Di Massimo Bramante

Sarà un brillante e colto sacerdote nato a Sestri Ponente, Eustachio Degola (1761 – 1826), ad assumersi il non facile compito di illustrare i fondamenti della fede e della morale cattolica al giovane Alessandro Manzoni e alla di lui consorte Enrichetta Blondel, figlia di un banchiere ginevrino.  I due si erano sposati con rito calvinista e civile a Milano nel 1808 ed avevano, tempo dopo, incontrato ed intensamente “dialogato”, a Parigi, con il sacerdote genovese, di solida formazione giansenista.

        Il matrimonio, questa volta con rito cattolico, verrà celebrato, sempre a Parigi, nel febbraio del 1810; per l’occasione il prete sestrese pronuncerà una vibrante Exhortation.  Ritornato nella sua Genova, il Degola si occuperà dell’istruzione degli allievi dell’ Istituto per sordomuti fondato dallo scolopio Ottavio Assarotti.  Muore il 17 gennaio 1826 e viene sepolto nel cimitero di Sestri Ponente.

        La conversione al cattolicesimo del grande scrittore lombardo – di cui si celebra quest’anno il 150° della scomparsa – non è stata – come ha fatto giustamente notare Mario Sansone, storico della letteratura – “un atto improvviso, frutto di improvvisa illuminazione del suo spirito; ma il risultato di una meditazione lenta, di studi, di letture e di conversazioni col Degola”.

        Con il prete sestrese il Manzoni si manterrà a lungo in stretto contatto, per lettera;  frutto non secondario di questa frequentazione epistolare sarà la pubblicazione da parte del Manzoni delle “Osservazioni sulla morale cattolica” (1819).  Testo assai complesso, in cui fermissima è la polemica contro lo storico ed economista ginevrino Sismonde De Sismondi (1773 – 1842) che si era scagliato contro la decadenza morale e politica degli italiani, a suo dire derivante dalle rigide imposizioni della Chiesa controriformata.  Le “Osservazioni” sono opera incompiuta; tuttavia nel luglio 1854 apparirà un’ Appendice al cap. III, dal titolo “Del sistema che fonda la morale sull’utilità”.  Questa volta la critica manzoniana, al tempo stesso di stampo filosofico ed economico, sarà rivolta al sistema utilitaristico del filosofo inglese Jeremy Bentham (1748 – 1832) ed alla sua aritmetica morale.  Aveva scritto il Manzoni in una lettera del 10 febbraio 1853 alla figlia Vittoria Maria: “Lavoro lentamente e faticosamente a questa Appendice sul sistema utilitaristico, la quale mi obbliga a leggere molto…”. 

          In effetti, nel testo si coglie con estrema nitidezza,  da parte dello scrittore milanese, non solo l’appassionata e completa formazione filosofica di stampo rosminiano ma anche, se non soprattutto, le accurate letture  dei testi degli economisti del tempo: il francese Jean-Baptiste Say (Manzoni ne chioserà e criticherà aspramente l’opera “Mélanges et correspondences d’économie politique del 1833),  gli inglesi William Godwin e John Stuart Mill, nonché i molti autori del così detto “socialismo economico”.  Come annota Antonio Cojazzi ad introduzione della II edizione del testo manzoniano (1925): lo scrittore aveva fatto “uno studio minuto del sistema utilitaristico rammodernato e ne aveva considerato come già dimostrata la mancanza assoluta di moralità…credendo di aver trovato un nuovo criterio di confutazione coll’opporre ai fautori dell’utilitarismo, tanto egoistico quanto altruistico, questa proposizione dimostrata: il vostro sistema non si può applicare nella pratica, dunque esso è falso”.  In altre parole – a sottolinearlo è Gavino Manca nel saggio “Alessandro Manzoni: non si può fondare la morale sull’utilità” – la critica manzoniana all’utilitarismo come sistema filosofico-economico si sostanzia nell’evidenziarne l’intrinseca incongruità, il suo è “un giudizio negativo circa la superficialità del concetto benthamiano di utilità”, a cui contrappone un’originale “visione”, profondamente cattolica e rigorosamente etica, del vivere: “La vita non è già destinata a essere un peso per molti e una festa per pochi, ma un impiego del quale ognuno renderà conto”.

            Senso del dovere, ansia morale, valore della giustizia sociale e rigore gli derivano sì dallo studio attento del Rosmini ma anche dalle letture degli economisti del suo tempo italiani: il Galiani, il Verri, il Gioia, e non solo italiani (A.Smith, J.B.Say). Dell’intera questione ne tratta compiutamente il prof. Piero Barucci nel saggio “La cultura economica di Alessandro Manzoni” (Giannini ed.).  Quella di Manzoni è una cultura economica (o  talvolta solo una “curiosità culturale”) ostinata, puntuale,  pignola : “Il mondo era per lui una grande enciclopedia che portava sempre nella mente, come un guardiano” (Pietro Citati), che traspare, d’altra parte, in tutta evidenza, anche da un’attenta lettura del suo più noto romanzo, “I Promessi sposi” (preceduto – come noto – dal “Fermo e Lucia”); particolarmente nei capitoli XII, XXVIII, XXXVII che non solo contengono importanti notazioni appunto di natura economica (ad esempio sul problema della carestia o degli effetti economici della peste) ma testimoniano il non trascurabile bagaglio di conoscenze economiche dello scrittore lombardo in tema di domanda/offerta di un bene scarso (il grano). A sottolinearlo, ancora un saggio del prof. Barucci del 1998 ( “I cattolici e il mercato”).  Per Manzoni (cap. XXVIII): “il prezzo  del grano si forma  normalmente dalla proporzione tra  il bisogno e la quantità…e l’aumento del prezzo del grano è inevitabile (perché conseguenza  obbligata dell’operare libero delle forze economiche e perché ogni altra soluzione otterrebbe effetti peggiori); doloroso (perché antipopolare e gravante in massima misura sui più poveri); salutevole (perché ottimizza l’uso di un bene scarso, eliminandone gli sprechi)” (pag.15 del saggio cit.).  

               Gli studiosi di scienza economica, i politici, gli uomini di fede – ovviamente – possono concordare o meno su queste lapidarie annotazioni dello scrittore milanese; così come si può essere in accordo o meno con la rigida affermazione rosminiana – su cui il Manzoni stesso mostrerà un certo scetticismo – che “l’ Economia non è altro che un’ arte scambievole di disputarsi il possesso della ricchezza” e quindi ha una valenza sostanzialmente conflittuale e per ciò stesso negativa. Resta il fatto che Manzoni, cattolico, fortemente coinvolto nel nascente spirito del “romanticismo”, sempre volto a privilegiare i valori morali rispetto alle durezze dogmatiche  di alcune leggi economiche o alla brutalità dei fatti storici narrati o creati dall’estro inventivo dello scrittore (peste, povertà dei ceti contadini e popolari, ambiguità e violenza di molti rappresentanti del potere, “ponziopilatismo” di certi uomini di  Chiesa), ci mostra i pericoli che incombono sul genere umano quando l’economia tende ad allontanarsi, anche di pochi passi, dai valori della morale, quando l’utilitarismo individualistico si sostituisce alla solidarietà nei confronti degli ultimi, quando l’economia abdica alla sua principale funzione di insostituibile strumento di civiltà ( come ricorda la scuola dell’ Economia civile di Genovesi, Filangieri, Verri, Romagnosi, etc.).

                A  150 anni dalla sua morte, può quindi risultare di non marginale importanza ricordare come  Manzoni, anche grazie all’antica  lezione morale del genovese Eustachio Degola, fu costantemente portato – come ci ricorda Lanfranco Caretti (“Manzoni – Ideologia e stile”, 1972) “a cercare appassionatamente il modo migliore per dedurre dal cielo incontaminato della rivelazione strumenti efficaci di terrestre persuasione , di civile convivenza, di severa e talvolta anche indignata polemica morale e sociale”.  Questo uno dei tanti lasciti del grande scrittore del nostro Ottocento : poeta, romanziere e, non da ultimo, attento e curioso indagatore della realtà economica passata e del suo tempo.

Massimo  Bramante 

Massimo Bramante– Laureato con pieni voti et laude in Economia e Commercio (indirizzo economico-sociale) presso Università Studi di Genova. Ha lavorato presso Istituto di credito e svolto Corsi di formazione nazionali su Economia e Sociologia del lavoro. E’ stato giornalista pubblicista nel settore economico-finanziario. Ha collaborato in qualità di “cultore della materia” e membro di commissione d’esame presso le cattedre di Economia Internazionale ed Economia dell’integrazione europea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Studi di Genova. E’ stato relatore ed ha coordinato seminari ed incontri di studio su temi di “Etica finanziaria” e “Nuove economie”

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