Era l’inizio del settembre del 2022 e scrissi a Fiorenzo per chiedergli un suo ricordo di Nicolo Capriata, scomparso l’anno prima, per un articolo che stavamo preparando per il PONENTINO. Mi rispose che non ce la faceva, era in ospedale e stava male. “Non posso aiutarti, mi dispiace”, ci avrebbe lasciato anche lui pochi giorni dopo: il 24 settembre.
Ecco io credo che chi era Fiorenzo Toso sta tutto in quella frase. Stava male, sapeva che stava morendo ma il suo dispiacere sembrava essere solo che non poteva essermi d’aiuto.
Perchè di Fiorenzo io ricordo soprattutto la sua incondizionata disponibilità ogni qualvolta chi aveva bisogno della sua immensa conoscenza di linguista, e di divulgatore culturale in genere, si rivolgeva a lui.

Tralascio tutta la sua prestigiosa carriera, tutto ciò che ha scritto e pubblicato, i convegni, l’insegnamento accademico, per dire del suo essere semplice e umile, il suo mai negarsi, la sua conoscenza messa a portata di tutti anche attraverso i social. Con lui avevamo un accordo: “se di quello che ho scritto ti serve qualcosa, per pubblicarlo sulle testate con cui collabori, fai pure senza chiedermelo”.
E l’ho fatto Fiorenzo, l’ho fatto più di una volta, perchè ogni cosa che scrivevi era una perla, anche se era un semplice post su FB. “Sei l’unico che riesci a trasformare un post in un articolo” mi dicesti una volta, ne fui orgoglioso e onorato, come se avessi ricevuto un premio. L’ho fatto anche quando scrivesti un post sulla farinata.

Ecco, con il PONENTINO abbiamo deciso di ricordarlo così il professore, non con un suo scritto scientifico o uno dei suoi studi sulla lingua Genovese o Tabarchina., ma con uno dei suoi momenti di divulgazione messi a disposizione di tutti quelli che lo leggevano per voglia di conoscenza o per semplice curiosità.
Grazie Fiorenzo, per la tua amicizia, la tua disponibilità, per tutto ciò che hai fatto e per ciò che ci hai insegnato e lasciato.

Antonello Rivano


La farinata, le prime tracce in una poesia del XVIII secolo

Di Fiorenzo Toso

Siamo nella stagione ideale per gustare la farinata, vivanda di farina di ceci stemperata nell’acqua e cotta nel forno in una teglia con olio, secondo la circostanziata descrizione dell’Olivieri (1841), che ci risparmia così l’enorme quantità di sciocchezze fiorite intorno a questo tipico cibo popolare, compresa la più esilarante, secondo cui la farinata sarebbe stata partorita nientemeno che durante la battaglia vittoriosa della Meloria (1284!) per il fortunoso allagamento d’acqua di mare di una stiva zeppa di sacchi di farina di ceci e giare d’olio (!): scemenza marchiana che apre inquietanti interrogativi sul senno dei nostri comandanti navali, che avrebbero schierato delle navi da carico a fronteggiare le agguerrite galee di Morosini.

La fin troppo evidente derivazione dall’antico fa(r)iña, moderno fæña, ha se non altro scongiurato il rischio che il sostantivo diventasse terreno di pascolo per etimologisti improvvisati alla ricerca di improbabili ascendenze arabe o preromane: se il concetto di “(in)farinata” come preparato a base di farina, da cuocere al forno, è di per sé banale e presente fin dal medioevo anche in toscano e in altre varietà romanze, occorre dire che l’attribuzione di questo nome al tipico piatto genovese sembra piuttosto tardiva.

Lo si ritrova infatti solo nel sec. XVIII, a partire da una poesia anonima che elenca i mestieri e i prodotti esistenti sul mercato di Genova, ma insieme a farinate di altro tipo:


Spesso sento crià / a l’ è chì, drua e vointa: / dixan ra fainà, / per quattro dinè un pezzo / ló ve ra taggian ancon; Son chì cade re panisse / a fainà l’è chi boggia / a chi ghe ne taggio un pezzo? / Son farinè de castagnazzo / e de seixao, e de granon.

Prof. Fiorenzo Toso
(Arenzano, 20 febbraio 1962 – Arenzano, 24 settembre 2022)
linguista, accademico di linguistica e dialettologo italiano. Vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Fiorenzo_Toso





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