Non chiamatela festa! Ogni anno l’arrivo dell’otto marzo mi irrita non poco

[Di Deborah Riccelli]

Wikipedia scrive che la Giornata Internazionale della Donna ricorre l’8 marzo di ogni anno per ricordare sia le conquiste sociali, economiche e politiche, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in quasi tutte le parti del mondo ed è per questo che viene associata al 25 novembre che è la giornata internazionale dell’eliminazione della violenza di genere.

Ma, se mentre il 25 novembre mi sento autorizzata a parlare di violenza e nessuno si permetterebbe mai di porgermi degli auguri, l’8 marzo mi tocca polemizzare con chi si ostina a farmeli. Con chi, con fare galante. Mi porge un mazzetto di mimosa e con alcune amiche che intasano le chat di WhatsApp con foto di uomini nudi coperti solo da un fiore. Le signore entusiaste di poter uscire “solo in quella data” per fare baldoria con le amiche poi non le si può proprio sentire.

Molti anni orsono mi trovavo a Milano per i miei studi ed ero uscita la sera dell’8 marzo per attuare un esperimento sociale. Vi posso confidare che ciò che ho visto quella sera non lo dimenticherò mai. Senza dubbio ci troviamo sempre davanti un problema culturale, penso alle donne felici di essere celebrate, a quelle che si improntano verso la gestione del potere maschile che non otterranno mai proprio perché sono femmine, e ai non pochi uomini che tentano di avvicinarsi all’universo femminile fingendosi paladini di una causa, agendo un insopportabile sessismo benevolo che fa più danni di uno spray urticante. Ovviamente esistono uomini consapevoli e totalmente meritevoli di essere ascoltati. Stiamo viaggiando velocemente verso ciò che pare ineluttabile.

Non chiamatela festa! Se i centri antiviolenza rischiano di perdere il poco potere conquistato in tanti anni di duro lavoro sul contrasto alla violenza maschile, a causa di chi pretende di agire percorsi totalmente inadeguati, rendendo comunque vittime le donne che giungono ignare al pronto soccorso. In questo modo mandano a monte anni e anni di sapere accumulato sul campo e in percorsi di autoconsapevolezza necessari all’autodeterminazione delle donne vittime di violenza.

Non chiamatela festa se nel 2022 sono state uccise 125 donne e nei primi mesi di quest’anno parliamo già di 20 vittime di femminicidio.

 Vorrei che l’8 marzo fosse un’occasione e non una festa. Un’occasione per riflettere e agire. Dovremmo insieme pensare alle donne che hanno combattuto perché altre godessero dei diritti che diamo per scontati.  Dovremmo pensare a come educare i giovani ad una sana affettività che abolisce il senso di prevaricazione, sottomissione e possesso. Dovremmo pensare a quelle madri, le cui figlie non torneranno più casa, solo perché hanno detto NO a chi voleva possederle. Simone da Beauvoir, circa settant’anni fa scrisse “Non dimenticate mai che è sufficiente una crisi politica, economica e religiosa per metetre in discussione i diritti delle donne. Questi diritti non sono acquisiti per sempre. Dovrete restare vigili per tutta la vita”.

A queste profetiche parole che sono diventate il mio mantra quotidiano aggiungo soltanto: non chiamatela festa!

Deborah Riccelli 
Vive e lavora a Genova come formatrice esperta in stereotipi del linguaggio, violenza di genere e crimine famigliare. Da sempre impegnata nel sociale è socia fondatrice e tutt’ora presidente di una onlus che si occupa del supporto psicologico e legale delle  vittime di violenza e dell’elaborazione del lutto dei famigliari delle vittime di femminicidio. La scrittrice, i cui testi risultano vincitori di numerosi premi letterari nazionali, è anche sceneggiatrice e regista teatrale. Tra gli altri, il suo spettacolo teatrale “Nessuno mai potrà + udire la mia voce” ha ottenuto il sold-out in teatri come il Carlo Felice di Genova e il Teatro del Casinò di Sanremo.

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