E parolle do Messiavo – Una specie di ritorno alle origini della parlata e delle tradizioni genovesi – Rubrica a cura di Nino Durante

Due parole (do Messiavo, s’accapisce), a cui noi genovesi non potremmo mai rinunciare sono Mugugno e Maniman.

Non saprei indicare quali delle due identifichi maggiormente il nostro modo di vivere, ma mi viene da pensare che se il genovese ha inventato il mugugno, il maniman ha inventato il genovese. Ma procediamo per gradi.

Mugugnare sappiamo tutti che significa protestare, lamentarsi, far valere le proprie ragioni, a volte anche a torto. Ma queste definizioni non sono sufficienti, in quanto il mugugno doc è qualcosa di più, tanto che è stato riconosciuto come nuova parola, pulsante di vita propria, della lingua italiana, e inserito quindi in tutti i dizionari. Cosa che, adesso, permetterà a tutti quanti di mugugnare, anche agli appartenenti ad altre regioni, ma nessuno potrà mai mugugnare come lo facciamo noi.

Un tempo, e succedeva solo a Genova, quando un marinaio stipulava un contratto di lavoro con l’armatore, poteva scegliere fra due tipi di contratto, con diritto di mugugno oppure senza questo privilegio. È chiaro che chi optava per la prima soluzione doveva giocoforza rinunciare a una parte della sua paga, ma se non altro poteva tranquillamente farsi le proprie ragioni, sempre e comunque, in perfetta sintonia con la linfa delle sue radici.

Il Maniman, invece, identifica una nostra spiccata tendenza che potrebbe anche essere considerata virtù, che è la cautela, l’agire lentamente, prevenire.

Infatti la parola stessa, mani… man, suggerisce come procedere, sia in senso pratico che figurato: man mano, toccando con mano dopo mano come se ci si muovesse al buio, con molta attenzione. Viene usato in più occasioni, diverse fra di loro ma che poi portano tutte nella stessa direzione. Così usiamo il maniman quando consigliamo a qualcuno un certo comportamento del tipo: “Piggite o pægua, che maniman ciueve.” “Prenditi l’ombrello che potrebbe piovere, non si sa mai.” E qui emerge la prevenzione.

Oppure del tipo: “Ma vëgne armeno quarchedun?” “Scì, vëgnan de maniman (alla spicciolata, lentamente).” E qui emerge il concetto di gradualità.

Ma lo usiamo anche quando vogliamo rimproverare qualcuno  titubante nel dover fare un lavoro per nulla pericoloso: “Belin (in genovese è una esclamazione ormai universalmente riconosciuta), maniman ti te bruxi!” “Cavolo, e cos’hai paura di bruciarti?” E qui compare la sollecitazione.

E a proposito del pægua menzionato qualche riga fa, vorrei sottolineare come noi genovesi, a volte, siamo molto più precisi rispetto alla lingua italiana nella scelta di certi termini, proprio come in questo caso. Infatti il pægua corrisponde all’italiano ombrello, ma se analizziamo semanticamente i due termini, ci rendiamo conto che l’ombrello, cioè un oggetto che serve a far ombra, in italiano lo si usa per riparasi dalla pioggia: un controsenso!! Noi, invece, quando piove, usciamo col pægua, cioè col paracqua, in perfetta sintonia con la coerenza!!

Ancora una annotazione. A proposito di mani, vi ricordo che in genovese,  se al singolare fa man, al plurale fa moen.

“Ti l’æ zà dæta a pittüa a-a barca?” “Gh’ho dæto solo a primma man.” Se invece avesse finito il lavoro risponderebbe: “Ghe n’ho dæto træ moen.”

Nino Durante
(Informazioni sull’autore)
[Altri articoli de E PAROLLE DO MESSIAVO]

Nino Durante
Classe 1948, praese DOCG, Nino Durante è quello che si può definire un artista poliedrico. Cantautore con all’attivo centinaia di testi rigorosamente in lingua “zeneise”, scrittore, conduttore radiofonico, pittore. La conservazione e la diffusione della lingua genovese e di tutto ciò che le gira intorno è, possiamo dirlo senza timore di venire smentiti, la sua missione.

                                                                      

image_printScarica il PDF