Al Teatro del Ponente di Genova Voltri, Fondazione Luzzati Teatro della Tosse, sono state presentate tre  performance dal titolo “Un nodo in gola“, per altrettanti piccoli gruppi formati da diciotto spettatori ciascuno, i quali hanno lasciato se stessi nel foyer (insieme a i loro telefoni cellulari), per immergersi in diverse esperienze sensoriali che si sono ripetute durante le  tre serate di programmazione. Lo spazio non è quello abituale: qui si realizza davvero la rottura della quarta parete, non vi è alcuna barriera immaginaria tra chi osserva e chi coinvolge e conduce. Non esiste un palco, non vi sono luci sopra, poltrone sulle quali accomodarsi.

Seduti nella penombra di fioche lucine gli spettatori vengono esortati a partecipare, ad aprire questo insolito vaso di Pandora dei ricordi, davanti ad una miriade di foto in bianco e nero, tutte sparpagliate, mentre anche l’olfatto è avvolto da un profumo indecifrabile. L’intento è quello di trascinare in modo piacevolmente stupito e radunare intorno ad un tavolino basso, pieno zeppo di ricordi che non appartengono ai presenti.  Sono ricordi di estati adolescenti e bambine, di genitori e nonni, di case e di vacanze in riva al mare, di sguardi rubati dall’obiettivo di padri, sorelle, amici. Non appartengono a chi assiste ma è come se lo fossero. Torna alla mente la famosa frase di Tolstoj “Tutte le famiglie felici si somigliano …”. 

Con grazia, viene chiesto di scegliere una foto per poi essere racchiusa in un piccolo scrigno. A caso l’istinto guida nella scelta. Poi il buio. Preso per mano ogni spettatore percepisce che si sta muovendo, e di questo movimento, che conduce in un altro ambiente nella totale oscurità, si fida. Seduti su semplici panche di legno, una luce  illumina un piccolo acquario dove una giovane donna fluttua nell’acqua chiara, si immerge per poi riemergere e dire: “Le cose non sono come sono, ma sono come siamo”.  Non ci si pensa mai, ma è proprio così. La sensazione che suscita quella miniatura di azioni, di brevi frasi, che fino ad ora si è materializzata, si fa sempre più intensa, malinconica.

Il pensiero riporta indietro a personali momenti di vita vissuta, arrivati all’improvviso e dai quali tutti vengono travolti. Questo percorso prosegue, fatto di azioni guidate con delicatezza, di parole e gesti non comuni. Un piccolo mondo antico in grado di diventare intimo, emozionale. Un altro ambiente, un altro tavolino, una tazza vuota posata sopra al suo piattino ed una teiera fumante.  Ognuno viene esortato a riempire la tazza tanto quanto è la propria paura. C’è chi la riempie fino all’orlo, la prende con delicatezza e beve le proprie ansie al sapore di tè.

Questa è Gabriella Salvaterra con il suo Sense Specific Theatre. Tutto è capovolto in codesto lavoro, a partire da i codici teatrali a i quali siamo abituati, dove anche il pubblico diventa parte di questo scambio. Il seguito della performance è ancora più magico, più sensazionale e sensitivo. dando spazio ad un’emozione personale, collettiva ma individuale. È un vero e proprio labirinto di sensazioni dal quale non si vorrebbe uscire mai, una specie di guscio accogliente, anche se un poco scomodo.

È il Teatro di Gabriella Salvaterra, regista, attrice, performer, la quale per due decenni è stata al fianco del regista ed antropologo colombiano Enrique Vargas, fondatore del Teatro de Los Sentidos, il gruppo di ricerca che ha come obiettivo la formazione permanente, fonte vitale di rinnovamento e di approfondimento di un linguaggio, coniando una poetica le cui fondamenta sono state proprio quelle dei sensi che appartengono ad ogni individuo. Vargas e Gabriella Salvaterra negli anni hanno portato avanti molti progetti, facendo del centro di produzione teatrale Il Funaro, il loro site-specific, ancor prima di essere restaurato, rendendolo parte integrante delle loro creazioni.

La sensazione è simile a quella di aver attraversato un piccolo Paese delle Meraviglie, dove l’immaginazione personale ed i sensi ne sono stati la chiave principale. Lasciando storditi e riflessivi con il desiderio di non abbandonare questa sorta di avvolgente liquido amniotico. Lasciando con un tenero, malinconico e dolce nodo in gola.

Perché le cose non sono come sono, ma sono come siamo”.

Novembre, Teatro del Ponente di Genova Voltri, Fondazione Luzzati Teatro della Tosse di Genova

[Foto: Credits SST]

Beatrice Iasiello

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