FOGLI SPARSI
Vagabondaggi di riflessioni e ricordi, appuntati senza un ordine preciso,
su fogli sparsi
Rubrica a cura di Grazia Tanzi
Selvaggio sarà Lei! (1)
Qualche tempo fa mi sono imbattuta – non ricordo dove, non ricordo come – in un libro dallo strano titolo: Papalagi. La presentazione, accattivante, lo classificava come un testo di antropologia, una disciplina per la quale nutro forte interesse. Lo acquistai, l’argomento era quello, ma trattato da una prospettiva diversa, originale, ironica e divertente, almeno all’apparenza; non priva tuttavia di considerazioni tutt’altro che frivole. La prima intenzione era quella di farne una semplice recensione, ma il testo si presta a citazioni e approfondimenti tali da meritare un più ampio spazio, per questa ragione ne darò conto qui dividendo la trattazione in due parti.
Il Papalagi nella lingua delle isole Samoa è l’uomo bianco, e argomento del libro sono gli usi e costumi della civiltà occidentale visti dal rappresentante di una di quelle culture “altre” di cui gli studi antropologici si sono sempre occupati, non di rado con atteggiamento di superiorità paternalistica che, nei migliori dei casi, ne sottolineava diversità e stranezze. Qui l’oggetto dell’osservazione siamo noi, uomini bianchi, civilizzati, come amiamo definirci, e non ne usciamo molto bene, come vedremo.
Il libro è composto da una serie di osservazioni e riflessioni maturate dal capo polinesiano Tuiavii in seguito ad un viaggio in Europa, intorno agli anni ’20 del Novecento. Non era destinato alla pubblicazione, l’intento era quello di servire da insegnamento per il suo popolo, di cui Tuiavii era anche guida spirituale.
La traduzione italiana del testo viene pubblicata da Stampa Alternativa nel 1992 con uno stralcio della prefazione di Erich Scheurmann[1]. Costui aveva tradotto e diffuso gli appunti del capo polinesiano a sua insaputa; ne era venuto a conoscenza durante il suo soggiorno nelle isole Samoa, dove si era rifugiato per sfuggire alla Grande Guerra. Questa almeno la versione ufficiale.
DALLA PREFAZIONE.
[…] questi discorsi […] erano concepiti esclusivamente per le sue genti polinesiane. Se io, tuttavia, a sua insaputa e certo contro la sua volontà, ho offerto i discorsi di questo nativo al mondo dei lettori europei, ciò è avvenuto nella convinzione che […] le parole di Tuiavii non possono che indurre a riflettere i più umili fra noi, costringendoci a un esame dei nostri comportamenti. […]
Nulla distingueva Tuiavii dai suoi fedeli isolani. […] Solo i più intimi sapevano ciò che covava nel suo animo, […] il desiderio di conoscere la lontana Europa; [… ] un sogno che si realizzò soltanto negli anni della maturità. Unendosi a un gruppo di rappresentanti di vari popoli che allora visitavano l’Europa, quest’uomo così avido di conoscenza conobbe uno dopo l’altro tutti gli Stati europei e acquistò una chiara nozione degli usi e della civiltà di questi paesi. […] più tardi Tuiavii mi affidò i suoi appunti e mi concesse di farne una traduzione in tedesco, […] Tutti questi discorsi sono quindi bozzetti incompiuti. Tuiavii non li ha mai considerati altro che tali.
DEL PAPALAGI E DEL SUO RICOPRIRSI LA CARNE
Contestualizzando il testo, risalente ad un secolo fa, colpiscono le considerazioni di Tuiavii su quello che noi chiamiamo il comune senso del pudore, oggi sicuramente più elastico, e in generale il rapporto del papalagi con il corpo e la sua esposizione.
Il Papalagi si preoccupa costantemente di ricoprire bene la sua carne. Chi fa vedere la propria carne, non può dirsi ben educato.
Quando un ragazzo fa di una ragazza la sua donna, non sa se è stato ingannato, perché non ha mai visto prima il suo corpo.
Una ragazza, per quanto bella, […] ricopre il suo corpo, in modo che nessuno lo possa vedere o possa trarre piacere alla sua vista.
La carne è peccato. Così dice il Papalagi. […] Le membra, con le quali una vergine ci offre la sua danza, sono peccaminose. E anche le membra che si toccano per generare creature per la gioia della grande Terra, sono peccato. Tutto quel che è carne è peccato. […]
Anche per questo il corpo del Papalagi è avvolto dalla testa ai piedi da panni, stuoie e pelli, […]
Perciò non ho mai capito perché ai grandi ricevimenti e banchetti le donne e le ragazze possono mostrare liberamente la carne intorno al collo e la schiena, senza che sia uno scandalo.
Segue un minuzioso elenco di tutto ciò che l’uomo e la donna indossano, a contatto con la pelle e sopra. Tuiavii, per illustrare al suo popolo l’abbigliamento del papalagi, ne fa una descrizione funzionale, nei materiali e nell’uso, con un effetto talmente straniante, che ciò che per noi è consueto appare assurdo e al limite del surreale.
[…] sotto a tutto una sottile pelle bianca, ricavata dalle fibre di una pianta, ricopre il corpo nudo; questa pelle si chiama pelle di sopra. Da sopra la si fa scendere sulla testa, il petto e le braccia, fino ai fianchi. La cosiddetta pelle di sotto viene infilata dal basso in alto, sopra alle gambe e ai fianchi, fino all’ombelico. Tutte e due le pelli vengono ricoperte da una terza più spessa, una pelle intessuta con i peli di un quadrupede lanoso, che viene allevato a questo scopo.
Maglietta della salute e mutande, e sopra una maglia di lana insomma! È il racconto scandito, stile istruzioni per l’uso, estremamente preciso, a dare il senso di straniamento e di comicità
Anche la descrizione di calze e scarpe non è da meno
[…] ai piedi vanno infine una pelle soffice e una molto robusta. Quella soffice è per lo più elastica, e si adatta bene al piede, a differenza di quella molto robusta. È ricavata dalla pelle di un forte animale, che viene immersa nell’acqua, scarnata con il coltello, battuta e tenuta al sole, finché non diventa abbastanza dura.
Con questa il Papalagi costruisce poi una specie di canoa con i bordi rialzati, abbastanza grande da accogliere un piede. Una canoa per il piede sinistro e una per il destro. Queste barche da piede vengono legate e annodate ben bene alla caviglia con corde e ganci, in modo che i piedi siano in un solido guscio, come il corpo di una lumaca di mare. Queste pelli da piedi il Papalagi le porta dall’alba al tramonto, ci fa i viaggi e ci danza, le porta anche se fa caldo come dopo una pioggia tropicale. […] ciò rende i piedi come morti e li fa puzzare.
Il piede come una lumaca di mare, maleodorante per giunta, le scarpe come “barche da piede” sono similitudini, veramente… calzanti! Provate a fare un esperimento mentale: come descrivereste le scarpe a qualcuno che non le ha mai viste?
Esilarante anche la descrizione dei cappelli:
Ricoprono poi anche la testa, gli uomini con una specie di recipiente nero e rigido, arrotondato e cavo come il tetto di una casa delle Samoa, le donne con grossi canestri o ceste rovesciate, alle quali fissano fiori che non appassiscono mai, piume, strisce di panno, perline di vetro e ornamenti di ogni genere. […] Gli uomini agitano queste casette da testa a ogni incontro in segno di saluto, mentre le donne piegano il peso che hanno sulla testa solo leggermente in avanti, come una barca caricata male.
Seguono le descrizioni della biancheria da notte, delle coperte, del parasole. Anche i tratti somatici vengono messi in discussione:
Il suo naso, appuntito come il dente di uno squalo, per lui è bello, e il nostro, che rimane sempre rotondo e morbido, per lui è brutto, sgraziato, mentre noi diciamo proprio il contrario.
Si comincia ad intravedere un concetto molto importante, quello del relativismo culturale: le civiltà non sono comparabili perché funzionali ad ambienti e tempi diversi, meno che mai si possono inserire in una scala graduata. Ciò che per noi è morale, pratico, esteticamente pregevole può sembrare ridicolo o assurdo ad un occhio diverso.
Il capitolo dedicato all’abbigliamento si chiude con questa considerazione:
Poiché i corpi delle donne e delle ragazze sono così ben coperti, gli uomini e i ragazzi hanno un gran desiderio di vedere la loro carne, così come è al naturale. Ci pensano notte e giorno e parlano molto delle forme delle donne e delle ragazze, e sempre come se quel che è naturale e bello fosse un grande peccato e potesse accadere solo nelle ombre più fitte. Se mostrassero la carne liberamente, gli uomini potrebbero rivolgere meglio i loro pensieri ad altre cose, e quando incontrano una ragazza i loro occhi non starebbero a sbirciare, e la loro bocca non pronuncerebbe parole lascive.
Ma la carne è peccato, è del diavolo. Esiste pensiero più folle, cari fratelli? […] Stolto, cieco, senza il sentimento della vera gioia, è il Bianco, che si deve coprire tanto per non provare vergogna.
DEI CASSONI DI PIETRA
Il Papalagi abita come la conchiglia di mare in un guscio sicuro. Vive in mezzo alle pietre, come la scolopendra tra le fessure della lava. Le pietre sono tutte intorno a lui, al suo fianco e sopra di lui. La sua capanna è simile a un vero e proprio cassone di pietra. Un cassone con molti ripiani tutto sforacchiato. Si può sgusciare dentro e fuori queste costruzioni di pietra solo in un punto. Il Papalagi chiama questo posto entrata quando va dentro la capanna, uscita, quando va fuori, anche se è sempre proprio la stessa.
In effetti questo sono le nostre case! E i condominii:
La maggioranza delle capanne sono abitate da più persone di quante non ce ne siano in un solo villaggio delle Samoa, e per questo bisogna conoscere bene il nome della famiglia che si vuole andare a trovare, perché ognuno ha per sé una determinata parte del cassone di pietra, sopra, sotto, o nel mezzo, a sinistra, a destra o davanti. E una famiglia spesso non sa niente delle altre, ma proprio niente, come se non ci fosse tra loro solo una parete di pietra, ma […] molti mari. Spesso non conoscono che il nome degli altri, e quando si incontrano presso il foro dal quale si sguscia dentro, si scambiano solo controvoglia un saluto, oppure si brontolano contro come insetti nemici.
La descrizione procede sempre sullo stesso tono, con effetti esilaranti, sì, ma sempre più amari, con la descrizione della città e della campagna, soprattutto di coloro che vi lavorano e delle loro dure condizioni di vita.
Anche questo capitolo si chiude con una riflessione:
Solo uomini smarriti e malati, che non stringono più la mano di Dio, possono vivere felici tra fessure di pietra, senza sole, luce e vento. Concediamo al Papalagi la sua dubbia felicità, ma distruggiamo ogni suo tentativo di innalzare cassoni di pietra sui nostri lidi assolati e impediamogli di uccidere la gioia di vivere con pietre, fessure, sporcizia, rumore, fumo e sabbia, come è sua intenzione e mira.
L’attualità di questi commenti mi pare evidente. E i cassoni sui lidi assolati!
DEL METALLO ROTONDO
Tutti voi potete testimoniare che il missionario dice: «Dio è amore». Che un vero cristiano farebbe bene a tenere sempre davanti a sé l’immagine dell’amore. Che solo al grande Dio andrebbe l’adorazione del Bianco. Il missionario ci ha mentito, ingannato […] Perché il metallo rotondo e la carta pesante, chiamati denaro, questi sono la vera divinità del Bianco.[…]
Solo il denaro è il vero Dio del Papalagi, quel che venera di più. È anche vero che non è possibile nei paesi dei Bianchi rimanere anche una sola volta, dall’alba al tramonto, senza denaro. […] Senza denaro sei in Europa un uomo senza testa, un uomo senza membra. Una nullità.
[… ] se sono necessari molto metallo rotondo e carta pesante per ogni cosa, puoi anche riceverne facilmente. Devi solo fare una cosa che in Europa chiamano “lavorare”. […] Domina però una grande ingiustizia […] Non tutti quelli che hanno molto denaro lavorano molto. (Tutti vorrebbero avere molto denaro senza lavorare). Le cose vanno così: quando un Bianco guadagna abbastanza da poter mangiare, avere la sua capanna e le sue stuoie, e qualcosa di più, con il denaro che ha in più fa immediatamente lavorare il fratello. […] Finché non deve fare più niente, oltre a stare steso sulla stuoia, bere e bruciare rotoli da fumare, consegnare le barche pronte e farsi portare il metallo e la carta, che altri producono per lui. Allora si dice: è ricco. Lo invidiano, gli fanno complimenti e gli dicono cose altisonanti.
Al capo Tuiavii non servono ponderosi trattati di economia per spiegare al suo popolo il capitalismo e lo sfruttamento del lavoro altrui.
Dopo aver descritto al suo popolo gli effetti malefici che il metallo rotondo e la carta pesante hanno sui bianchi, Tuiavii lo esorta a starne lontano perché l’avidità rende infelici.
Sopra ogni altra cosa guardiamoci dal denaro. Il Papalagi porge anche a noi il denaro per renderci avidi. Molti di noi sono già stati abbagliati e sono caduti nella grave malattia.
LE MOLTE COSE IMPOVERISCONO IL PAPALAGI
Con grande lucidità il saggio capo espone il circolo perverso dell’insaziabilità che spinge al possesso continuo di un numero sempre maggiore di oggetti, i quali richiedono tutto il loro tempo che viene sottratto alle gioie della vita quali i canti e le danze. Una descrizione efficace e puntuale del consumismo.
Potete riconoscere il Papalagi anche dal suo tentativo di convincerci che siamo poveri e infelici e abbiamo bisogno di tanto aiuto e compassione perché non possediamo le cose. […].
Più uno è un vero Europeo, più ha bisogno di cose. Per questo le mani del Papalagi non cessano mai di fare cose. […] Devono proteggere le loro cose. Le cose si attaccano a loro e gli strisciano intorno come le piccole formiche della sabbia. Con cuore freddo commettono qualsiasi delitto, per arrivare a ottenere le cose. Si fanno la guerra, non per l’onore virile, o per misurare la loro vera forza, ma solo per le cose.
Anche in questo caso il capitolo si chiude con un ammonimento: gli oggetti, false ricchezze, con le quali l’uomo bianco vuole corrompere i samoani sono solo l’avvio allo sfruttamento colonialistico, affinché lavorino e producano per l’uomo bianco. Termina qui la prima parte della nostra trattazione, la conclusione mercoledì prossimo.