mentre io e mio fratello Maurizio, distratti da cento altre novità, rinunciavamo presto a pensare ai vecchi amici per allacciare nuove relazioni con altri personaggi sopravvenuti nel frattempo. E voi mi direte che sonno stato uno stronzo, ma io vorrei vedere cosa avreste fatto voi se foste stati un bambino di quattro anni che aveva appena perduto il papà (questa del povero orfanello può anche darsi che decida di usarla un po’ di volte, ma forse anche no. Diciamo che cercherò di adoperarla di rado, ma voi promettete di tenere in vostri giudizi in sospeso per un po’, ok?)

Andò così. Da un giorno all’altro, i F. sparirono e non ne sapemmo più nulla. Solo adesso, raccontandovi questi ricordi di infanzia, mi viene da chiedermi a cosa fosse dovuta questa fuga. Posso dire che, pochi giorni dopo, vennero al campetto un certo numero di persone, e smontarono la casetta pezzo a pezzo, lasciando però tutti i mattoni, forse avendo deciso che non sapevano che farsene. Erano tempi in cui, per molti, i conti col fascismo non erano stati ancora chiusi. Pensandoci ora, magari si trattò di una resa dei conti, oppure si trattava di una questione di soldi. Va a sapere. E’ in nome di quell’antica amicizia, che oggi uso la lettera F per dare un cognome alla Romana e ai suoi familiari (e ora magari avete cambiato idea e pensate che sia stronzo, sì, ma per l’altro verso; ma ricordatevi della promessa che avete fatto.)

Per concludere tutta la vicenda, devo dirvi che la vidi ancora una volta, la Romana. Passò da noi un pomeriggio, e ci abbracciò. Poi lasciò alla nonna un biglietto con un numero di telefono. Quella sera stessa, la nonna raccontò l’accaduto alla mamma, aggiungendo che, in giornata, aveva poi telefonato la Sigra F, chiedendole di buttare via il foglietto e di dire a chi eventualmente li avesse cercati che non sapevamo niente di lei e della sua famiglia. Giorni dopo, venne uno in divisa (poteva essere un postino, un carabiniere o, per quello che ne capivo io, un netturbino…) a chiedere se sapevamo qualcosa della famiglia F. Mia nonna rispose di no, e io (piccolo idiota) saltai su: “Ma sì, nonna, ti ricordi…”. MI chiuse subito la bocca sparandomi addosso due occhi da tigre: “Cose ti dixi! Stanni sitto, ti, che ti no capisci ninte.”

Fortunatamente non ero proprio del tutto scemo. Scappai via, in un’altra stanza, e di questa cosa non si parlò più. Della Romana non ho saputo più nulla.

Puntate Precedenti Via Gobetti:
(1)Tugnìn

Pier Guido Quartero
Opere dell’autore pubblicate da Liberodiscrivere

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