Di Anna Maria Cecchini             

Grande attesa per il ritorno di Jessica Ferro al teatro Ghione di Roma, dove il 6 maggio vestirà nuovamente le parti della Gnà Pina, la femmina verghiana passionale, pronta a tutto pur di soddisfare le proprie pulsioni erotiche, anche a sacrificare il futuro della mansueta figlia Maricchia. Con buone probabilità l’attrice saprà catturare l’attenzione del pubblico e come già accaduto al teatro Fellini di Catania lo scorso gennaio, anche la critica le riconoscerà il giusto apprezzamento a corollario del proprio percorso umano artistico caratterizzato da rinunce, sacrifici e studio appassionato. Vedremo quindi Jessica in una produzione Giuseppe Finocchiaro Manag.ement, diretta dal regista d’avanguardia Gianni Scuto, uno dei protagonisti di quel teatro sperimentale degli anni ‘60 –‘70, muoversi ammantata di nero, lei divinità iconoclasta, pallida e consunta dalla passione per Nanni, guadagnarsi lo spazio scenografico scarno, essenziale, giocato nel dualismo prepotentemente simbolico, fatale di Eros-Thanatos, fino al suo sacrificio estremo e prevedibile.

La lupa muore, muore uccisa dall’oggetto del suo innaturale desiderio perché al disopra di ogni legge umana e divina. Muore come muoiono tutte le tragiche eroine letterarie che sfidano l’ordine precostituito, anteponendo la propria realizzazione e appagamento al bene comune codificato, reso unico e valoriale. Nessuna pietà per le ribelli, nessun riscatto. La similitudine tra Gnà Pina e la Fedra di Euripide e Seneca rende la Novella e la sua trasposizione teatrale ancora più interessante, perché il teatro rimane il luogo privilegiato di conoscenza interiore, dove l’apoteosi si ha con la taumaturgia che accade ogni sera durante l’esperienza artistica condivisa, un’onda energetica che dal palcoscenico si riversa agli spettatori che sipario chiuso la restituiscono agli attori potenziata dalle loro vibrazioni. Impatto narrativo quindi d’effetto dove compare il medesimo schema: la donna adulta, il giovane uomo, il giudizio morale ma mentre nella tragedia greca Fedra si innamora di Ippolito e desidera che il suo amore venga da lui compreso e contraccambiato perché meritevole, forte e vero, alla Lupa importa solo il possesso fisico di Nanni e resta imprigionata, vittima del sortilegio demoniaco che tutti in paese le attribuiscono, non appena i suoi occhi incontrano quelli del giovane. Per entrambe non c’è altro che la morte come naturale conseguenza delle loro azioni. Suicidio per Fedra presa dal rimorso dopo che ha incolpato ingiustamente Ippolito e assistito alla sua orribile fine, omicidio-suicidio per la Lupa indomita, ferina e sensuale che non arretra di fronte a Nanni armato della scure. Del resto Verga  dopo aver sfidato la cultura egemone patriarcale e aver caratterizzato la protagonista in modo che non risponda ad altra autorità che a se stessa e alla sua bramosia di possesso, antitesi perfetta dell’angelo del focolare, sposa devota, madre amorevole, cameo incastonato della sua epoca e ancora tenacemente radicato, non può certo aspirare ad una conclusione diversa.

Jessica Ferro convince con la sua interpretazione e presenza scenica e ne ammiriamo il coraggio, del resto è abituata a interpretare ruoli di grande impatto emotivo, addentrarsi nella psicologia femminile e scandagliare l’animo umano, come già è accaduto in “Joan Crawford diva di cristallo”. Prima di Jessica, la Lupa è stata interpretata da attrici della caratura di Anna Magnani diretta nel 1966 da Zeffirelli, Lina Sastri da Guglielmo Ferro, Monica Guerritore nel film di Gabriele Lavia e dalla Donatella Finocchiaro che ha curato anche la regia della sua pièce.

Anna Maria Cecchini
Giornalista e scrittrice

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