Michel Foucault “Utopie Eterotopie” Ed. Cronopio

Un piccolo, prezioso libro da gustare con calma. Si tratta della trascrizione di due conferenze radiofoniche tenute su France Culture il 7 e il 21 dicembre del 1966.

Utopia, già dalla prima comparsa del genere letterario e del termine, nel lontano 1516, il concetto si presentava, per volontà dell’autore, con ironica, divertita ambiguità, oscillante fra la perfezione e l’impossibilità. Etimologia ambigua, Eutopia luogo perfetto, o Atopia luogo che non c’è. Foucault riferendosi alle varie utopie, figliolanza del fertile prototipo, parla di paesi senza luogo e storie senza cronologia, nati nella testa degli uomini o negli interstizi delle loro parole. Ma, per Foucault, ci sono anche le Eterotopie, contro-spazi, come li chiama, la cui alterità si colloca fisicamente nell’ambito della nostra vita quotidiana, “utopie situate, […] luoghi reali, fuori da tutti i luoghi: giardini, cimiteri, cinema, teatri, villaggi turistici, manicomi…e molto altro. Le eterotopie, diffuse su tutto il globo ed in ogni tempo, dalla morfologia variegata, hanno tutte la funzione di dar luogo ad un mondo diverso: di evasione, di sogno o di difesa.

Un punto di vista diverso, straniante, di guardare a istituzioni, che ci sono tanto familiari da non percepirne più l’essenza autentica: che dire, è Foucault bellezza! Ti costringe ad uno sguardo “di sguincio” ad una forzatura laterale del pensiero.

Questa la prima conferenza, la seconda è ancora più provocatoria, e affascinante, ha come oggetto il corpo, argomento di cui si era occupato, come è noto, in opere di più vasta portata. Il corpo, dice Foucault


[…] è il contrario di un’utopia, è ciò che non sarà mai sotto un altro cielo, è il luogo assoluto, il piccolo frammento di spazio col quale faccio letteralmente corpo. Il mio corpo spietata topia.

Segue un’analisi di una profondità e bellezza, anche stilistica, che lascia senza fiato, sulla funzione utopica e no del corpo, a livello personale e della storia delle civiltà, il tutto, miracolosamente, in pochissime pagine, Mi domando, con molta invidia, quanto dovessero essere rimasti ammaliati gli ascoltatori radiofonici da una simile trattazione, e ringrazio gli dei perché queste parole non sono andate disperse nell’etere, ma sono rimaste, grazie al dono, anch’esso divino, della scrittura che le può perpetuare nel tempo. Ero una sciocca diciassettenne quando vennero pronunciate, ed ora sono arrivate fino a me, vecchia signora, che può riflettere non solo sul portato culturale di questa conferenza, ma anche su quello personale. Spero che  qualcun altro voglia godere di questa squisita gioia intellettuale.

Grazia Tanzi

(Informazioni sull’autore)

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