FOGLI SPARSI
Vagabondaggi di riflessioni e ricordi, appuntati senza un ordine preciso,
su fogli sparsi
Rubrica a cura di Grazia Tanzi


Il Piccolo Principe. Il rovescio della storia (2)

Capitolo Precedente: Il Piccolo Principe. Il rovescio della storia (1)

Proseguiamo con il racconto. Il piccolo principe è appena arrivato sulla Terra e il primo essere vivente che incontra è un serpente, un personaggio che avrà un ruolo decisivo ai fini della conclusione della storia.

Il piccolo principe, arrivato sulla Terra, fu molto sorpreso di non vedere nessuno. Aveva già paura di essersi sbagliato di pianeta, quando un anello del colore della luna si mosse nella sabbia.

È il serpente che lo informa sul luogo in cui è capitato: Terra, Africa, deserto.

 Il  piccolo principe sedette su una pietra e alzò gli occhi verso il cielo:

«Mi domando», disse, «se le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua. 

Non so se mi spiego, visione antropocentrica, ma  molto poetica, be’ per chi si accontenta. Ed ecco un’altra profonda, illuminante, considerazione:

«Si è un po’ soli nel deserto…»  «Si è soli anche con gli uomini», disse il serpente.

Segue un dialogo cripitico il cui mistero sarà svelato alla fine della storia.

Il piccolo principe lo guardò a lungo.

 «Sei un buffo animale», gli disse alla fine, «sottile come un dito!…»

 «Ma sono più potente di un dito di un re», disse il serpente.

Il piccolo principe sorrise:

 «Non mi sembri molto potente… non hai neppure delle zampe… e non puoi neppure camminare…»

 «Posso trasportarti più lontano che un bastimento», disse il serpente.

 Si arrotolò attorno alla caviglia del piccolo principe come un braccialetto d’oro:

 «Colui che tocco, lo restituisco alla terra da dove è venuto. Ma tu sei puro e vieni da una stella…»

Qui c’è un indizio importante per chi lo vuol cogliere.

 Il piccolo principe non rispose.

 «Mi fai pena, tu così debole, su questa Terra di granito. Potrò aiutarti un giorno se rimpiangerai troppo il tuo pianeta. Posso…»

 «Oh! Ho capito benissimo», disse il piccolo principe, «ma perché parli sempre per enigmi?»

 «Li risolvo tutti», disse il serpente.

 E rimasero in silenzio.

Dopo un po’ il principino capita in un giardino fiorito di  rose, tutte simili al suo fiore.

 «Chi siete?» domandò loro stupefatto il piccolo principe.

 «Siamo delle rose», dissero le rose.

 «Ah!» fece il piccolo principe.

 E si sentì molto infelice. Il suo fiore gli aveva raccontato che era il solo della sua specie in tutto l’universo. Ed ecco che ce n’erano cinquemila, tutte simili, in un solo giardino.

 «Sarebbe molto contrariato», si disse, «se vedesse questo… Farebbe del gran tossire e fingerebbe di morire per sfuggire al ridicolo. […]

 E si disse ancora : «Mi credevo ricco di un fiore unico al mondo, e non possiedo che una qualsiasi rosa. Lei e i miei tre vulcani che mi arrivano alle ginocchia, e di cui l’uno, forse, è spento per sempre, non fanno di me un principe molto importante…»

 E, seduto nell’erba, piangeva.

Ed eccola la spietata verità: il fiore che credeva unico si trovava in migliaia di esemplari; gli aveva detto di essere l’unico in tutto l’universo, era una menzogna. Possedeva una qualunque rosa, come ce n’erano tante. Be’ le donne sono tutte uguali, vanitose, si credono uniche, e fanno finta di star male quando vogliono attirare l’attenzione, si sa. Come se non bastasse il piccolo principe si rende conto di essere un sovrano da poco, nel suo asteroide disabitato, non possiede che tre piccoli vulcani che gli arrivano alle ginocchia di cui uno è spento. Be’ c’è di che deprimersi, non ci sono dubbi. Ora, di tutto questo un bambino cosa può capire?  Il povero piccolo principe, alter ego di Saint-Exupéry ha dei problemi esistenziali, in che modo li risolverà lo vedremo.

 In quel momento apparve la volpe.

Questo l’incipit del capitolo più noto, più riprodotto, più esaltato dagli ammiratori, considerato una splendida metafora dell’amicizia; il più agghiacciante se esaminato a fondo. Dopo i convenevoli di rito, saluti e presentazioni:

 «Vieni a giocare con me», le propose il piccolo principe, «sono così triste…  «Non posso giocare con te», disse la volpe, «non sono addomesticata».

Addomesticare una parola terribile sulla quale i milioni di lettori non si sono soffermati, o alla quale hanno dato un significato positivo.

Rendere domestico un animale selvatico significa abituarlo alla vicinanza dell’uomo, alla sua casa,  allevarlo per la propria utilità; stessa cosa per le moltissime piante che sono state domesticate soprattutto a fini alimentari.  Se il termine è riferito ad animale già domestico, significa  renderlo ubbidiente, ammaestrarlo. È evidente il significato di rendere adatto, simile  a sé: assimilare, da cui assimilazione, che comporta la perdita di alcune caratteristiche per assumere quelle dell’addomesticatore. L’assimilazione culturale è quella di un gruppo, o di un individuo, che abbandona, per imposizione più o meno coercitiva, la propria cultura per assumere quella dominante.

La spiegazione della volpe al piccolo principe è la seguente.

«È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire “creare dei legami”…[…]

«Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me.

Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo».

E questo non è male, anzi, ma perché quel termine? Nell’originale troviamo apprivoiser, ammansire, addomesticare: quindi non ci sono dubbi, traduzione letterale.

Le parole sono importanti, e quasi mai sono scelte a caso; un difensore d’ufficio potrà dire che siamo in presenza di una volpe, animale selvatico, e quindi  il termine è appropriato. Non è esattamente così, perché questa non è, una volpe reale, è una metafora, un simbolo.

Era preferibile una frase come questa: Prima di giocare insieme, dobbiamo conoscerci. Oppure, ancor meglio:  Sì giochiamo insieme, così ci conosceremo.

Questo dovrebbe essere il modo corretto per creare dei legami, rispetto reciproco e confronto delle proprie diversità, nessuno addomestica nessuno.

 «Comincio a capire», disse il piccolo principe. «C’è un fiore… credo che mi abbia addomesticato…»

È proprio così, il fiore più antipatico del mondo ha davvero tentato di addomesticare il piccolo principe, col risultato di farlo scappare. Io lo avrei sradicato e dato da mangiare alla pecora.

La volpe prosegue manifestando la sua noia esistenziale, gli uomini le danno la caccia, lei dà la caccia alle galline, ma uomini e galline si somigliano tutti, che monotonia!

Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata.

Riconoscerà i suoi passi fra quelli di mille altri, saranno come musica e la faranno uscire dalla tana. Il colore dorato del grano, che per lei non ha alcun interesse alimentare, le farà ricordare i capelli d’oro del principino,

E amerò il rumore del vento nel grano…»

Che scialo di poesia in questo libro! La volpe implorante chiede:

 «Per favore… addomesticami», disse

  E quel poetico, delicato bambino:

 «Volentieri», rispose il piccolo principe, «ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose».

 Affetto, amore, va tutto bene, ma io ho la mia vita, non posso stare sempre appresso a te!  Mai sentita questa frase?

  Il piccolo principe addomestica la volpe, ma dovrà ripartire da lì a poco. La volpe piangerà, ma le rimarrà il colore del grano, un bel ricordo. Anche se  dovrà soffrire, ne sarà valsa la pena. Sembra molto bello, lo sarebbe, se a soffrire non fosse solo la volpe, che si è sottomessa, implorando l’amicizia. Il piccolo principe non sembra molto turbato dal distacco, anzi ritorna al giardino, su consiglio della volpe. E qui si produce in una bella invettiva contro le povere rose, che sono belle, ma vuote, perché nessuno le ha addomesticate, insomma non valgono nulla se qualcuno non le plasma, la sua rosa invece sì che è unica, perché lui l’ha curata. Il merito è tutto suo.  E le rose erano a disagio. Be’ era il minimo. Ho detto che la storia non è adatta ai bambini, ma forse alle bambine sì, per far loro capire una certa mentalità maschile e starne alla larga. Il piccolo macho torna dalla volpe e questa gli rivela un importante segreto:

«Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi».

È un’affermazione dogmatica, perentoria, indiscutibile.

Questa frase che rimbalza milioni di volte sul web: non vuol dire proprio nulla, ma ognuno può leggervi quel che vuole. Questo il segreto del suo successo, insieme alla magica parola che contiene: cuore.

Gli aforismi, i motti, gli slogan, sono sempre molto efficaci, sono brevi, semplificano i problemi, si ricordano con facilità, si impongono con una pretesa di verità inoppugnabile, non richiedono riflessione. Non a caso sono una delle “armi”  di persuasione di massa usate dalla pubblicità e dalle dittature.

Ma ad un attento esame si rivelano per quello che sono: vuoti e falsi, o quanto meno ambivalenti, perché dietro ad una presunta veritá ce n’è sempre un’altra. Il cuore, inteso come sentimento, non sempre è buona cosa; a volte noi vediamo le cose con il “nostro” sentimento, presumendo che sia il migliore, quello giusto, ma è davvero così? E gli altri sentono nella stessa maniera? Le cose sono un po’ più complicate come si vede. Sottotraccia c’è un oscuro intento di sopraffazione, un desiderio di addomesticare.

E l’invisibile, cos’e? Questo davvero non vuol dire nulla, è l’anima? I sentimenti? Un concetto vuoto che ognuno riempie a suo modo, come gli oroscopi, che sono vaghi per potersi adattare a tutti, ciascuno ci vede se stesso, narcisisticamente.
[Continua…]
Già pubblicati:
Il Piccolo Principe. Il rovescio della storia (1)

Grazia Tanzi

(Informazioni sull’autore)

image_printScarica il PDF