Il Contastorie

Rubrica a cura di Roberto Gerbi
Il piacere di scoprire storie curiose, divertenti, drammatiche che un appassionato di libri ha ritrovato in biblioteche polverose, vecchie riviste e, qualche volta, in internet


Materno Giribaldi, un astigiano tradito dalla sua città

Chi entra in Asti, proveniente da Alessandria, si trova in piazza Primo Maggio, una piazza al cui centro sorge un enorme parallelepipedo di marmo che fa da basamento a un monumento in bronzo, altrettanto enorme e particolarmente brutto.

Il gruppo scultoreo rappresenta, in alto, l’allegoria della Vittoria in volo e recante una corona di fiori con entrambe le mani. Sotto di lei, un soldato, raffigurato come un eroe antico, nudo e a cavallo, sorregge con la mano destra una spada, mentre il braccio sinistro è levato in un perfetto saluto romano. In basso, altre figure rappresentano soldati caduti in combattimento, nudi e accasciati a terra.

Non ci sarebbe da soffermarsi su questo monumento, se non fosse per una curiosa, e per certi versi drammatica, vicenda umana che coinvolse il più celebre degli scultori astigiani dell’inizio del secolo scorso.

Materno Giribaldi

Materno Giribaldi era nato ad Asti, il 18 luglio 1870. Suo padre era notaio a Calosso, un paese della provincia, ma il figlio non avrebbe seguito le orme paterne perché irresistibilmente attratto dall’arte, in particolare dalla scultura.

Il fratello Raffaele, per lungo tempo parroco di Viarigi, lo descrive come bruno, con occhi neri, brucianti, la barba fluente, la figura prestante.

Rimasto orfano di padre a dieci anni, segue il corso di studi dell’Accademia Albertina di Torino, avendo come maestri nelle classi di scultura Odoardo Tabacchi e specialmente Leonardo Bistolfi, il più celebre tra gli scultori simbolisti e liberty piemontesi.

Il Monumento ai Caduti di Gaetano Cellini, nella sua originale collocazione in Piazza San Secondo

Il suo esordio ufficiale come scultore è del 1898, quando espone le sue prime opere nelle sale della Promotrice di Torino.

Rientrato ad Asti, diventa presto il più affermato tra gli scultori cittadini. La nobiltà e l’alta borghesia cittadina gli commissionano busti, monumenti, tombe monumentali. Chi passeggia per Asti o visita il cimitero cittadino ha spesso occasione di imbattersi in sue opere, talvolta di grande valore. Anche la prima opera in cui ci si imbatte entrando nel Museo di Palazzo Mazzetti, il più importante della città, è una sua creazione: rappresenta una madre che si china a baciare la fronte della figlia morta.

Madre che bacia la figlia (Asti, Museo Palazzo Mazzetti)

La sua opera principale è la fontana monumentale di piazza Medici ad Asti. Le cronache del tempo ci informano che:

“Martedì 14 maggio 1907, presente l’ing. Balduzzi, nipote del marchese Medici del Vascello, ebbe luogo la posa della prima pietra della fontana monumentale che sorgerà sull’area lasciata sgombra dalla abbattuta chiesa della piccola Annunziata, dono munifico del marchese senatore [Luigi] Medici [del Vascello] e opera del nostro concittadino, lo scultore Materno Giribaldi”.

La fontana, inaugurata il 18 ottobre 1908, voleva celebrare un’opera pubblica di grande importanza e cioè il nuovo acquedotto. Giribaldi non si accontentò di una semplice fontana, ma eresse un vero e proprio monumento. Su una base di granito, è appollaiato un giovane gigante nudo e muscoloso, d’ispirazione un po’ michelangiolesca. Intorno alla base del monumento si colgono gli influssi del nuovo stile liberty, tra steli, fiori e volti femminili. Non si tratta di un capolavoro, ma sicuramente di un’opera provincialmente dignitosa.

Fontana dell’Acquedotto di Cantarana (Asti, Piazza Medici)

Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, Materno Giribaldi si dedica a scolpire monumenti commemorativi. Sono suoi i monumenti ai Caduti di Montiglio, del 1923, e quello ai Caduti di Viarigi, inaugurato l’11 ottobre 1924, “con grande solennità e largo consenso di popolo”.

È dunque logico che lo scultore, quando il Comune di Asti decide la costruzione di un analogo monumento per i propri caduti, aspiri ad esserne l’autore. Giribaldi s’impegna col massimo impegno allo studio di un’opera grandiosa, l’opera che pensa possa rappresentare il punto più alto della sua carriera artistica.

Il concorso per il monumento è bandito con una delibera del 22 febbraio 1922; si decide di erigere un ricordo ai Caduti da porre al centro della piazza Dante e di affidarne l’esecuzione attraverso un concorso privato. La spesa per il monumento deve essere contenuta in 120.000 lire. Sono chiamati a far parte della giuria, oltre il sindaco di Asti, Benedetto Viale, eletto nelle file del Partito Popolare, l’avvocato Secondo Pia, noto per essere stato il primo fotografo della Sindone, l’ing. Natale Ballario, l’architetto torinese Giovanni Chevalley e gli scultori milanesi Antonio Rescaldoni e Oreste Labò. Segretario della giuria è lo storico Niccola Gabiani.

Si trattava, come si può constatare, di una giuria di alta levatura, e la presenza di personalità come l’architetto Chevalley (autore, tra l’altro di un’ottima biografia del grande astigiano Benedetto Alfieri, zio di Vittorio Alfieri) e degli scultori milanesi Labò e Rescaldoni, la mettevano al di sopra di interessi e invidie locali.

I bozzetti pervenuti sono esposti alla cittadinanza nella chiesa dell’Annunziata Grande in piazza Catena (poi demolita nel 1959, per costruire il nuovo tribunale) dal 26 novembre al 5 dicembre 1922.

Risulta vincente il bozzetto proposto da Giribaldi e:

“Il comitato per l’erezione del monumento ai Caduti, visti i risultati del concorso testé espletato si compiace che la scelta sia data unanime al bozzetto siglato “Altare della Patria”, risultato opera di un concittadino, al quale manda esprimere la propria soddisfazione con la certezza di interpretare il pensiero della cittadinanza”.

Tutto bene, dunque. Purtroppo, siamo nel dicembre del 1922, e appaiono nelle strade della città dei manifesti, funereamente listati di nero, a caratteri cubitali, nella tipica arrogante prosa fascista:

PARTITO NAZIONALE FASCISTA Sezione di ASTI
CITTADINI!
CON PURO E SINCERO SENTIMENTO DI RICONOSCENZA VERSO I GLORIOSI CADUTI ASTIGIANI ABBIAMO STRENUAMENTE DIFESO E PROPUGNATO CONTRO I DISFATTISTI ED I DIMENTICHI DELLA PATRIA, IL DOVERE DI ASTI DI INNALZARE UN MONUMENTO DEGNO DEL SACRIFICIO EROICO DEI NOSTRI VALOROSI CONCITTADINI E DECOROSO PER LA CITTA’. QUANDO SI CREDEVA E SPERAVA CHE FINALMENTE L’IDEA AVESSE REALE E SOLENNE ATTUAZIONE, MANOVRE INDEGNE ED INTERESSATE STANNO PER FRUSTRARE GLI IDEALI NOSTRI E DI TUTTA LA CITTADINANZA.

VI È UNA PICCOLA SETTA CHE TRAMA ED INSIDIA.

MA IL FASCIO VIGILA E IMPEDIRÀ A QUALUNQUE COSTO CHE LA SCELTA DEL MONUMENTO SIA ISPIRATA DA MESCHINE PARTIGIANERIE.

CITTADINI!

DOBBIAMO TUTTI INSORGERE UNANIMI CONTRO TUTTE LE MANOVRE PER DIFENDERE IL DECORO MORALE ED ARTISTICO DELLA NOSTRA CITTÀ.

IL DIRETTORIO”

Giribaldi non era certo un fascista, anzi probabilmente aveva simpatie per il Partito Popolare.

Il Sindaco è costretto ad accettare l’imposizione squadrista; si svolge una seduta del Consiglio Comunale in cui i fascisti affermano che quel Monumento non s’ha da fare, che Asti ha già troppi monumenti brutti ed è necessario che si faccia, finalmente, un’opera degna, per la quale la somma stanziata è ridicola.

L’Assemblea ascolta e non può che chinare il capo davanti alla prepotenza. Nella seduta del 23 gennaio 1923 si riferisce che lo scultore Giribaldi allo scopo di facilitare la soluzione della nota questione ha dichiarato, con lettera al Sindaco allegata agli atti, di rinunciare all’esecuzione del monumento ai Caduti. E che il Consiglio Comunale ha deciso che gli sia corrisposta una indennità di lire 10.000.

Pochi giorni dopo, il 28 dello stesso mese, Giribaldi scrive un’accorata lettera al Prefetto:

“Eccellenza,

Forse vostra Eccellenza ancora ricorda come io l’anno scorso avessi a vincere ad unanimità di voti il Concorso bandito per il Monumento ai Caduti. Forse pure vostra Eccellenza ricorda come il conseguimento della vittoria ottenuta mi fu impedita da un gruppo di persone a me ostili… So che vostra Eccellenza ha una indiscussa autorità sulla presente Amministrazione; so che una parola di vostra Eccellenza è per tutti legge ed io mi rivolgo a V.Ecc. con una suprema speranza che mi sia resa giustizia. […]

E come già dissi, se per una male interpretata coerenza non vogliono affidarlo direttamente a me, Vostra Eccellenza faccia almeno in modo che si bandisca un altro concorso in modo che io possa ripresentarmi e dimostrare pubblicamente se sono o no meritevole dell’ambito premio. Da un anno l’affronto subìto mi tormenta e mi tortura; ho voluto ancora rivolgermi a V. Ecc. la quale se vorrà far rendermi ragione, farà di me un uomo felice, un uomo la cui riconoscenza sarà infinitamente salda e imperitura.

Confido e spero voglia il Cielo che la mia speranza e la mia fiducia non vengano deluse.

Con profondo ossequio di V. Ecc. Ill.ma

Dev.mo

M. Giribaldi”

Anche questo ultimo tentativo è inutile. Il malcapitato Giribaldi si sente distrutto dalle critiche sulla sua capacità artistica, vivere nella città che lo ha così umiliato gli è impossibile. Non gli resta che andarsene per sempre. Nel 1924 lo scultore parte per il Brasile; non vedrà mai più la sua patria e la sua città. Negli anni successivi, presa residenza a San Paolo, vi porta anche la moglie e la figlia Glicinia, la sua modella preferita.

Del volontario esilio brasiliano ci restano solo qualche lettera al fratello, qualche cartolina agli amici più cari e un volumetto ricco di fotografie, inviato a un suo ex allievo, che illustra la sua più importante opera brasiliana: il Mausoleo per la famiglia Jafet, eretto tra il 1931 e il 1932 nel Cimitero della Consolazione di San Paolo. Cercando con internet è oggi possibile vedere anche altri suoi monumenti funebri eretti in quella città.

Per molto tempo ad Asti non si saprà nulla del destino dello scultore, neanche la data della sua morte, che avvenne, nel 1951, nella sua patria di adozione.

La costruzione del Monumento ai Caduti astigiani era stata affidato, nel 1928, allo scultore ravennate, ma di scuola torinese, Gaetano Cellini. Il monumento, eretto nella centrale piazza San Secondo, fu inaugurato il 4 maggio 1930, alla presenza di Umberto e Maria Josè di Savoia, principi di Piemonte. La spesa deliberata dal Comune, per la sola opera statuaria, fu di 245.000 lire, oltre il doppio di quella prevista inizialmente.

Il 9 aprile 1939, pare su richiesta della Curia, che forse non gradiva la posizione della statua, col cavallo che mostrava le terga alla chiesa del Patrono, la statua fu spostata nella sede attuale, appunto in piazza Primo Maggio.

Per finire: due curiosità toponomastiche:

  • ad Asti c’è una (piccola) via dedicata al ravennate Gaetano Cellini, ma neanche un vicolo dedicato all’astigiano Materno Giribaldi: la damnatio memoriae nei suoi confronti continua ancora oggi.
  • la piazza si chiama piazza Primo Maggio, ma non c’entra per nulla il giorno della Festa dei Lavoratori. Una piccola targa, nascosta e dimenticata, ricorda che in quel giorno, nel 1914:

“per volere di popolo

Auspici la Federazione Commerciale Industriale

e la Camera del Lavoro

il Comune di Asti

infrante le barriere daziarie

aprì le sue porte

alla libertà degli scambi

al ritorno all’antica grandezza”.

Molte delle informazioni biografiche sono tratte dall’articolo della professoressa Silvia Taricco: “Lo scultore Materno Giribaldi”, su “il platano”, rivista di cultura astigiana, Asti, luglio-agosto 1978.

Roberto Gerbi

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