Il Contastorie

Rubrica a cura di Roberto Gerbi
Il piacere di scoprire storie curiose, divertenti, drammatiche che un appassionato di libri ha ritrovato in biblioteche polverose, vecchie riviste e, qualche volta, in internet


Padre Ernetti e il cronovisore

Aristotele nell’Etica Nicomachea, citando il poeta tragico Agatone, afferma decisamente che neppure un dio può cambiare il passato.

Nonostante tale affermazione, l’uomo è sempre stato affascinato dall’idea di viaggiare nel tempo, di poter osservare i più importanti avvenimenti avvenuti nel passato, e persino di poterli modificare, cambiando così la storia e il presente.

Nel 1881, Edward Page Mitchell, uno scrittore oggi dimenticato, pubblicò L’orologio che andò al contrario (The Clock that Went Backward), un breve racconto circa un orologio che permetteva di andare indietro nel tempo. Per la prima volta si narrava di un viaggio nel tempo compiuto utilizzando un mezzo meccanico e non la magia o altri mezzi fantasiosi.

Il racconto passò inosservato ma fu forse lo spunto per un romanzo che ebbe invece un enorme successo: La macchina del tempo (The Time Machine), pubblicato nel 1895 da H.G. Wells.

Da quel momento prese inizio un filone narrativo apparentemente inesauribile e che conta oggi centinaia, se non migliaia, tra romanzi e racconti, film, fumetti, serie televisive e videogiochi. Tutti i più grandi autori di fantascienza e di letteratura fantastica si sono cimentati sul tema, da Asimov a Van Vogt, da Dick a Crichton e a Stephen King; per non parlare di film dall’enorme successo commerciale come Terminator o Ritorno al futuro. Quest’ultima pellicola è del 1985, ma il regista Zemeckis non teneva conto che, nel frattempo, in Italia, una vera macchina del tempo era stata inventata ormai da anni.

È il 2 maggio 1972; sulla prima pagina della Domenica del Corriere appare una notizia a caratteri cubitali: “Sensazionale rivelazione. Inventata la macchina che fotografa il passato”.

All’interno del giornale si trova un lungo articolo di Pietro Maddaloni che contiene, tra l’altro, un’intervista all’inventore, il monaco benedettino padre Pellegrino Ernetti.

Il giornalista ha pochi dubbi, solo un modesto “forse” all’inizio del sensazionale articolo:

“Forse, ho visto il vero volto di Cristo in un’immagine che è stata «captata» dallo spazio. Ho parlato con l’inventore della macchina che, localizzando i suoni del passato, permette di ricostruire interi avvenimenti storici dei quali non sono rimaste testimonianze, di verificare fatti che hanno impresso svolte decisive alla storia dell’umanità. Ho udito, per la prima volta, quello che nessuno aveva mai udito. Visto quello che nessuno aveva mai visto. Ho vissuto per giorni in un’altra dimensione.

Questa è la storia di una straordinaria esperienza, è il primo documento completo su una eccezionale scoperta che potrebbe dare una svolta alla storia dell’umanità. È una storia affascinante e misteriosa, come tutte quelle che riguardano la scoperta del passato. Ecco come è cominciata.

Un mese fa, una persona della quale non posso fare il nome, e che chiamerò signor X, mi dice che padre Pellegrino Emetti, un monaco dell’ordine dei benedettini, assieme a un gruppo di dodici fisici è riuscito a costruire un complesso di apparecchiature di altissima precisione che consentono di ricostruire immagini, suoni, avvenimenti accaduti centinaia e centinaia di anni or sono. Il gruppo lavora da anni a esperimenti condotti con lo stesso sistema con cui gli astronomi, calcolando gli anni-luce, riescono a ricostruire l’aspetto di una stella spenta da migliaia di anni. I risultati ottenuti sono strabilianti: sono stati «captati» personaggi storici; un’intera tragedia, scritta nel 169 avanti Cristo e andata poi dispersa, è stata ricostruita; l’intera vita di Cristo è stata fotografata. La notizia è clamorosa, al limite – ne convengo – della credibilità”.

Dopo aver citato una serie di notizie apparentemente poco attinenti, come gli studi americani sulla possibilità di captare «notizie» dallo spazio stellare o il recente “Convegno sui contatti con le civiltà extraterrestri”, che si è svolto nell’Armenia sovietica, Vincenzo Maddaloni continua, dicendo al signor X che il suo racconto gli sembra pazzesco.

“Ma il signor X non disarma, mi mostra una foto: ritrae un Cristo morente sulla croce. Non mi spiega come se l’è procurata, ma dice che è una delle tante immagini del Cristo «captate». È davvero il volto d Cristo quello che il signor X mi mostra? E se è davvero il volto di Cristo che ne sarà di quello raffigurato nella Sacra Sindone di Torino? II signor X mi spiega che anche lui era stato assalito da questo dubbio, ma che poi aveva accertato che le due immagini combaciano in più punti, e che aveva concluso che è probabile che ambedue li immagini rappresentino il vero volto di Cristo: una lo rappresenta ancora vivo sulla croce, l’altra da morto.

Stento a credere soprattutto per un motivo: non riesco a capire, se quanto dice il signor X è vero perché padre Pellegrino Emetti e la sua équipe tengano segreta questa strabiliante scoperta. Ma nemmeno il signor X sa darmi una risposta. Non rimane che interrogare padre Pellegrino”.

“È il vero volto di Cristo captato e fotografato duemila anni dopo?”
(dalla “Domenica del Corriere”, 2 maggio 1972)

Ma chi è l’inventore? Pellegrino Alfredo Maria Ernetti nasce a Rocca Santo Stefano (Roma) nel 1925, ed entra giovanissimo nell’ordine benedettino. Uomo di vasti interessi e di grandi entusiasmi, si occupa in modo particolare dell’antica monodia liturgica fondando nel 1963, presso l’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, un Istituto di prepolifonia, come sezione staccata del Conservatorio Benedetto Marcello. Appassionatosi del canto aquileiese, “forse l’eccesso di entusiasmo lo portò a formulare ipotesi ardite se non azzardate, giungendo in qualche modo a sostenere l’origine aquileiese di pressoché tutto l’universo musicale europeo”.[1]

Padre Ernetti era anche un esorcista, secondo alcuni il più preparato dei suoi tempi. Autore della “Catechesi di Satana”, a lui accorrevano centinaia di fedeli e presumibilmente di indemoniati, non solo dall’Italia ma da tutta Europa. Il professor Rémy Chauvin afferma di avergli visto fare un esorcismo per telefono, e non può non esclamare: “Questi diavoli d’Italiani! (è proprio il caso di dire)”.[2] Padre Ernetti non si limita a scacciare il demonio, ma lo interroga e registra su nastro le sue risposte.

Su numerosi siti internet si può trovare una sua intervista al ragionier Vincenzo Speziale, collaboratore di Radio Maria e autore di diverse opere su santi e beati. Alla domanda “Cosa piace al demonio, cosa dispiace al demonio?”, Padre Ernetti elenca, tra le cose che gli danno piacere: la particola sulla mano; “i preti vestiti come netturbini, camuffati così li porto dove voglio io, negli alberghi e nelle case private in cerca di donne e di omosessuali, e faccio commettere tanti sacrilegi, e li porto nel mio regno!”; seguono i preti e i Vescovi iscritti alla massoneria e alle mie sette, le gonne corte, la televisione, le discoteche, il divorzio, l’aborto e la droga. Soprattutto però gli piacciono e lo rallegrano “quei vescovi e quei preti che negano la mia esistenza e la mia opera nel mondo”.[3]

Ma torniamo all’intervista sulla Domenica del Corriere.

– La «macchina», professor Pellegrino, l’avete inventata voi: lei e i dodici fisici della sua équipe. Siete riusciti e costruire in laboratorio le voci e le vicende del passato. Grazie a voi, premendo un bottone, gli antichi possono tornare tra noi con le parole, i pensieri e l’immagine. Una scoperta sensazionale per la scienza e per la stessa vita. Come siete arrivati a tutto questo?

– Si è riusciti a realizzare con l’aiuto della scienza e della tecnica quello che gli antichi avevano già intuito. I pitagorici e gli aristosseniani avevano capito, già nel lontano IV secolo avanti Cristo, che tramite la disgregazione dei suoni si poteva arrivare alla ricostruzione delle immagini. Soltanto che a loro mancavano i mezzi.

– La storia della scoperta si inizia nel 1956. A quell’epoca cominciai i primi studi sull’oscillazione elettronica applicata alla musica. Io insegno prepolifonia e sono titolare dell’unica cattedra esistente nel mondo per questa materia al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. […]

Le prime ricerche furono compiute nell’Università Cattolica di Milano con padre Agostino Gemelli. Ai primi esperimenti seguirono studi approfonditi sulla disgregazione del suono. Nel 1957 venni chiamato dalla Fondazione Cini per organizzare un centro liturgico musicale con corsi di specializzazione e di perfezionamento di musica prepolifonica. E fu durante questi corsi che conobbi il professor De Matos, portoghese che aveva fatto studi accurati sui testi di Aristosseno riguardanti la disgregazione del suono. Era il primo «passo» verso la scoperta. Intanto nel 1961 il ministero della Pubblica Istruzione istituì la cattedra di prepolifonia e l’affidò a me. Ebbi così l’opportunità di chiamare vari specialisti di tutto il mondo a tenere dei corsi sulle varie branche della materia. Ed è con questi specialisti che cominciai a elaborare tutto il sistema che ci portò alla sensazionale scoperta.

– Che cosa precisamente ha fatto lei?

– Ho il merito di avere dato il principio di tutta l’elaborazione, che si basa su un principio di fisica, accettato da tutti, secondo il quale le onde sonore e visive, una volta emesse, non si distruggono, ma si trasformano e restano eterne ed onnipresenti, quindi possono essere ricostruite come ogni energia, in quanto esse sono energia.

Seguono una serie di dettagli tecnici, verificabili solo (e forse neanche) da laureati in fisica, dopo di che l’intervistatore prosegue con le domande più impegnative:

– Padre Ernetti, ho saputo che sinora siete arrivati al punto di poter ricostruire la pronuncia esatta di determinate lingue antiche. Tra le varie cose captate siete riusciti a localizzare e quindi a ricostruire il «Thyestes», una tragedia rappresentata a Roma nel 169 avanti Cristo in occasione dei «Ludi Apollinares». […] Composta da Quintus Ennius l’opera è scritta in un latino difficile ed irregolare: un’opera rivoluzionaria, considerati i tempi in cui fu composta. Una tragedia che non seguiva gli schemi della poesia classica e fu questa forse una delle ragioni per cui fu accantonata e andò distrutta. Rimanevano, fino alla vostra scoperta, soltanto alcuni frammenti che lasciavano appena intuire la bellezza e la validità dell’opera. Grazie agli strumenti siete riusciti, captandola, a vederla così com’era stata rappresentata. Immagino che abbiate visto anche i volti degli spettatori, le maschere degli attori…

– Non mi trascini in un campo sul quale ancora non posso parlare.

– Ma quando potrà parlare, padre Ernetti?

– Quando ci sarà una controprova ai nostri esperimenti. Gli americani stanno tentando anche loro di scoprire quello che noi abbiamo già scoperto. Soltanto allora, quando noi potremo confrontare i risultati delle nostre esperienze con le loro, potremo dare la notizia ufficiale della scoperta.

– Quindi l’équipe non è ancora sicura della validità degli esperimenti.

– Non è esatto. Verifiche sono state fatte con personaggi più facili da captare perché scomparsi da poco e sui quali esiste una vasta documentazione storica, come per esempio Pio XII e Benito Mussolini. Le loro immagini sono state poi confrontate con i filmati e le incisioni dell’epoca: i risultati sono stati più che soddisfacenti.

– Padre Ernetti, questa è una fotografia del Cristo ripresa dalla vostra «macchina». Lei cosa può aggiungere, che commento può fare?

Padre Ernetti guarda la foto, sorride compiaciuto e dice: – Verrà il tempo in cui potrò parlare.

– D’accordo. Attendete la controprova americana. Ma intanto le sembra proprio che non ci sia altro da aggiungere?…

– Questa macchina può provocare una tragedia universale.

– Perché?

– Perché toglie la libertà di parola, di azione e di pensiero. Infatti, anche il pensiero è una emissione di energia, quindi è captabile. Si potrà, cioè, per mezzo della macchina, sapere quello che il vicino o l’avversario pensa. Le conseguenze sarebbero due: o l’eccidio dell’umanità oppure, cosa difficile, nascerebbe una nuova morale. Ecco perché è necessario che questi apparecchi non diventino alla portata di tutti, ma restino sotto il controllo diretto delle autorità.

– Fino a quando?

– Fino a quando l’uomo imparerà ad agire bene per il bene.

L’intervista lascia aperti una serie di interrogativi, a cui viene data in gran parte risposta da un altro prete, il francese François Brune, che nel 2002, pubblica Le nouveau mystère du Vatican, subito tradotto in italiano col titolo Cronovisore – il nuovo mistero del Vaticano – la macchina del tempo.

Brune, mentre aspettava un vaporetto a Venezia nel 1964, aveva incontrato casualmente Padre Ernetti, con cui aveva instaurato un rapporto di amicizia, basato sui comuni interessi circa i fenomeni paranormali e le comuni simpatie per il cattolicesimo più conservatore.

Nel libro vengono approfonditi i rapporti tra Padre Ernetti e Padre Agostino Gemelli, appartenente all’ordine francescano dei Frati Minori, medico, fondatore dell’Università Cattolica di Milano, nonché tra i principali esponenti italiani del cosiddetto antiebraismo spiritualista.

“Era dunque il 1952. All’università del Sacro Cuore di Milano, nel laboratorio di fisica sperimentale, Padre Agostino Gemelli e Padre Pellegrino Ernetti conducevano degli esperimenti su alcune voci di canto gregoriano. Stavano provando ad eliminarne le armoniche, per vedere se in tal modo sarebbero riusciti ad ottenere un suono più puro. Lavoravano con i primi magnetofoni che non erano ancora a nastro, ma a filo. Il filo si rompeva spesso, e bisognava fare allora un nodo, più fino possibile per non disturbare troppo l’ascolto, ma in ogni modo sufficientemente robusto. Ora, Padre Gemelli aveva una vecchia abitudine, dalla morte del padre, come un tic, un riflesso quasi automatico: ogni volta che gli si presentava qualche difficoltà, qualche piccolo guaio, esclamava, pensando a suo padre: “Ah! Papà, aiutami”.

Quel giorno, era il 17 settembre 1952, il filo si rompe ancora una volta. “Ah! Papà, aiutami”, dice subito, come al solito, Padre Gemelli. Fatto il nodo, il magnetofono si rimette in moto, ma, sorpresa, invece delle voci che cantano in gregoriano, l’apparecchio fa ascoltare la voce del padre di Agostino Gemelli: “Ma certo che ti aiuto. Io sono sempre con te”. Terrore di Padre Gemelli! – mi racconta Padre Ernetti – che istintivamente ferma subito l’apparecchio. “Andiamo, dobbiamo continuare, dobbiamo vedere ciò che viene dopo”, insiste Padre Ernetti. Ed è nuovamente la voce del papà che dice al figlio: “Ma sì, zuccone, non vedi dunque che sono proprio io?”

I due ricercatori non avrebbero mancato di informare il Vaticano in merito a questi fenomeni di comunicazione.

Brune precisa anche chi furono i “collaboratori” di Ernetti nell’invenzione del cronovisore:

“Fummo circa una dozzina a collaborare in un certo momento alla progettazione ed alla costruzione di quest’apparecchio. C’era Fermi ed uno dei suoi allievi, un Premio Nobel giapponese, uno studioso portoghese (De Matos, se ho trascritto correttamente) e Werner von Braun, che vi s’interessava molto”.

Ma sono le confidenze su quanto osservato col cronovisore a suscitare il maggiore interesse. Presa dimestichezza con il dispositivo: “risalimmo nel tempo, captando Napoleone (se ho ben compreso quello che diceva, era il discorso con il quale annunciava l’abolizione della Serenissima Repubblica di Venezia per proclamare una Repubblica Italiana). Successivamente andammo nell’antichità romana. Una scena del mercato ortofrutticolo di Traiano, un discorso di Cicerone, uno dei più celebri, la prima Catilinaria. Abbiamo visto e ascoltato il famoso: “Quousque tandem Catilina”, in merito al quale Ernetti commentava: “I suoi gesti, la sua intonazione… com’erano potenti. E che fantastica oratoria!”

Le rivelazioni più straordinarie sono quelle relative alla passione di Cristo:

“Abbiamo allora provato a risalire nel tempo, all’Ultima Cena. Ha funzionato! E da quel momento, non l’abbiamo più lasciato. Era l’anno 36 della nostra era, e queste scene sono state captate tra il 12 ed il 14 gennaio 1956.

Abbiamo visto tutto: l’agonia nell’orto degli Ulivi, il tradimento di Giuda, il processo, il Calvario. Gesù era già sfigurato quando viene condotto innanzi a Pilato. Abbiamo visto la salita al Calvario, la Via Crucis. La pietà medievale, tuttavia, l’ha un poco deformata, aggiungendovi degli episodi. Il Cristo non è mai caduto, d’altronde non portava tutta la croce. Sarebbe stata certamente troppo pesante. Portava solo la traversa orizzontale legata alle spalle, il patibulum. I suoi piedi erano legati a quelli degli altri due condannati che furono crocifissi con lui. Era assai sfigurato – ripeteva Padre Ernetti – la flagellazione gli aveva strappato brandelli di carne. Si vedeva fino all’osso. Ma siccome la legge romana prevedeva che il condannato dovesse arrivare vivo al luogo della sua esecuzione, i soldati requisirono Simone di Cirene. Abbiamo visto la scena così come è riportata nel Vangelo. Ma anche lì la pietà ha talvolta un poco interpretato. Un tempo ci facevano leggere dei bellissimi testi nei quali eravamo esortati ad invidiare il ruolo di Simone di Cirene e ad offrirci, come lui, interiormente, per aiutare il Cristo a portare la sua croce. Abbiamo visto bene che egli non ne aveva alcuna voglia. È stato necessario costringerlo.

– L’episodio di Veronica che lungo la via dolorosa asciuga il volto del Cristo, l’avete visto?

– No! Del resto, come lei sa, questo racconto non si trova nei Vangeli.

[…]

– E la Resurrezione, avete visto anche quella?

– Sì! È molto difficile da descrivere. Era come sagoma, una forma attraverso una sottile lamella di alabastro illuminato, o come attraverso un cristallo… Poco a poco abbiamo poi visto tutto il resto della vita del Cristo, le apparizioni dopo la sua Resurrezione…

– È rimasta una qualche traccia di tutto questo?

– Sì, abbiamo filmato tutto.”

Brune si trova anche nella spiacevole necessità di confutare le pesanti obiezioni emerse subito dopo la pubblicazione dell’intervista sulla Domenica del Corriere.

Sul Giornale dei misteri dell’agosto 1972 era stata infatti pubblicata la lettera di protesta di un lettore che affermava che l’immagine pubblicata sulla Domenica del Corriere era identica a quella d’una statua lignea che si trovava nel santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza, presso Todi. La foto, secondo lui, non era altro che un “santino”, come quelli che i devoti mettono nei portafogli o usano come segnalibro. In effetti, risultò che i due volti, quello “captato” dal cronovisore e quello della fotografia del Crocifisso dello scultore Lorenzo Coullaut Valera, combaciavano, nonostante qualche banale trucco fotografico per differenziarli.

Padre Ernetti si astenne dal replicare pubblicamente a chi lo accusava di mistificazione. Si chiuse in un silenzio irremovibile, forse imposto dalle gerarchie ecclesiastiche.

Padre Brune, che chiese ragione ad Ernetti di quello che poteva rappresentare un inganno, si sentì rispondere che lo scultore che aveva realizzato il crocefisso era stato ispirato da una monaca, Madre Speranza, al secolo María Josefa Alhama Valera, nata in Spagna ma trasferitasi nel 1951 a Collevalenza, dove aveva fondato il santuario. La suora, oggi beata, aveva avuto la visione della crocefissione di Cristo. Per questo, sosteneva, il volto del crocefisso e quello da lui captato col cronovisore si somigliavano tanto: entrambi ritraevano il vero volto di Gesù. Questa è la versione che Padre Brune riporta come vera nel suo libro, senza peraltro aver effettuato ulteriori indagini.

Nel frattempo, sorgono dubbi anche sulla trascrizione del Thyestes, la tragedia perduta di Quinto Ennio. Katherine Owen Eldred, una classicista dell’Università di Princeton afferma che il testo di Ernetti è molto breve e include quasi tutti i frammenti già noti della tragedia. Le parti “nuove”, per quanto dimostrino una buona conoscenza del latino antico da parte dell’autore, non possono considerarsi autentiche poiché contengono numerose parole e costrutti che sarebbero entrati nella lingua latino solo 250 anni dopo che Ennio scrisse la sua tragedia.[4]

Padre Brune scrive nel suo libro una lunga e poco convincente Controargomentazione, anche se, ammette, “sicuramente non sono così esperto in latino come la signora [non professoressa] Eldred”.

Padre Brune infine polemizza vivacemente con Peter Krassa che, nel suo libro Father Ernetti’s Chronovisor: The Creation and Disappearance of the World’s First Time Machine, aveva riportato la lettera di un non meglio precisato figlio spirituale di Ernetti che avrebbe raccolto le sue ultime volontà sul letto di morte. Ernetti avrebbe confessato di aver mentito: la foto di Cristo era falsa e il Thyestes l’aveva scritto lui, ma l’aveva fatto perché sperava di riuscire un giorno a trasformare il cronovisore in realtà.

La storia non finirebbe qui, perché Il 25 giugno 1974 fa il suo ingresso in scena un altro personaggio della nostra storia. Sulla rivista Arcani appare un articolo di Teresa Pavese dal titolo Cronovisore, la materia racconta, che presenta le ricerche di un altro prete, don Luigi Borello. Questi era nato il 25 dicembre 1924 a Pezzolo Valle Uzzone, un paesino dell’Alta Langa, in provincia di Cuneo. Nella sua autobiografia si legge che “il mio maggior impegno, fuori orario, è sempre stato l’approfondimento della Teoria dello spazio neutrinico, intuita da Einstein e formulata da Cesare Colangeli”. Per chi, più masochista del sottoscritto, fosse interessato alla sua vita, alle sue ricerche e alle polemiche con Ernetti, Brune e così via, rimando ai siti internet:

http://www.donluigiborello.it/ e http://www.daltramontoallalba.it/confiniscienza/cronovisore.html

Padre Ernetti fu un geniale scienziato, un millantatore, un mitomane, un “mattoide” o una vittima di una beffa di Satana, il suo grande avversario demoniaco? Ognuno può rimanere della propria opinione.

Resta da chiedersi dove si trovi oggi, se mai è esistito, l’unico cronovisore mai prodotto. I più affermano che si trovi dimenticato in qualche sotterraneo del Vaticano. Fosse così, il finale della nostra storia avrebbe inquietanti analogie con quello del film I predatori dell’arca perduta. Nell’ultima scena vediamo trasportare l’Arca in un grande magazzino che raccoglie materiale top secret, dove sarà conservata tra innumerevoli altre casse.

Steven Spielberg, “I predatori dell’arca perduta” (1981)

Un’ultima curiosità. Il regista e scrittore francese Roland Portiche ha pubblicato tre romanzi di “fantascienza teologica” ispirati alla figura di Padre Ernetti. Il primo, La machine Ernetti, del 2020, è diventato un bestseller in Francia e ha ricevuto, nel 2022, il premio “Prix des Lecteurs Livre de poche”.

Nell’ultimo dei tre romanzi, Ernetti et le voyage interdit (2022), dei radioastronomi captano un messaggio proveniente dallo spazio che minaccia il Papa. Preoccupato, Giovanni Paolo II affida a Padre Ernetti che, come sappiamo, è il creatore della macchina rivoluzionaria che consente di vedere nel passato, una missione quasi impossibile: tornare all’inizio dell’universo, indietro di 13,8 miliardi di anni! Immergendosi nella spirale del tempo, padre Pellegrino Ernetti si confronta con inquietanti misteri: se il Big Bang fosse stato solo una porta aperta su altri mondi? Se, cercando Dio, lo si trovasse dove non si era mai immaginato? E se il papa fosse minacciato dalla peggiore delle congiure? Con l’aiuto del famoso fisico Stephen Hawking e accompagnato dalla sua alleata, l’israeliana Natacha, agente del Mossad, padre Ernetti intraprende un viaggio favoloso che lo porta dalla preistoria fino alla nascita della terra e dell’universo.

Purtroppo, i romanzi sono stati finora tradotti in italiano solo in universo parallelo.


[1] https://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/ernetti-pellegrino-alfredo-maria/
[2] Citato da François Brune, “Cronovisore. La macchina del tempo. Il nuovo mistero del Vaticano”.
[3] Per un eventuale approfondimento: https://blog.libero.it/vienievedi/11820252.html
[4] Peter Krassa, “Father Ernetti’s Chronovisor: The Creation and Disappearance of the World’s First Time Machine”.

Roberto Gerbi

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