[Di Francesca Garaventa]

La Liguria, con i suoi 350 Km di costa, rappresenta un punto di osservazione privilegiato sul Mar Mediterraneo. Se si considera che la lunghezza delle coste che si affacciano sul Mar Mediterraneo è pari a 46.000 Km, appare subito evidente che la piccola Liguria è davvero un palchetto nel teatro dell’osservazione della Natura.

Provando a fare un ulteriore salto osservativo, si può poi considerare che il Mar Mediterraneo rappresenta all’incirca l’1% della superficie dei mari globali ma, da una analisi effettuata nel 2017 nell’ambito della WWF Mediterranean Marine Initiative, genera un valore economico annuale pari a 450 miliardi di dollari che lo rende la quinta economia della regione dopo Francia, Italia, Spagna e Turchia.

Questo dato ci può sicuramente sorprendere ma descrive solo parzialmente l’importanza e la ricchezza del Mare Nostrum. Infatti, questa piccola frazione delle acque salate ospita un elevato numero di specie animali e vegetali che rappresentano quasi il 20% della biodiversità marina mondiale, raffigurandosi così come un bene da un valore intrinseco che va ben oltre quello economico.

Tale bene che contempliamo dal nostro palchetto non è esente dall’allarmante declino che caratterizza l’ecosistema marino a livello globale e, più in generale, il pianeta nel suo insieme.

Ormai è ampiamente confermato che, a partire dalla metà del secolo scorso, l’impatto delle attività antropiche sul pianeta e sulla biosfera ha subito una accelerazione che lo ha portato ad un aumento esponenziale. Moltissimi parametri, quali la crescita demografica, l’espansione delle città, la creazione di rifiuti, lo sviluppo di sistemi economici e tecnologici basati sullo sfruttamento delle risorse naturali come se fossero infinite hanno seguito questo andamento.

L’umanità è entrata, ormai a pineo titolo, in un nuovo periodo della sua esistenza, un periodo in cui l’attività della nostra specie è in grado di alterare i sistemi fondamentali della Terra lasciando un’impronta visibile di questa interferenza. Questo nuovo periodo è stato identificato con il nome di Antropocene.

Nel 2009, il ricercatore svedese Johan Rockström, con suoi collaboratori, ha individuato nove limiti superati i quali l’equilibrio del pianeta verrebbe messo a rischio e con esso la vita dell’uomo.

I nove limiti individuati corrispondono a dei processi di alterazione che, se portati oltre ad una soglia limite, non permetterebbero più la vita in sicurezza degli esseri umani. Tali processi sono il cambiamento climatico, l’acidificazione degli oceani, l’esaurimento dell’ozono nella stratosfera, la perdita di biodiversità, il sovra-sfruttamento delle risorse idriche, i cambiamenti d’uso del suolo, le alterazioni dei cicli del fosforo e dell’azoto, il carico di aerosol atmosferico e l’inquinamento chimico.

Secondo i dati aggiornati, i valori limite di alcuni di questi sistemi sono già stati superati e i casi più evidenti e drammatici riguardano il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità.

Il modello di Rockström con i nove limiti planetari. In rosso sono evidenziati gli ambiti in cui la soglia limite è stata oltrepassata (Fonte: Nature, 24 September 2009).

Altri limiti sono in procinto di essere superati mentre altri ancora godono tuttora di una discreta salute anche se per alcuni di questi, come l’inquinamento chimico, ancora non sono stati fissati dei limiti interpretativi che ne permettano una completa valutazione.

Tra gli impatti antropici in grado di influire sull’equilibrio del nostro pianeta e quindi anche del mare, l’inquinamento da sostanze chimiche ed il rilascio nell’ambiente di nuove entità è, senza dubbio, uno di quelli che giocano un ruolo importante anche nella perdita di biodiversità.

L’inquinamento da sostanze chimiche si presenta sotto diverse forme, abbiamo inquinanti che vengono ormai identificati con il termine “tradizionali” in quanto presenti da molto tempo in ambiente e dei quali si ha una buona conoscenza delle concentrazioni ambientali, dei loro effetti e dei limiti normativi in grado di permetterne un buon livello di gestione.

In questa categoria ricadono composto come, ed esempio, metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici, pesticidi, PCB e Diossine.

Esiste invece un’altra categoria di inquinanti che vengono classificati come “emergenti” (in inglese, Contaminants of Emerging Concern, CEC) in quanto composti che potrebbero essere stati presenti nell’ambiente acquatico in passato, ma che solo di recente hanno sollevato preoccupazioni per i loro impatti sull’ecosistema o sulla salute umana e per tale motivo non sono ancora note tutte le informazioni necessarie ad una loro corretta gestione e tantomeno esistono dei limiti normativi o dei divieti in merito al loro uso.

Sebbene i composti emergenti includano più comunemente sostanze chimiche (di origine sintetica e naturale), come ad esempio interferenti endocrini (sostanze chimiche che possono alterare l’equilibrio ormonale degli organismi viventi), i farmaci, i prodotti per la cura della persona, sono compresi anche microrganismi, materiali come la plastica o i rifiuti elettronici e particelle, come le nanoparticelle o le microplastiche.

Foto by Lorenzo Moscia/Greenpeace

La ricerca sta facendo molto per studiare questi composti e per comprenderne la presenza, la dinamica e soprattutto gli effetti sull’ecosistema marino.

Questo articolo si pone l’obiettivo di essere il primo di una serie di pezzi che affrontino più nel dettaglio le questioni ambientali e scientifiche legate alle minacce che affliggono il nostro mare e di fornire un quadro dell’attività scientifica ed istituzionale che si sta mettendo in atto per trovare risposte in grado di ridurre il rischio legato a queste minacce, con l’obiettivo ultimo di rallentare il processo di superamento dei limiti che Rockstrom ha individuato come cruciali per l’esistenza del mondo così come è ora e la conseguente nostra presenza come ospiti di questo pianeta.
Francesca Garaventa
Primo Ricercatore presso l’ Istituto per lo studio degli Impatti Antropici e Sostenibilità in ambiente marino del CNR (CNR-IAS) di Genova. Biologa marina e grande amante del mare, si occupa della valutazione dell’impatto antropico sull’ambiente marino.

Francesca Garaventa è Primo Ricercatore presso l’Istituto per lo studio degli impatti Antropici e Sostenibilità in ambiente marino del CNR(CNR-IAS) di Genova. Biologa marina e grande amante del mare, si occupa della valutazione dell’impatto antropico sull’ambiente marino. Il suo primo servizio sul PONENTINO riguarda l’ecosistema marino ed è una grande lezione su un problema che coinvolge il destino del nostro pianeta che, com’è noto, è coperto per il 69% dall’acqua marina.
A volte si sente usare questo refrain per significare il pericolo che corre la nostra Terra: “Se non correggiamo i nostri comportamenti nei confronti della natura andremo verso la fine del mondo“. Non sarà affatto così, perché sarà l’essere umano a scomparire trascinandosi anche gli animali ma il mondo resterà. Il tema dunque è di scottante attualità e la scienziata Francesca Garaventa, un grande nome italiano nello studio delle scienze marine, scriverà per il nostro giornale, dopo questa sua prima uscita, una serie di grande interesse proiettata anche nel futuro.
Antonio Marani

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