CINENOSTALGIA

Una rubrica relativa alla mia cineteca del cuore: non tanto i migliori film che abbia mai visto, ma quelli che amo maggiormente, quelli, cioè, che non mi stanco di rivedere.
Riccardo Mora

JULES E JIM (1962)

Regia: François Truffaut

Sceneggiatura: François Truffaut e Jean Gruault

   

C’è abbondanza di materiale, se si vuole leggere in merito alle vicende relative al triangolo amoroso (composto da Helen Grund, Henri-Pierre Roché e Franz Hessel) narrato da François Truffaut in questo film del 1962: abbiamo innanzitutto il romanzo, all’origine il film, scritto Henri-Pierre Roché, pubblicato nel 1953 e lodevolmente tradotto da Adelphi.

Lo stesso Roché ci permette di seguire la vicenda grazie ai suoi diari, di cui ancora Adelphi ha pubblicato gli gli anni 1920-21, relativi al nucleo della vicenda

                                                     

Ma parliamo un momento di Roché, personaggio piuttosto interessante: studente di scienze politiche tentato dalla carriera diplomatica, pittore, intermediario d’arte, amico di Picasso e Duchamp, viaggiatore, pugile, insegnante di francese, di disegno, di scacchi, poliglotta, frequenta negli anni a cavallo della prima guerra mondiale, il circolo di Gertrude Stein, conoscendo pertanto artisti come Apollinaire, Matisse, Braque, Derain, Ezra Pound, Hemingway, Fitzgerald, Sherwood Anderson, Man Ray, Cocteau, solo per citare i più significativi.

C’è da dire che forse non veniva apprezzato proprio da tutti, a giudicare da quanto scrive Gertrude Stein nella sua “Autobiografia di Alice Toklas”:

“Roché era uno di quei tipi che non si può non incontrare a Parigi. Era una persona zelantissima, nobilissima, piena di devozione, molto fedele ed entusiasta, che presentava tutti a tutti. Conosceva tutti, li conosceva veramente e poteva presentare il primo venuto a qualunque altro primo venuto. Secondo lui faceva lo scrittore. Era alto, coi capelli rossi, e non diceva mai altro che ‘Bene, bene, eccellente’. Viveva con madre e nonna. Aveva fatto una quantità di cose: era stato sulle montagne dell’Austria con gli austriaci, era stato in Germania coi tedeschi, era stato in Ungheria con gli ungherese e infine era stato in Inghilterra con gli inglesi. Non era mai stato in Russia, malgrado l’avessero visto a Parigi con del russi. Come diceva Picasso di lui, ‘Rochè è tanto caro, ma niente più che una traduzione’.“

Purtroppo le vicende successive lo vedono fare scelte sbagliate: aderisce alla Repubblica collaborazionista di Pétain mentre Helen collabora con la Resistenza francese e Franz muore nel ’41, subito dopo essere stato internato in un campo di concentramento francese.

Anche il secondo lato del triangolo, lo scrittore ebreo-tedesco Franz Hessel,  ci racconta una sua versione idealizzata, relativa ai prodromi della storia, con “Romanza parigina

                    

Infine Helen Grund, colei che sarà la moglie di Hessel e poi l’amante di Roché, ci lascia il suo “Journal d’Helen”, che Adelphi aveva in programma di tradurre, progetto poi rientrato. Possiamo tuttavia in parte entrare nei ricordi di Helen grazie al bel saggio di Marie-Françoise Peteuil su di lei.

                                                            

Ma andiamo per ordine: nel 1957 François Truffaut scova per caso il romanzo di Roché e se ne innamora: non è difficile, si tratta di un romanzo ben scritto, con un linguaggio estremamente sobrio ed essenziale (si potrebbe pensare che lo stile sia mediato dall’abitudine che l’autore ha avuto per tutta la vita, di tenere un diario composto da brevi notazioni). In realtà Roché inizia a scriverlo nel 1935, per pubblicarlo solo nel 1953, dopo un ininterrotto lavoro di elissi durato diciotto anni.

Si mette in contatto con l’autore, che si dichiara interessato alla realizzazione del film; tuttavia Truffaut, critico cinematografica che non si è ancora cimentato dietro la macchina da presa, non si sente ancora sicuro di sé stesso. Gira primai due film, “I quattrocento colpi” e “Tirate sul pianista”. Solo dopo aver acquisito la sicurezza dei suoi mezzi (e uno strepitoso successo con la sua opera prima) riprende i contatti con Roché, che avrebbe dovuto scrivere, assiame a Truffaut, la sceneggiatura, ma che muore tuttavia prima dell’inizio delle riprese (Il suo ruolo verrà svolto egregiamente da Jean Gruault).

La storia è nota: Jim (Henri Serre), francese, conosce a Parigi il tedesco Jules (Oskar Werner), diventano amici inseparabili, hanno gli stessi interessi letterari, praticano assieme sport, conoscono ragazze.

Un giorno un amico mostra loro la diapositiva di una statua col volto di una donna dal sorriso enigmatico: entrambi se ne innamorano.

Un giorno conoscono una ragazza con quel sorriso, Catherine,

https://www.youtube.com/watch?v=5F5bm66hemg

Jules la corteggia, le chiede di sposarlo e lei accetta.

Allo scoppio della guerra i due amici sono su fronti opposti e sperano di non ammazzarsi reciprocamente.

A guerra finita Jim va a trovare la coppia, che nel frattempo ha avuto una figlia e si accorge subito che le cosa fra i due non vanno troppo bene: Catherine ha un amante, il vecchio amico Albert che aveva mostrato loro la testa di donna dal sorriso misterioso.

Si inaugura uno strano ménage, con Albert che frequenta gli amici e sporadicamente va a letto con Catherine. Compone una canzone, “La tourbillon de la vie”, il cui testo può essere considerato il manifesto del film: “On s’est connus, on s’est reconnus, on s’est perdus de vue, on s’est perdu de vue, on s’est retrouvés, on s’est rechauffés, puis on s’est séparés. Chacun pour soi est reparti, dans l’tourbillon de la vie”

https://www.youtube.com/watch?v=2-oMudugEgg

Poi anche Jim s’innamora di Catherine, ricambiato e comincia un sofferto rapporto, col beneplacito di Jules.

https://www.youtube.com/watch?v=VJflB6w_-SQ

Le storia si deteriora e finisce. Dopo anni si rivedono ed il finale sarà tragico.

https://www.youtube.com/watch?v=078rmC3zq3M

A suo tempo, in veste di critico, Truffaut aveva acceso una forte polemica col suo articolo “Una certa tendenza del cinema francese” (che sarà poi considerato il manifesto della “Nouvelle vague”): Egli infatti stigmatizzava violentemente il modo di certi sceneggiatori (particolarmente (Aurenche e Bost) di trasporre le opere letterarie in termini cinematografici, sostituendo, là dove non era possibile trasporre in immagini un determinato dialogo, con “scene equivalenti”. In polemica con questa abitudine, sceglie la voce fuori campo: “quando il testo è impossibile da trasformare in dialogo o è troppo bello per essere tagliato”.

C’è da dire che Truffaut, la cui quasi totalità della produzione deriva da romanzi, ha adottato questa tecnica solo in questo film e nel successivo (1971) “Le due inglesi”, il secondo e ultimo romanzo di Roché.

Dobbiamo pertanto supporre che Truffaut ritenesse che gli altri romanzi da lui trasposti non avessero dialoghi “troppo belli per essere tagliati”.

A proposito de “Le due inglesi”, dobbiamo sottolineare che vi sono passaggi da uno dei due romanzi di Roché a passare nel film ricavato dall’altro e viceversa (ad esempio la giovane anarchica), come viene acutamente rilevato da Sergio Volpe in “Truffaut legge Roché”

Rispetto al romanzo viene abbondantemente tagliata la vita amorosa dei due amici prima dell’arrivo di Catherine, attribuendo a lei episodi e caratteristiche presenti nelle quattro ragazze che precedono la sua comparsa.

E’ importante sottolineare che, rispetto al romanzo, in cui Roché dà preponderanza a Jim (il suo alter-ego), Truffaut procede ad un riequilibrio fra i protagonisti, soprattutto nei confronti di Catherine.

Gli attori sono ineccepibili, anche fisicamente simili ai veri protagonisti. Tuttavia, se la già nota Jeanne Moreau diventa da ora un’icona indimenticabile, gli interpreti maschili avranno carriere modeste, sia Oskar Werner che Henri Serre.

A proposito di quest’ultimo, Truffaut a suo tempo aveva espresso disagio nel dirigere un attore tanto più alto di lui, ripromettendosi di non farlo mai più: in effetti, quando dirige “Le due inglesi”, ingaggia il proprio attore-feticcio, Jean-Pierre Léaud e non sono sicuro che la scelta abbia molto giovato.

Al tempo la vicenda desta scandalo, ma in realtà si tratta di una film molto morale che afferma in sostanza non esistere una composizione armoniosa e funzionante al di fuori della coppia.

A causa dell’apparente torbida relazione che unisce i protagonisti, il film arriva in Italia solo grazie all’interessamento di Roberto Rossellini e Dino De Laurentiis

Nel 1980 il regista americano Paul Mazursky ne fa un remake, dal finale meno drammatico, intitolato “Io, Wllie e Phil”, niente più che carino, ma niente a che fare con l’originale.

Jules e Jim è disponibile su Raiplay o, in acquisto online, a €.9,99 (soldi, a mio parere, naturalmente spesi benissimo!)

Riccardo Mora

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