Il Contastorie

Rubrica a cura di Roberto Gerbi
Il piacere di scoprire storie curiose, divertenti, drammatiche che un appassionato di libri ha ritrovato in biblioteche polverose, vecchie riviste e, qualche volta, in internet


Palamede! Chi era costui? Un eroe, un inventore, una vittima… un dimenticato.

Per me è un personaggio doppiamente affascinante, da un lato per le sue vicende, dalle quali si potrebbe trarre uno straordinario film d’avventure, dall’altro perché non esiste un libro che racconti in maniera compiuta la sua storia: non esiste una Palameide.

I membri della Confraternita dei topi di biblioteca amano particolarmente seguire trame in libri diversi, specie se quasi introvabili e scritti a distanza di secoli. Amano dover decifrare gli avvenimenti tra accenni e allusioni, tra ricostruzioni contradditorie o palesemente false. Per loro Palamede è il protagonista ideale.

Questa è la mia versione dei fatti, forse parziale, perché simpatizzo col personaggio… Invece di tentare una difficile e forse noiosa operazione filologica, cercherò di offrire una trama coerente, di raccontare come raccontavano i nostri vecchi.

Palamede era figlio di Nauplio, a sua volta, a sua volta figlio di Poseidone, dio del mare per i Greci. Nauplio era re dell’isola di Eubea ed era stato uno degli Argonauti, i cinquanta eroi che si unirono a Giasone nella ricerca del vello d’oro. Molti di questi erano i padri degli eroi che parteciperanno alla guerra di Troia: Laerte, padre di Odisseo, Peleo, padre di Achille, Telamone padre di Aiace.

Nauplio fondò e diede il nome alla città di Nauplia, il cui centro storico è ancora oggi dominato dalla Rocca Palamidis. È affascinate come, a distanza di più di tremila anni, i nomi si siano conservati.

Nauplio, re di Eubea
La città di Nauplia, vista dalla rocca Palamidis

Palamede ha due fratelli: Eace, il cui nome significa in greco “timone”, e Nausimedonte.

La sua caratteristica più evidente è la bellezza, così ben raffigurata da Antonio Canova. Alessandro Baricco, nella sua opera teatrale del 2015, Palamede, l’eroe cancellato, fa recitare la parte dell’eroe da una donna molto bella: Valeria Solarino.

[Palamede] “era per altezza pari all’Aiace più grande, per bellezza gareggiava con Achille, Antiloco, Protesilao stesso e con il troiano Euforbo. La barba gli cresceva morbida e con la tendenza ad arricciarsi, la chioma la teneva al livello della cute, le sopracciglia invece, libere e ritte, che convergevano sul naso perfetto e ben proteso. La luce degli occhi appariva in battaglia ferma e feroce, nei momenti di quiete benevola e affabile. Si dice che avesse gli occhi più grandi di tutti gli uomini”.

Quando poi si mostrava nudo, “stava a metà tra un atleta pesante e uno leggero e sul volto aveva una certa asprezza più dolce però dei riccioli d’oro di Euforbo. L’aveva acquisita dormendo dove capitava, e dimorando spesso sulla vetta dell’Ida, nei momenti di pausa dalla guerra. Lì, da quei luoghi altissimi i saggi contemplano le cose celesti”.

Era molto bello ma senza compagna o compagno. Nessuna donna, nessun amante piangerà alla sua morte.

Ciò che più contraddistingue Palamede è però l’intelligenza, che risalta già nell’etimologia del suo nome composto di παλάμη (palami), “mano, palmo della mano”, e del verbo μήδομαι (midomai), “meditare un progetto, preparare, avere in mente”; il grande grecista Giulio Guidorizzi traduce il nome in “colui che ha l’intelligenza nelle mani”.

Se avesse dipinto la Gioconda sarebbe un Leonardo da Vinci. Palamede dipingeva peggio, ma in compenso combatteva meglio e, come Leonardo, era un abile ingegnere militare, come dimostrò durante l’assedio di Abido.

CAPITOLO I – LA GIOVINEZZA

La prima comparsa del giovane Palamede è sul monte Pelio, nelle cui foreste si trovava la scuola più esclusiva della Grecia antica, quella del centauro Chirone. Tra i suoi discepoli, racconta il mito, ci furono Asclepio, Achille, Giasone, Enea ed Eracle

Palamede era un dotato autodidatta e, quando giunse da Chirone, si era esercitato nella pratica della sapienza ed era, se non più dotto del maestro come pretendono alcuni, senza dubbio piuttosto presuntuoso.

Quando Chirone volle insegnargli la medicina Palamede gli ricordò la tragedia di Asclepio e disse: “Chirone, io scoprirei volentieri la medicina, se non ci fosse già, ma poiché è stata già scoperta non ritengo giusto impararla, tanto più che l’eccessiva conoscenza dell’arte medica è invisa a Zeus e alle Moire, e racconterei la storia di Asclepio, se non fosse stato colpito da un fulmine proprio qui”.

A Palamede furono attribuite numerose invenzioni, tra cui quella delle lettere dell’alfabeto; lo scrittore Eupoli gli attribuisce queste parole:

“Ho inventato una cura per non dimenticare, che non ha parola eppure parla, creando le sillabe; ho inventato la scrittura per la conoscenza degli uomini, così che un uomo sulle distese oceaniche possa avere conoscenza di tutti gli affari di casa sua, e l’uomo in punto di morte possa scrivere la suddivisione dei suoi beni quando li lascia in eredità ai figli, e il ricevente lo sappia. E per i problemi che toccano agli uomini che litigano, una tavoletta per scrivere li risolve ed impedisce che si raccontino menzogne”.

Filostrato afferma che “quando gli Achei erano in Aulide inventò gli scacchi, un gioco non facile, anzi intelligente e impegnativo”. Pausania sostiene che anche i dadi furono una sua invenzione. Altri autori gli attribuiscono l’invenzione dei pesi e delle misure, della divisione del tempo, delle segnalazioni col fuoco ed innumerevoli altre.

Palamede viene molto apprezzato per la sua intelligenza e l’abilità con le parole, per cui viene spesso inviato come ambasciatore. Ditti Cretese, in quella che è considerata la più antica cronaca della guerra di Troia, l’Ephemeris Belli Troiani, ce lo presenta come componente, insieme a Odisseo e Menelao, dell’ambasciata greca che si presenta a Priamo per chiedere la restituzione di Elena, rapita da Paride, e dei “tesori”.

Palamede ottenne il permesso di parlare presso il re troiano: denunciò il tradimento del dovere di ospitalità da parte di Paride e la possibilità che questo fatto scatenasse un conflitto tra greci e troiani come quello che aveva visto contrapposti Pelope e Ilio. Priamo fu costretto a interrompere Palamede a metà del suo discorso disse: “Desidero più moderazione Palamede”, perché era accusata una persona assente che non poteva difendersi.

Il discorso di Palamede, che fu tenuto con grande eloquenza, convinse molti dei presenti.

Alcuni giorni dopo, Paride, ritornò a Troia con Elena. Il popolo si opponeva compatto al misfatto commesso. Paride, acceso dall’ira, fece un’irruzione tra la folla insieme ai suoi fratelli armati e uccise parecchi troiani.

Infine, Priamo, su suggerimento della moglie Ecuba, chiese a Elena se volesse tornare in Grecia con Menelao. Quando questa rispose che non era giunta in Asia contro la sua volontà e che non era contenta del matrimonio con Menelao, Priamo prese la fatale decisione che rimanesse a Troia.

Da quel momento passano cinque anni, necessari alla preparazione della guerra.

CAPITOLO II – LA PAZZIA DI ODISSEO

Odisseo, non volendo partire per la guerra di Troia, per via di un oracolo che gli aveva predetto che sarebbe tornato dopo vent’anni e senza compagni, si era finto pazzo. Aveva aggiogato a un aratro un asino e un bue, arava la sabbia e seminava sale.

Sulla testa, per aggiungere alla finzione l’insolenza, si era calcato un cappello a punta: da Cabiro, da iniziato. Palamede, che era giunto a Itaca come ambasciatore, insieme ad Agamennone e Menelao, lo osservò. Poi, improvvisamente, strappò il figlio di Odisseo, Telemaco, dalle braccia di Penelope e lo buttò nel solco, davanti all’aratro. Odisseo si fermò: era stato vinto. Palamede aveva obbligato Odisseo a cozzare contro il limite della simulazione e non c’era nulla che Odisseo detestasse altrettanto: per lui la simulazione non doveva avere limiti. Era quello che lo rendeva superiore agli altri eroi greci, il suo segreto. Odisseo tacque e seguì Palamede, odiandolo più di quanto avrebbe mai odiato un nemico.

Anche su Achille, quando questi aveva nove anni, era stata pronunciata una profezia. Calcante, un indovino che aveva tradito i Troiani per schierarsi dalla parte degli Achei, aveva predetto che Troia non sarebbe mai caduta se i Greci non avessero avuto il giovane tra le loro fila: era destino che egli morisse nel fiore degli anni, coperto di gloria oppure vivesse oscuramente e a lungo. Teti, che era venuta a sapere di questo oracolo, temendo la morte del figlio sotto le mura di Troia, sottrasse il giovane all’insegnamento di Chirone e lo portò presso Licomede, re dell’isola di Sciro, presentandolo come fosse una ragazza: lo vestì con abiti femminili e lo fece vivere insieme alle figlie del re. Forse Licomede era a conoscenza della verità, ma non obiettò nulla, accettandolo di buon grado.

L’eroe rimase nove anni alla corte del re, dove fu soprannominato Pirra, cioè la Fulva, per il colore biondo ardente dei capelli. In questo periodo, Achille s’innamorò di Deidamia, una delle figlie di Licomede, la sposò e da lei ebbe un figlio, Pirro, che più tardi avrebbe preso il nome di Neottolemo, “giovane guerriero”.

Intanto Greci, saputo del presagio di Calcante, incaricarono Ulisse, Nestore e Palamede di andare alla ricerca del giovane. Scoperto il suo nascondiglio, i tre si presentarono al cospetto di Licomede, travestiti da mercanti,

Portavano stoffe e oggetti preziosi, adatti ai gusti femminili. Li distesero sul pavimento. Mani di fanciulle palparono subito le stoffe, frugarono tra i monili. Ma nel mucchio c’erano anche uno scudo e una lancia; una ragazza dai capelli rossastri li afferrò immediatamente, come se da sempre li avesse imbracciati: era Achille.

Secondo un’altra versione, mentre le fanciulle erano intente a scegliere articoli di ricamo e stoffe, Odisseo simulò un fragore di armi in mezzo al gineceo. Le ragazze, terrorizzate, fuggirono mentre Achille si strappò di dosso le vesti femminili, si rivestì dell’armatura di bronzo guerriero e uscì pronto a combattere.

Teti e Peleo dovettero così rassegnarsi all’inevitabile destino del figlio. Odisseo sapeva che in quel momento aveva vinto la guerra. Ottenuto Achille, Troia era già caduta.
[Continua]

Roberto Gerbi

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