Possiamo dire che il mio lavoro di scrittore (dilettante, ma scrittore) ha prevalentemente due filoni: quello della storia genovese, che ho ricostruito attraverso una saga familiare raccontata in una diecina di romanzi storici, dalla fine dell’Alto Medio Evo al 1948; quello  di Trekking a Genova, che propone un approccio alla città con percorsi orientati assai più alle periferie (geografiche e culturali) che al Centro, già oggetto del lavoro di molti altri; un terzo filone, volendo, è dato da una serie di romanzi gialli che furono oggetto dei miei primi tentativi di scrittura e che non ho mai pubblicato, se non per prova, in autoeditoria, agli inizi di questa mia nuova “carriera”.
Pier Guido Quartero

Vico Gattilusio

Chi avesse voglia di fare due passi dietro alla Porta Soprana, nell’area dei Piani di Sant’Andrea, potrebbe individuare con facilità un caruggetto che con buona probabilità fungeva da passaggio laterale della porta: un passaggio di servizio in direzione di Via del Colle da utilizzare quando quello principale, in tempo di guerra, veniva tenuto chiuso. Secondo quanto ci racconta Tomaso Pastorino nel suo Dizionario delle Strade di Genova, le case che si affacciano sull’angusto passaggio dovevano essere destinate ad ospitare i doganieri e i soldati addetti alla vigilanza della porta.

Sul muro di uno di questi edifici, possiamo vedere la targa che riporta il nome del vicolo . Un nome famoso, risalente almeno al dodicesimo secolo e al tempo delle Crociate: quello della famiglia Gattilusio, che ebbe l’apice della propria potenza nel quattordicesimo e quindicesimo secolo, quando costruì un impero nel Mediterraneo Orientale, dove ebbe il controllo di isole come Lemno, Samotracia e soprattutto Lesbo (Mitilene), oltre a città costiere dove impiantare i propri fondaci.

Tutto ebbe inizio quando, nel 1354, Francesco Gattilusio, validissimo uomo di mare, offrì il proprio aiuto e quello della propria flotta a Giovanni Paleologo, allo scopo di consentirgli di ritornare sul trono di Bisanzio, da cui questi era stato scacciato dall’usurpatore Cantacuzeno. Ottenuto il successo, Francesco ebbe in feudo isole e territori in terraferma, oltre alla mano della sorella del Basileo. Così, per più di un secolo, questa famiglia genovese, grazie alla posizione strategica conquistata nell’Egeo, ebbe grandi occasioni di arricchimento, soprattutto grazie al monopolio di fatto del mercato dell’allume, allora prodotto fondamentale nel processo di lavorazione dei tessuti.

E tuttavia, le ricchezze così accumulate non furono sufficienti a soddisfare gli appetiti dei Gattilusii, alcuni dei quali, tra l’altro, non disdegnarono di dedicarsi professionalmente alla pirateria. Un vero campione in questo ramo degli affari fu Giuliano, vissuto verso la metà del quindicesimo secolo: costui trasformò l’isola di Lesbo in un autentico covo, da cui dirigeva le attività della propria flotta, non avendo riguardi per nessuno, tanto che giunse ad assalire navi appartenenti ai propri compatrioti (causando non pochi grattacapi all’Officium Robariae istituito dalla Repubblica per gestire i reclami e le controversie in questa materia) e perfino una nave che trasportava merci per conto del proprio padre!

Pirati, dunque, ma nel tempo stesso principi, va detto: tanto che due donne della famiglia, Caterina ed Eugenia, giunsero ad essere despine (imperatrici) di Bisanzio; ma fermiamoci qua. Per chi ha voglia di leggere ancora, vi riporto qui di seguito un brano che spero vi interessi. Si tratta del diario di uno dei fratelli Capurro, protagonisti di “La Lettera Perduta” (Liberodiscrivere Edizioni, 2011), un piccolo romanzo che ho scritto qualche anno fa. Forse troverete che la scrittura del nostro giovanotto è un po’ sgrammaticata, ma dovete perdonarlo: lui non ha studiato e scrive e parla come può, ma in compenso è un ottimo marinaio.

GATTILUSIO (DAL DIARIO DI MATTEO) Ecco. Ho fatto conoscenza coi Gattilusio. Stavamo venendo su da Chio. Avevamo sbarcato gli schiavi e fatto rifornimento di acqua e di verdura fresca. Ci eravamo fermati quattro giorni, ai primi di giugno, anche per accordarci sul carico di allume e di mastice da prendere al ritorno. Poi siamo venuti su per andare a Pera. All’altezza di Mitilene ti vedo queste due galere che puntano nella nostra direzione. Ho subito pensato che erano pirati, ma poi ho visto la croce di San Giorgio e mi sono preoccupato un po’ meno. Se sono genovesi non daranno addosso a degli altri genovesi, ho pensato. Però un po’ preoccupato lo ero lo stesso, perché Marco Luxardo me lo aveva detto, quando mi stavo imbarcando, che quelli della Maona di Mitilene sono tipi che non vanno tanto per il sottile. Maniman mi combinavano qualche scherzo… Stavo con gli occhi aperti, vicino al timone, per tener d’occhio la situazione. Poi c’è stato un momento, quando ci sono arrivati a ridosso, che mi sono quasi rassicurato, perché non dovevano essere tanto bravi alla manovra, infatti quelli della galea più vicina hanno fatto un mezzo paciugo coi remi e si sono messi di traverso, a rischio che noi li speronavamo. Così stavo per dare l’ordine di orzare a mancina. Per fortuna che mentre mi giravo ho dato un’occhiata alla direzione e ho visto la schiuma… Quei figli di brave donne volevano mandarci sulla secca!! Io lo so cosa succede in quei casi lì. Mio fratello, che non esce quasi di casa ma legge e studia e tratta con tutti i notai e i banchieri e gli armatori e i mercanti, me lo ha raccontato. Quelli che non possono abbordarti per la guerra di corsa perché con loro sei in pace e non vogliono passare per pirati perché la corda al collo non ci piace, usano quel trucco lì. Manovrano per mandarti su una secca che loro conoscono bene. Poi, con la scusa di salvare il carico, ti vengono a bordo e, che tu voglia o no, ti portano via la roba… Ci mancava altro, che poi quelli dell’Ufficio di Ruberia di Pera magari ti danno anche ragione, ma ci vuole un sacco di tempo e magari perdi la stagione… E poi chi ci va a Mitilene a farsi dare la merce o i soldi che vale? Ma questi ragionamenti li faccio adesso. Perché allora, in quel momento lì voglio dire, ho solo gridato con tutta la forza: “Sperona!!!”. E lì si è visto che non erano affatto imbranati come avevano fatto finta. Hanno fatto una manovra velocissima e si sono defilati nel tempo di dire amen. Così gli siamo passati tanto vicino che se allungavo la mano gli davo una sberla. Invece, un po’ per prenderli in giro, un po’ per fargli un complimento per la manovra, ho fatto un gesto come se mi levavo il cappello, e di là quello che doveva essere il loro capo mi ha restituito la cortesia. Bisogna dire che noi genovesi, anche quelli di Mitilene, siamo proprio dei signori del mare.

Pier Guido Quartero
Opere dell’autore pubblicate da Liberodiscrivere

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