Con la rubrica “il mondo in città” si vogliono raccontare i fatti dalle varie regioni del nostro pianeta che sono rilevanti per noi genovesi, italiani. Sia che ci troviamo sotto la lanterna o altrove, come nel mio caso che scrivo da Bruxelles.
Alberto Spatola

Asia occidentale

Il Nagorno Karabakh non esiste più

Il Monte Bianco non è il monte più alto d’Europa e il primo Stato cristiano al mondo non si costituì né vicino a Roma né Gerusalemme.
Prima del Monte Bianco ci sono il Monte Elbrus, in Russia a pochi chilometri dalla Georgia, e il Monte  Shkhara completamente in Georgia, nel Caucaso. Entrambi segnano il confine geografico tra Europa e Asia.
Prima che l’imperatore romano Costantino si battezzasse cristiano nel 337, soltanto l’Armenia e l’attuale Etiopia si costituirono come nazioni cristiane.
Non a caso ancora oggi, le rispettive chiese, sono spina dorsale delle confessioni ortodosse orientali. Tradizione religiosa che, in estrema sintesi, si distingue dalle altre realtà cristiane per riti e interpretazione della Trinità.

Questo mix di geografia, storia e religione non vuole portare fuori strada rispetto l’attualità. Invece vuol essere l’occasione di mettere in prospettiva un territorio, quello del  Caucaso, troppe volte visto attraverso la semplicistica lente delle “Repubbliche post sovietiche”.
Le radici del conflitto attuale tra Armenia e Azerbaijan sono profonde e intricate, ma si può raggiungere un certo grado di chiarezza già solo cercando l’etimologia delle aree in questione.

Azerbaijan vuol dire “terra dei fuochi” mentre Nagorno Karabakh significa, grossomodo, “alto giardino”. “Terra dei fuochi” per via degli innumerevoli giacimenti di gas, anche a pochi metri dal suolo, e “alto giardino” poiché il Nagorno Karabakh è un altopiano montagnoso assai isolato.
Si inizia a capire come la storia, la religione e le tensioni etniche, tipiche delle Repubbliche post sovietiche, siano questioni per lo più superficiali rispetto alle differenze strutturali.

Negli anni ’90 l’Armenia e l’Azerbaijan si scontrarono per il controllo del territorio del Nagorno Karabakh. Il territorio era conteso poiché per decenni era una provincia dell’Azerbaijan, sotto l’Unione Sovietica, ma popolato da abitanti di etnia armena. L’Armenia era anch’essa parte dell’Unione Sovietica,  quindi quei confini locali e nazionali erano cosa poco influente.
Di colpo, però, negli anni ’90 quei confini divennero fondamentali, al punto da scatenare una guerra.
La vinse l’Armenia, ma col risultato di creare un cosiddetto “conflitto congelato”.
Un fragile status quo che lasciava al territorio del Nagorno Karabakh di fatto piena autonomia e possibilità di avere stretti legame con l’Armenia, seppure non confinante. Mentre l’Azerbaijan sulla carta, dal punto di vista internazionale non perdeva l’autorità sul territorio.

Purtroppo la diplomazia, e le opinioni pubbliche si accontentano troppo spesso di soluzioni cerotto. Le quali stanno in piedi soltanto finché si mantiene un certo equilibrio tra le forze in campo.
Nel Caucaso un equilibrio si è rotto.

Oggi l’Azerbaijan ha come primo partner commerciale l’Italia a cui vende soprattutto gas e idrocarburi. E per lo stesso motivo riceve visite di numerosi dirigenti europei. L’Azerbaijan ha giocato un ruolo fondamentale nel mantenere le nostre case riscaldate negli inverni in cui il gas russo non arrivava per via delle tensioni con la Russia.
Perciò la “terra dei fuochi” è oggi ben più ricca di 30 anni fa e ha usato la sua ricchezza, anche, se non soprattutto, per acquistare droni e ammodernare il suo esercito.
L’equilibrio si è rotto, e la pace, se così la vogliamo chiamare, è venuta meno.

In questi giorni, migliaia di armeni stanno lasciando le proprie case. Hanno attraversato una lunga striscia di terra, che li collega flebilmente all’Armenia propria.
Tutti sanno che è un viaggio di sola andata.
Quella strada che ora attraversano per mesi fu bloccata dall’esercito azero e nei momenti di tregua da sedicenti gruppi ecologisti. Di fatto il Nagorno Karabakh non esiste più dopo un lungo assedio, e così qualche giorno fa il Presidente dell’area ha ufficialmente sciolto le istituzioni del territorio.

L’Europa, soprattutto la Francia, ha provato a mediare tra le parti. La Russia ha mandato qualche soldato, ma è distratta. Gli stessi soldati russi hanno intimato gli armeni nell’“alto giardino” ad abbandonare il territorio mentre volavano le bombe sulle loro teste.
Ma ben poco è servito tutto ciò.
L’equilibrio si è rotto e l’Azerbaijan ha colto l’occasione per iniziare una battaglia e acquisire territorio che ritiene legittimamente suo.
Sulla carta, sta dicendo agli armeni che possono rimanere, non c’è bisogno che lascino le loro case. La realtà è che l’Azerbaijan è pronto a creare il suo proprio corridoio per connettersi alla sua ex clave: il territorio azero del Nakhchivan che è però separato dal resto del paese.
Quindi probabilmente le armi continueranno a farsi sentire nel Caucaso.
In parte per via delle differenze culturali, ma in buona parte perché vogliamo il gas azero senza preoccuparci delle conseguenze.

Alberto SpatolaAlberto Spatola
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