Di Paola Bonati

Ogni tanto mi soffermo su tutto ciò che di positivo è stato fatto e ci circonda e proprio perché è lì, scritto e silenzioso, mi sento di ricordarne appieno il valore.

Mi riferisco alla possibilità, grazie alla legge n. 194 del 22 maggio 1978, che hanno le donne, di poter decidere che cosa fare in caso di gravidanza ovvero non essere perseguite penalmente nel caso valutassero di interromperla.

Non è stato sempre così…..Annie Ernaux, premio Nobel per la letteratura in un film autobiografico “L’èvènement” (la scelta di Anne) descrive le difficoltà che doveva affrontare una ragazza quando nel corso degli anni 60’ in Francia non era ancora in vigore la legge Veil (del 17 gennaio 1975)… Penso alle difficoltà che si incontrano anche in caso di restrizioni alla legge stessa , come avviene ad esempio nel Texas , in cui è vietato l’aborto dopo le sei settimane e dove l’indulgenza nel caso di un brevissimo sforamento del termine si traduce in multe salatissime ovvero in denaro per le casse delle Contee.

Perché quando una donna non può decidere del proprio corpo, non ha potere né sul proprio presente né sul proprio futuro. Di questo se ne disinteressa chi pensa di risparmiare somme di denaro (pensiamo al risparmio nella voce di spesa destinata ai consultori ecc…) e le destina ad altro, oppure, chi ritiene che la donna sia semplicemente da sistemare nella casella “madre” a prescindere, svilendo le donne in questo unico ruolo primario e privandola di tutto quell’universo che è la loro femminilità.

Ma chi è questa madre, che bisogni ha, che esigenze ha, ed il bimb*… che esigenze avrà? avrà diritto ad una madre “sufficientemente buona” (Winnicot)? …; dovendosi occupare di un bambin*, senza una rete sempre funzionante di asili nido e sostegno all’infanzia, la donna non può avere tempo per il lavoro, per lo studio, per le reti di relazioni. Incasellandola nel dovere di madre a prescindere dalla sua scelta. Viene ignorato quel processo di identificazione che le generazioni del dopoguerra hanno così faticosamente provato a far comprendere come significato e che ancora oggi nemmeno tutti se lo sono posti come problema.

Un quasi impossibile tentativo di conciliare il processo di identificazione fino alla completa realizzazione con una maternità non fortemente voluta. Quel processo per cui al di là di un giudizio o di una programmazione sociale l’individuo si sviluppa secondo le proprie inclinazioni e i propri talenti e secondo il quale la genitorialità è un momento di consapevolezza nella definizione di un percorso nuovo di vita, di scelta, personale, libera ed autonoma, da portare avanti con la propria totale dedizione.

“Incrementare la natalità è sempre una frase che mi lascia stupita, per non dire basita o sconvolta, quando questa frase viene pronunciata da qualche leader totalitario. Come se i corpi delle donne, in massa, come negli allevamenti intensivi di animali, possano essere esclusivamente ridotti a generare altri corpi. Il corpo della donna assurto ad esclusivo strumento riproduttivo e privato del suo cervello, del suo cuore, della sua anima che sono il motore principale degli esseri umani.

L’amore, i figli dell’amore e per l’amore dove li mettiamo? Tutti questi non rispondono alle necessità di crescita demografica di un paese. La maternità consapevole non risponde né si cura dell’aspetto macro dell’economia e del regime politico. Paradossalmente, una legge sull’interruzione volontaria della gravidanza è la cartina di tornasole per una maternità scelta e voluta da una persona, che la porta a compimento con l’amore ed il rispetto che si ha per un dono gradito.

Non so esattamente perché abbia sentito la necessità di scrivere queste cose, forse perché in fondo una sensazione di disagio misto a paura si avvicina quando alcuni temi sociali diventano secondari rispetto agli interessi economici o a credenze maggioritarie. Temo inoltre, che non solo non si facciano passi avanti per una complessiva valorizzazione della donna, ma si possa addirittura arretrare sul fronte delle possibilità di scelta, con disagi sociali sempre meno contenibili.

Paola Bonati
Paola Bonati cinquantaquattrenne di Genova con lo sguardo al mare e all’Europa per anni ha lavorato nel settore sociale con anziani, disabili e minori, gestendo strutture e impegnandosi per migliorare la qualità della vita di ciascuna componente interessata. Laureata in scienze politiche ha vissuto la sua esperienza lavorativa sia in ambito di aziende internazionali sia in realtà cooperative di dimensione nazionale o locale. Mamma single e ora nonna ha come fil rouge della sua vita l’ inclusione che a partire dalla famiglia dal microcosmo può caratterizzare un ambiente più vasto portando ad un evoluzione positiva della società e delle sue organizzazioni.
Ora progettista sociale collabora con il Ponentino su temi di attualità.

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