FOGLI SPARSI
Vagabondaggi di riflessioni e ricordi, appuntati senza un ordine preciso,
su fogli sparsi
Rubrica a cura di Grazia Tanzi


Il lungo racconto dell’amore ha attraversato i secoli, sempre fedele al suo schema principale – lei e  lui, amore contrastato, lieto fine –  pur fra mille varianti e adattandosi ai tempi contingenti. E non può che essere così, perché la materia delle sue storie è il sentimento primordiale della vita, quell’attrazione che in varie forme e tonalità, dagli automatismi delle piante, agli istinti animali,  fino alla complessità delle forme amorose umane, presiede alla perpetuazione delle specie. Certo in homo sapiens tutto è più complicato, si sa, ma l’istinto di cercare un partner e di tenerselo stretto, più che si può,  è sempre alla base di tutto. Gli esseri umani, che possiedono parola e immaginazione, l’attrazione amorosa la raccontano, la inventano, la leggono, oltre che praticarla. Tutte le arti, e non solo la letteratura, hanno raccontato e rappresentato l’amore, ma non tutte le rappresentazioni sono artistiche e di valore culturale. L’homo sarà anche sapiens, ma più  spesso è oeconomicus ed ha compreso ben presto che sulle emozioni sentimentali ed erotiche dei suoi simili, e non solo su quelle, si possono fare lauti guadagni, come con la narrativa rosa, che è un vero e proprio  impero economico planetario.

Nella seconda metà del secolo XX, dopo l’immane tragedia della seconda guerra mondiale, il desiderio generale di rinascita e di ricostruzione porta con sé, fra le altre speranze, anche quella, mai sopita, di una vita più felice e di un amore compiutamente realizzato. Le lettrici sono più numerose e per soddisfarne le esigenze, ai romanzi si affiancano le riviste illustrate, che accolgono anche le suggestioni che provengono dal mondo del cinema, soprattutto da quello scintillante di oltreoceano.

Gli operatori del settore comprendono subito la grande potenza delle immagini che diventano sempre più  accattivanti per  suscitare le fantasticherie di una vita brillante e ricca di avventure amorose. Nasce  così il cineromanzo, una sorta di “riassunto”, per immagini e con dialoghi a fumetti, di famosi film, non necessariamente tutti sentimentali, ma presentati in modo tale da sembrarlo, con grandi immagini di scene d’amore in copertina. I volti dei divi più famosi, dei quali si sono raccontate le vicende, anche extra artistiche, sono ormai familiari, questi film di carta sostituiscono la visione sul grande schermo per chi non può permettersela.

Nel 1946 nasce Grand Hotel, sedici pagine contenenti: un fumetto sentimentale  realizzato ad acquerello, romanzi d’amore a puntate, la vicenda vissuta raccontata da una lettrice, e la posta del cuore. Successo strepitoso, la rivista si diffonde anche grazie al prestito fra lettori, date le poche disponibilità economiche. Io la ricordo bene (mia madre la comprava regolarmente),  non  quella dei primi numeri, ma  quella di poco successiva che conteneva già i fotoromanzi interpretati da personaggi che in seguito diventeranno famosi, molto famosi.

Ricordiamo Vittorio Gassman, Giorgio Albertazzi, Claudia Cardinale, Mike Bongiorno, Virna Lisi, Gina Lollobrigida, Scilla Gabel,  Alberto Lupo, Massimo Serato, Silvana Pampanini. Nonostante il (blando) divieto la leggevo con grande interesse, avevo dieci, dodici anni, questa  lettura conviveva tranquillamente con quella dei fumetti per  bambini.

Fra i redattori Luciana Peverelli, (Milano 1902-1986), giornalista e prolifica scrittrice dalla cui penna usciranno circa quattrocento romanzi gialli e rosa. Con lo pseudonimo di Greta Granor pubblica diversi romanzi nella collana di grande successo URS, Universale Romantica Salani.

Alcuni suoi romanzi, che descrivono la condizione femminile nel dopoguerra, non rientrano nella classica  formula della narrativa rosa, ma affrontano tematiche più neorealiste.

Alla Peverelli si devono anche i testi del primo fotoromanzo (1947) Menzogne d’amore che vede la luce su Sogno, un nome che è tutto un programma, e che qualche signora ricorderà; anche questa rivista è stata fra le mie precoci letture, grazie ai prestiti delle vicine  di casa.

Nel 1946 esce per i tipi di Mondadori  Confidenze di Liala rivista nella quale la celebre scrittrice rinsalderà, nei due anni di permanenza, il rapporto con le sue lettrici attraverso le lettere al giornale. La rivista offrenovelle d’amore, la storia a fumetti, le vicende vissute, la posta, la lettura della mano – tramite invio del disegno del proprio palmo –  l’oroscopo e una rubrica di grafologia.

Le destinatarie sono di un livello culturale lievemente  più elevato, in grado di padroneggiare lo strumento della lettura rispetto a quelle di Grand Hotel. All’epoca il numero degli analfabeti, e di coloro che a stento sanno compitare, è molto elevato.

Per costoro la grafica e le immagini dettagliate di Grand Hotel sono molto più fruibili.

Quando Liala lascia la rivista questa si chiamerà solo Confidenze  e proseguirà le pubblicazioni per svariati decenni. Anche questa circolava in prestito fra ragazze e signore ed è così che l’ho avuta per le mani qualche volta.

Il racconto dell’amore muta e si adegua ai tempi, si fa più realistico,  coinvolge le lettrici con il romanzo a puntate, con servizi di cronaca, e soprattutto con la posta del cuore e accogliendo le storie di vita vissuta.

Il nome stesso della rivista, Confidenze,  è significativo:  un’amica che racconta storie d’amore; alla quale si confidano i moti del cuore;  che offre conforto e non solo la speranza di una vita più felice.

La posta del cuore svolge una funzione simile agli odierni social, ci si confida, si chiedono consigli, si racconta, si trova una spalla su cui piangere. Il suo successo è significativo per comprendere la condizione di solitudine e di insoddisfazione in cui vivono le donne.

A raccogliere queste confidenze può esserci anche un uomo: è il caso di Giorgio Scerbanenco, che diventerà poi noto come autore di gialli, ma che aveva cominciato la sua carriera come scrittore di rosa ed era stato a lungo titolare di rubriche di posta del cuore su riviste importanti, di livello superiore,  quali Grazia, Bella, Annabella.

La posta del cuore sarà un’ottima fonte d’ispirazione per chi scrive rosa; conoscere desideri e turbamenti sentimentali, permetterà di produrre storie più mirate, e più vendibili, naturalmente.

Un’altra firma importante è quella di Brunella Gasperini nom de plume di Bianca Robecchi (Milano 1918-1979); giornalista; titolare per anni di rubriche di  posta del cuore; direttrice di Annabella; autrice di numerosi romanzi sentimentali. Questi si distaccano dai rigidi canoni rosa sia per la narrazione di episodi di vita vissuta dell’autrice, che includono marito e figli, sia per la presenza di una certa vena ironica, mai vista prima, che apparentemente diluisce i toni zuccherosi di questo tipo di storie, lasciandone tuttavia immutata la filosofia. I romanzi della Gasperini sono al passo con i segnali di rinnovamento dei tempi (siamo negli anni ’60) e, oltre al successo di pubblico, ricevono anche un certo apprezzamento dalla critica. Nella sitografia la sua interessante biografia.

Il genere rosa ha una straordinaria capacità camaleontica, pur restando fedele alla propria essenza,   si adegua, almeno in superficie, alle donne dei tempi nuovi, le cui profonde aspirazioni sono tuttavia sempre le stesse,  amore eterno e felicità.

Nel dopoguerra e negli anni seguenti riveste i panni dei fotoromanzi,  discendenti diretti dei cineromanzi, foto in bianco e nero e fumetti per i dialoghi. Il primo appare sulla rivista Sogno fondata nel 1947.

Scrive Patrizia Violi:

La rivista, subito molto  diffusa, rappresenta un indubbio trampolino di lancio nel mondo dello spettacolo: immortalati nelle sue storie sono passati, giovanissimi, un po’ tutti. Walter Chiari, Delia Scala, Renzo Arbore, Sofia Loren, Liana Orfei, Sandra Milo, Raffaella Carrà e anche quella ribelle di Patty Pravo.

Persino Famiglia Cristiana produce le sue storie di santi e storie d’amore,  non sempre a lieto fine, con l’eroina che finisce in convento anziché sull’altare e l’eroe che parte per terre lontane.

Nel 1964 c’è il boom della casa editrice Lancio con sei testate di fotoromanzi mensili, vendite alle stelle e diffusione in passamano tra amiche.

 Storie in  rosa classico, ma il valore aggiunto sta nel “lancio” dei suoi divi che raggiungeranno una grande popolarità. Qualche signora  li ricorderà: Franco Gasparri, Katiuscia, Michela Roc, Claudia Rivelli, Luciano Francioli, Jean Mary Carletto.

La fine arriva per motivi economici, rincari dei materiali e dei costi di produzione. Ma anche per motivi ideologici: il ’68 contesta aspramente la visione della donna presentata su queste riviste, il maschilismo, il disimpegno verso i problemi sociali. Il rosa in quanto tale sarà spazzato via dai tempi nuovi, preconizza, sbagliando, qualcuno. Infatti, come la fenice, risorgerà dalle proprie ceneri mutando forma, ma non sostanza.

In Canada la casa editrice Harlequin, nata nel 1949, specializzata in tascabili di massa, si espande rapidamente, il grande  successo arriva però con il passaggio alla narrativa rosa. Nel ’63 approda negli Stati Uniti, nel ’75 in Europa, ma raggiunge anche Messico, Venezuela e Giappone. Nel ’81 sbarca in Italia dove l’incontro con la Mondadori darà luogo ad Harmony: sarà un successo strepitoso.

Il modello è quello classico, il vecchio inossidabile schema di Cenerentola, declinato e aggiornato in molte sfumature: a partire dalle diverse ambientazioni che contraddistinguono le collane per incontrare le preferenze delle lettrici, aggiornate su articolate indagini di mercato. Gli slogan di lancio sono molto efficaci ed espliciti: Un nuovo modo di leggere l’amore, Sognare a libri aperti, Amore a piene pagine. E all’interno dei libri si promuove anche con qualcosa di più intenso e personale: Se la vita ti sembra troppo grigia, se senti il bisogno di evadere, prendi in mano un libro Harmony: ti porterà lontano in un’altra realtà.

Le edizioni Harmony saranno  diversificate in più collane per soddisfare i diversi gusti delle lettrici, età dai venticinque ai quarantacinque anni, già fruitrici di pubblicazioni da edicola.

Gli Harmony, oltre a seguire fedelmente la formula classica del rosa, si uniformano ad una ben definita visione del sesso. La sessualità, specie quella maschile, è una forza istintiva e passionale che va imbrigliata e messa al servizio di un autentico sentimento d’amore. Una concezione decisamente moralistica e conformista. In compenso si dà grande spazio ai preliminari la cui descrizione, sempre enfatica, sfiora il ridicolo:

«momenti di estasi», «ore appassionate», «bocche si uniscono impazienti», «mani tremanti che sfiorano provocando brividi caldi».

Per concludere bisognerà aspettare la fine della storia con l’impegno solenne d’amore eterno. Un assaggio però è fornito dalle copertine:

[…] sguardi complici, corpi sexy […] una vera evoluzione nel mostrare quelli maschili sempre più appetibili e discinti.

Il mondo è cambiato dai tempi dei primi romanzi, le donne hanno conquistato più diritti e indipendenza, eppure la narrativa rosa, opportunamente ritoccata, continua ad essere la stessa e a realizzare vendite strepitose.

Cito dal libro di Patrizia Violi

«Nel 2019 in Italia abbiamo venduto due milioni e mezzo di copie fra carta e digitale», conferma Tiziana Marcarelli dell’ufficio stampa di HarperCollins […]  «C’è, in tutto il mondo, un parco di circa un migliaio di autori attivi che scrivono romanzi, distribuiti nelle nostre venticinque collane.

«Il rosa continua ad avere senso anche nella nostra vita frenetica» commenta Silvia Montemurro, giovane autrice di romanzi sentimentali che pubblica con Rizzoli. «È uno svago piacevole che permette di rilassarsi e fare il pieno di ottimismo sperando che magari poi anche nella realtà sia tutto meno complicato»

Anche oggi, negli anni 2000, il romanzo rosa è presente e vitale, con la stessa funzione di sempre. Ha solo cambiato, come sempre, un po’ l’abito. Il linguaggio si adatta alle forme colloquiali odierne, soprattutto nei dialoghi. I personaggi sono giovani donne e uomini di oggi, con i problemi del nostro tempo, che si muovono solitamemte in ambienti piuttosto prestigiosi.

Concludiamo ora con qualche riflessione critica.

La narrativa rosa, per tutte le ragioni  sopra esaminate, costituisce un fenomeno antropologico  e di costume, che non si può evitare di considerare. Questo vale anche per me che nutro una profonda avversione per questo genere narrativo.

Perché? Perché non è un prodotto culturale, in senso stretto, che fornisce conoscenza e occasione di crescita. Chi legge uno di questi romanzi non impara nulla di nuovo, non stabilisce nessuna associazione con conoscenze pregresse, non acquisisce nessun punto di vista nuovo sulla realtà.

 Tutte le forme di racconto rosa sono simili, l’autore ha solo la libertà di sbizzarrirsi nella parte superficiale della storia, nelle variazioni: ambiente storico o geografico, scenari di azione e attività dei personaggi, loro aspetto fisico ecc. ma il tema resta invariato. Questa ripetitività fa del genere rosa un prodotto in serie, privo di originalità artistica, costruito in laboratorio, come una qualunque merce, confezionata sulla base di ricerche di mercato, per soddisfare i consumatori di riferimento. Anche la forma deve rispondere a caratteristiche precise. Il linguaggio per essere accessibile ad un vasto pubblico, deve presentare un lessico limitato, una sintassi semplice, e di conseguenza non fornisce nessuno stimolo per le strutture linguistiche e di pensiero di chi legge. 

Si tratta dunque di narrativa di consumo “leggi e getta”, intrattenimento privo di contenuti (ci sono forme di intrattenimento  intelligente).

La sola funzione sembra essere quella consolatoria, ed è triste pensare che un così grande numero di donne ne abbiano bisogno.

Per finire riporto una citazione dal libro di Paolo Albani Bibliografia curiosa  che ben si adatta a definire la narrativa rosa

 I libri-placebo sono libri che assolvono di nascosto, senza lasciarlo intendere, una funzione consolatoria, rassicurante, libri che in buona fede uno crede siano fatti di idee balsamiche, mentre in realtà non contengono alcuna sostanza rigenerativa, ardimentosa.

La vera finalità dei libri-placebo è rabbonire gli animi, acquietare e non inquietare.  [..]

Insomma i libri-placebo sono libri che si leggono per sod- disfare un desiderio inconscio di rilassamento, quasi di an- nullamento psicologico, libri che, all’insaputa del lettore, finiscono per intorpidirgli la mente, che inclinano verso il prevedibile, verso un genere facilmente rispettabile, che al- lentano e rallentano le tensioni emotive, e invogliano, grazie alla loro azione sviante, a raggiungere un equilibrio statico, confortevole.

BIBLIOGRAFIA

Patrizia Viola Breve storia della letteratura rosa GRAPHE.IT

Michele Rak Rosa

 La letteratura del divertimento amoroso Donzelli Editore

Janice A. Radway La vie en rose Letteratura e bisogni femminili Dino Audino Editore

Paolo Albani Il libro-placebo in Bibliografia  curiosa  Ed. Apice libri

 SITOGRAFIA

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Luciana_Peverelli

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Scerbanenco

https://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/brunella-gasperini/

Grazia Tanzi

(Informazioni sull’autore)

image_printScarica il PDF