LA LANTERNA rubrica a cura di Marco Maltesu

I rifiuti, un costo od una opportunità?

 

Lo scenario che ha accompagnato il periodo passato con un forte incremento dei consumi ha generato una serie di problemi dal punto di vista della compatibilità ambientale. 

La globalizzazione del mercato ha significato, ad esempio, la creazione di un sistema di trasporto ed imballaggi via via sempre più funzionale al trasporto ma sempre meno adatto allo smaltimento ed al riciclaggio.

I continui miglioramenti della tecnologia esistente, spesso anche programmati dalle aziende, generano un continuo e rapido superamento tecnico di tutti gli apparati che ci circondano (computer, cellulari, fotocamere digitali…) che rapidamente diventano obsoleti e spesso devono essere obbligatoriamente sostituiti con nuovi gadget, mentre quelli vecchi diventano un rifiuto spesso difficilmente smaltibile.

Tutto questo impone alcune riflessioni necessarie per dare un possibile futuro alla nostra società:

– le materie prime non sono inesauribili;

– se la domanda supera l’offerta il prezzo delle materie prime è destinato ad aumentare come stiamo ampiamente vedendo a causa dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia;

– la produzione di rifiuti è la misura dell’inefficienza del sistema di produzione e consumo adottati;

– non ha senso sprecare delle materie che possono ulteriormente essere utilizzate e spendere poi molto in termini energetici ed ambientali per produrre nuovi oggetti partendo da materie prime vergini sempre più rare e costose (compreso il petrolio e l’uranio, che esiste già in quantità molto limitata).

Tutto ciò ci pone davanti alla necessità culturale e materiale di modificare il nostro modello di comportamento a partire da una serie di piccoli atti quotidiani.

Le azioni virtuose di singole persone, insieme alla modifica radicale dell’organizzazione collettiva dei modi di produrre, vendere e consumare, finalizzate a tutelare gli interessi collettivi, sono necessari per offrire un migliore futuro alla specie umana.

Questo futuro sarà possibile anche se sapremo ridurre la produzione di rifiuti e trasformarli letteralmente in nuove risorse.

Terminata la loro funzione, giornali ed imballaggi hanno ancora la dignità di un nome (carta , cartone, vetro…) ma anche, di un “cognome” inciso sulla loro confezione : AL per alluminio, Fe per ferro, PET per poli-etilen-tereftalato, PE per poli-etilene…

E insieme alle generalità, tutti questi oggetti, che potremo definire come Materiali Post Consumo (MPC), hanno un valore. Un valore vero che viene riconosciuto ai Comuni che li raccolgono in modo differenziato.

Per ogni tonnellata, la carta vale circa 60€, il cartone 80€, la plastica 50 €, l’acciaio 180 €, il vetro 20 €, l’alluminio 350€, il rame 5000€, gli abiti 500 €. Anche gli scarti di cucina, trasformati in compost hanno un valore di circa 80 € a tonnellata.

Un paragone per capire quanto valgono i nostri MPC, è che il carbone, oggi, vale 80€ a tonnellata!

È anche utile sapere che, grazie ai contributi, tutti gli MPC che hanno avuto le funzioni di imballaggio e la carta da giornali, annualmente prodotti dalle famiglie se fossero raccolti in modo differenziato avrebbero un valore superiore ai 13 milioni di Euro. Con una raccolta differenziata al 17%, la maggior parte di questi stessi MPC, diventano “rifiuti” da smaltire in discarica, e con loro nella discarica buttiamo ogni anno anche diversi milioni di Euro.

Se giornali, imballaggi, scarti di cucina sono gettati tutti insieme nella pattumiera, insieme alla spazzatura ed ai pannolini, i Materiali Post Consumo diventano un rifiuto da smaltire, servizio che i cittadini sono obbligati a pagare molto caro.

In media per il servizio di nettezza urbana una famiglia paga 350 € a tonnellata di MPC effettivamente prodotto, ma se siete un “single” che abita in una casa grande e producete per vostra scelta pochi rifiuti, potete pagare il servizio di raccolta e smaltimento dei vostri rifiuti oltre 1000 € a tonnellata.

La Commissione Ambiente del Parlamento Europeo ha stabilito che nella gestione dei MPC l’ordine delle priorità deve essere la seguente: Prevenzione, Riduzione, Riuso, Riciclo, Recupero energetico, Smaltimento. Inoltre, già dal 2020, i Paesi membri devono riciclare almeno il 50% dei rifiuti urbani e la produzione non deve superare quella esistente nel 2009.

Queste scelte hanno un semplice motivo: il riuso e il riciclo garantiscono maggiori risparmi energetici, minore inquinamento e costi più bassi della “termovalorizzazione” e della discarica. E, ovviamente, maggiori vantaggi collettivi vengono da politiche che disincentivano alla fonte la produzione di rifiuti.

E per raggiungere questi obiettivi, impensabili solo qualche anno fa, abbiamo un nuovo strumento, ampiamente collaudato: la raccolta differenziata “porta a porta”, grazie alla quale la raccolta a domicilio avviene per classi merceologiche, in base a selezioni effettuate dalle famiglie.

Il sistema di raccolta Porta a Porta, rivoluziona l’intero panorama degli arcaici sistemi di gestione dei rifiuti ancora in funzione. Grazie al lavoro delle famiglie, i materiali post consumo continuano a mantenere la loro identità (“nome” e “cognome”) e raccolti in modo separato alla fonte hanno un’elevata qualità, la quale permette l’avvio in nuovi cicli produttivi che ridanno loro nuova vita e creano nuovi posti di lavoro.

Con il Porta a Porta, raccolte differenziate al 70% e oltre, raggiungibili in pochi mesi, sono una realtà di centinaia di Comuni anche di grandi dimensioni e generano ottimi risultati (raccolte differenziate superiori al 50%) si sono ottenuti in numerose grandi città.

E con il Porta a Porta è possibile misurare la quantità di rifiuto indifferenziato realmente prodotto da ciascun nucleo famigliare e quindi è possibile applicare tariffe personalizzate più giuste, in grado di premiare ed incentivare i comportamenti virtuosi delle famiglie.

Questo significa che con un sistema di raccolta porta a porta finalizzato al riciclo entro quattro-cinque anni, una città media potrebbe essere in grado, ogni anno, di riciclare almeno 180.000 tonnellate dei MPC prodotti e separati dai suoi abitanti.

Fondamentale è comunque creare le condizioni per cui la raccolta differenziata dei rifiuti venga facilitata il più possibile per le persone, a partire dal ritiro giornaliero di tutte le tipologie di rifiuti e non costringendo a mantenere in casa i rifiuti per molti giorni.

Tra gli scarti separati ci sono (sempre per una città media di circa 500.000-600.000 abitanti) circa 54.000 tonnellate di frazione umida da utilizzare per la produzione di compost, materia prima indispensabile per la produzione agricola e florovivaistica ligure e di 4,5 milioni di metri cubi di metano (il consumo annuale di 10.000 famiglie) che, adeguatamente purificato, potrebbe essere immesso direttamente nella rete di distribuzione del gas cittadino. Si possono immaginare le ricadute che potrebbero esserci soprattutto in un periodo come quello attuale, con un interessante recupero energetico che realizza una sorta di teleriscaldamento che può  giustamente usufruire di incentivi da parte dello Stato.

In sintonia con le raccomandazioni dell’Unione Europea, si dovrebbero attivare anche energiche politiche di incentivazione per la riduzione della produzione dei rifiuti.

Una politica dei rifiuti gestita con sconti sulla tariffa, a favore di tutte le famiglie che si impegnano a fare compostaggio domestico, trasformando in compost i propri scarti di cucina, potrebbero in pochi mesi far sparire dai cassonetti, sempre prendendo in considerazione una città di medie dimensioni, tonnellate di rifiuti.

A questo obiettivo potrebbero partecipare tutti coloro che oggi coltivano gli orti che, ogni anno, hanno bisogno dell’apporto delle sostanze nutritive presenti in 2.000 tonnellate di frazione umida e gran parte delle famiglie che già oggi nelle città, praticano giardinaggio, anche su terrazzi e balconi, che con il compost autoprodotto non avrebbero più bisogno di terriccio per rinnovare la terra dei loro vasi.

A valle di questa energica politica di riduzione, di riuso e di riciclo, potrebbero rimanere 150-200.000 tonnellate di indifferenziato. 

Impianti di trattamento meccanico biologico sono la risposta più moderna per eliminare ogni rischio igienico sanitario rappresentato dal 10-15% di frazione umida altamente putrescibile (in prevalenza scarti di cibo) ancora presenti in questi rifiuti. 

L’attività microbica sviluppata in questi impianti, dopo 20 giorni di trattamento, elimina totalmente questo problema, con impatti ambientali bassissimi ed il calore prodotto da questa attività metabolica serve ad eliminare la carica batterica pericolosa e riduce la quantità di umidità presente nei rifiuti. Successivamente sistemi meccanici provvedono a separare e recuperare metalli ed inerti.

L’unione Europea impone, salvo subire procedure d’infrazione dall’U.E., di non conferire più a discarica RSU non trattati (specie per la frazione umida organica, generatrice di percolati tossici e di metano a effetto-serra) e comunque di conferire a discarica le frazioni secche qualora il potere calorifico superasse il limite di Legge di 13mila kilojoule/kg.

Poiché lo spirito delle norme dell’UE e anche le tendenze internazionali più attuali richiedono il recupero di materia oltre che il recupero energetico a minimo impatto ambientale-sanitario, sembra ovvio utilizzare (solo se strettamente indispensabile) TECNOLOGIE DI TRATTAMENTO TERMICO INTEGRATIVE DI CICLO per inertizzare solo le QUOTE RESIDUALI finali, scegliendo le nuove tecnologie ambientalmente più sane, a rischi sanitari minori ed affidabilmente validate “ex-ante” su impianti già esistenti.

È quindi ovvio che l’eventuale uso di tecnologie di trattamento termico e delle discariche vada evitato, o ridotto al minimo indispensabile (avendo massimizzato le azioni prioritarie a monte): ciò significa installare impianti finali medio-piccoli, modulari e flessibili, a impatto ambientale – sanitario minimo e certificato e con recupero massimo di materia oltre che d’energia.

Diverse sono le opzioni disponibili per la messa in sicurezza o per la conversione “waste to energy” di questo materiale, ognuna delle quali può chiudere il ciclo con rischi sanitari più o meno sensibili, con diversa efficienza energetica, trasformando – o meno – questo materiale in un inerte non lisciviabile.

Le opzioni tecnologiche disponibili riguardano:

  1. Lo stoccaggio, con l’obiettivo di segregazione del carbonio e riduzione delle emissioni di gas serra. 
  2. La separazione meccanica della frazione cellulosica e della frazione di plastiche miste con successivo 

    trattamento anaerobico della frazione cellulosica con produzione di bio-metano o Trattamento della frazione di plastiche miste per la produzione di sabbia sintetica destinata ai manufatti edili. 

  1. La gassificazione e vetrificazione al plasma (con possibile produzione di idrogeno o sintesi di combustibili liquidi). 
  2. La gassificazione tradizionale ad alta o bassa temperatura (con possibile produzione di idrogeno o sintesi di combustibili liquidi). 
  3. L’utilizzo del CDR quale combustibile per co-combustione in cementifici e centrali a carbone. 

Tra queste, occorre scegliere quella a minimo impatto sanitario – ambientale, a massima efficienza energetica e massimo recupero di materia.

In conclusione il Modello qui brevemente illustrato è una necessità per una compatibilità ambientale che fino ad ora è mancata.

Le gestioni convenzionali sono finalizzate allo smaltimento, alla massimizzazione degli utili del gestore e alla mitigazione del danno hanno costi elevati, a totale carico della comunità, anche attraverso tasse occulte come quelle sugli imballaggi.

Queste gestioni sono poco flessibili, assolutamente incapaci di fronteggiare gli inevitabili cambiamenti già in atto indotti nei consumi dal prezzo del petrolio, dal costo delle materie prime, dalla sostituzione negli imballaggi di polimeri di sintesi (plastiche) con biopolimeri compostabili, dall’introduzione obbligatoria del vuoto a rendere, da norme ambientali necessariamente più restrittive delle attuali.

Un Modello di ciclo dei rifiuti deve essere finalizzato al massimo riuso e riciclo dei flussi di materie differenziate prodotte dal metabolismo della città, deve essere molto flessibile, massimizzare il risparmio di energia, produrre energia veramente rinnovabile (ad esempio Bio-metano), minimizzare il consumo di risorse non rinnovabili, ridurre le emissioni di gas serra. Complessivamente costa molto meno, evita i costi dello smaltimento e riduce i costi post chiusura delle discariche.

Il Modello deve essere intrinsecamente a basso impatto ambientale e in sintonia con gli interessi collettivi. 

Deve indurre e premiare economicamente comportamenti virtuosi (paga meno chi produce meno rifiuti) deve prevedere un continuo sistema di incentivi, e creare intorno a questo flusso di materiali un ciclo industriale innovativo finalizzato alla produzione di nuovi beni e di nuova occupazione.

Una moderna civiltà si misura anche sulla base della capacità di modificare i propri comportamenti in funzione dell’ambiente e della collettività

Marco Maltesu
Direttore di redazione ilponentino.it

LA LANTERNA – Rubrica a cura di Marco Maltesu
direttore de il PONENTINO

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