Con la rubrica “il mondo in città” si vogliono raccontare i fatti dalle varie regioni del nostro pianeta che sono rilevanti per noi genovesi, italiani. Sia che ci troviamo sotto la lanterna o altrove, come nel mio caso che scrivo da Bruxelles.
Alberto Spatola

Europa

Un anno di guerra che cambia l’Europa 


Da oltre un anno in Europa c’è la guerra e nonostante molti vorrebbero trattare l’invasione di Putin dell’Ucraina come qualcosa di lontano che non ci riguarda, in realtà, anche se non siamo sotto le bombe, questa guerra ci sta cambiando. Sta cambiando l’Europa, anche quella centrale e occidentale, e pone numerose questioni all’Unione Europea.
Insomma il destino dell’Europa è legato a quello dell’Ucraina sotto molti punti di vista.

Un anno fa, con l’inizio della guerra, l’Europa si scopriva più unita, in grado di prendere decisioni radicali per sostenere la difesa di un vicino, l’Ucraina, contro l’invasore russo. Un’unità, quella europea, che resiste ancora oggi, anche se le decisioni di un anno fa appaiono insufficienti, o per lo meno da ricalibrare. Prima fra tutte la decisione di utilizzare le sanzioni contro Mosca come mezzo principale per intervenire nel conflitto.
Se le armi, come i camion lanciarazzi americani himars e i droni turchi bayraktar, messe in mano ai soldati ucraini hanno portato enormi successi alla resistenza ucraina, le sanzioni sono nelle mani dell’Unione Europea, della comunità internazionale e delle burocrazie pubbliche e private che le implementano. E così dal Lambrusco di Berlusconi a Putin, a Leroy-Merlin in Russia sono molti i casi che dimostrano come diverse realtà preferiscano mantenere la loro amicizia con l’aggressore soprattutto quando conviene.

Uno dei primissimi pacchetti di sanzioni, in senso moderno, fu quello contro l’Italia degli anni ’30, l’Italia fascista che cercava di occupare l’Etiopia. Quelle sanzioni non funzionarono anche perché ci furono timidezze nel prendere l’unica decisione che potesse veramente far male a Mussolini mentre costruiva il nuovo impero: bloccare il canale di Suez all’Italia.
Rispetto agli anni ’30 del ’900 l’economia si è fatta globale e digitale, e la Russia è accessibile da ben più di un solo stretto. Così il rischio è che come noi italiani ricordiamo quel periodo sotto sanzioni come uno strano momento in cui non si trovava il caffè e si è sperimentata l’autarchia, così anche i Russi soffrano, ma continuino con la loro scellerata guerra d’occupazione. Non a caso, nel 2022 il PIL, l’economia russa, è stato in leggerissima crescita, nonostante le sanzioni. La crescita più debole di tutto il continente (a eccezione del Regno Unito che ha visto la sua economia contrarsi), ma pur sempre niente che possa fermare i carri armati. Anche i vertici dell’UE si rendono conto di ciò e così invocano l’unità europea non solo per le sanzioni, ma anche per ancor maggiore supporto all’Ucraina.

Inoltre, la guerra in Ucraina ci pone un problema storico, e di futuro, di non poco conto. Sin dal Trattato di Roma, che ha dato il via nel 1957 al processo d’integrazione europea, parlando di Europa si pensa all’Europa occidentale. Per esempio, si parla di motore franco tedesco, l’Euro, la moneta unica, si ferma grossomodo a Vienna e la libera circolazione taglia fuori Romania e Bulgaria. Insomma anche se nel 2004 numerosi paesi dell’Europa centrale e orientale sono entrati nell’UE, il centro di gravità è rimasto Bruxelles. Ma oggi che la politica estera e di difesa assume maggior ruolo nei discorsi e azioni delle istituzioni europee, sono paesi come Polonia, Romania, i paesi baltici ad avere un punto di vista privilegiato, quasi sul fronte, e a poter vantare di averci messo in guardia su quanto Putin fosse pericoloso già molto tempo fa.
Ed è stata invece l’Europa occidentale, desiderosa di gas, che non li ha ascoltati.
Se per decenni il dialogo tra Parigi e Berlino era abbastanza per far avanzare il progetto europeo, ora l’Unione Europea è assai più complessa e ha bisogno di far continuare la sua musica come fosse un’orchestra, e non più una piccola band. Un cambiamento rimarchevole che va affrontato per evitare stonature, o di peggio.

Per quanto riguarda specificamente la politica estera e di difesa c’è un prima e un dopo la guerra ancora più netto. Prima della guerra alcuni settori della politica europea discutevano e timidamente avanzano alcune proposte per costruire la cosiddetta “autonomia strategica”, cioè la capacità dell’Europa di difendersi da sola e di avere una propria una voce unita e rilevante sul piano internazionale. Dopo la guerra è invece diventato chiarissimo come l’Europa non sia in grado di intervenire seriamente neanche alle sue porte, poiché sono gli Stati Uniti di gran lunga coloro che supportano di più militarmente Kyiv. Un piccolo riscatto c’è stato con l’autorizzazione tedesca di lasciar partire diversi carri armati, gli ormai famosi “Leopard”, ma la realtà è che a parte questa eccezione l’Europa se donasse come gli Stati Uniti si ritroverebbe presto disarmata.
Ciò accade soprattutto perché anziché avere un unico esercito europeo, ne abbiamo 27 separati, una moltiplicazione di risorse costosa e inefficiente: non più sostenibile.

Ma soprattutto l’Europa con questa guerra si è risvegliata più isolata nel mondo. Dalle sanzioni alla difesa, buona parte del mondo si vuol tenere lontano dai problemi d’Europa.
La retorica della lotta tra democrazie e dittature regge malamente alla prova della realtà. L’Europa, di fatto, si scopre con solo gli Stati Uniti sinceramente al proprio fianco.
Tutto ciò, non perché il mondo si stia innamorando di Putin (alcuni sì), ma perché più semplicemente si stanno stufando dell’atteggiamento dell’Europa per cui ciò che è accade da noi è affare globale, e ciò succede altrove è invece troppo lontano affinché l’occidente se ne preoccupi in maniera disinteressata.
Insomma è arrivato il momento, un anno dopo dall’inizio della guerra in Ucraina su larga scala, per l’Europa di ripensarsi, riformarsi radicalmente, affinché non siano le bombe a cambiarci passivamente in peggio. In parte questa guerra ci sta già cambiando con però il merito di mostrarci più chiaramente le nostre debolezze da affrontare.

Alberto SpatolaAlberto Spatola
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