Gli angeli dei nostri tempi sono tutti coloro che si interessano agli altri prima di interessarsi a se stessi.
(Wim Wenders)

ANGELI OGGI-Rubrica dedicata a tutti coloro che si occupano degli altri

TRAMONTI

Matilde Donatella Toniutti


Da cinque mesi sono una volontaria AVO, presto servizio presso l’Istituto per Anziani Brignole di Corso Firenze; terminato il corso di formazione, mi hanno destinata al secondo piano dell’Istituto.
Ricordo i primi giorni, quando ho incominciato a fare conoscenza con gli ospiti e nel tornare a casa, camminando, li pensavo…
trasparenti, fragili come cristalli, la vita ha consumato la loro consistenza, il mondo adesso li attraversa indisturbato. Solo un fremito, dove batte ancora il cuore, dove sono radunati sorrisi e lacrime, dove ogni giorno si abbassa un po’ la luce della speranza.
Certamente a pochi di loro qualcuno aprirà le braccia, preparerà il piatto preferito, comprerà proprio quei fiori, quel tabacco, quel profumo.
Li vedo mentalmente quando erano bambini, e adesso quanto si ritrova in essi di infantile! In ognuno trovo un libro da sfogliare, un racconto da ascoltare, come intorno al fuoco, alimentato dall’affetto, che scalda molto anche chi ascolta, che sente come gli fosse passato un testimone, da chi non vuole sparire del tutto ma lasciare una traccia.
Mi fermo a riflettere che per ognuno di loro è spuntato il giorno di venire qui, e da allora sono scomparse, come spegnere una alla volta delle candele, tutte le loro luci: gli amici, la famiglia, la casa, gli oggetti, forse
un cane, un gatto, un canarino, il panorama fuori dalla finestra, il campanello della porta, i rumori dei vicini, il profumo della cena, il telefono che suona…e poi per ultimi loro: “ieri” è tutto finito.
Dal giorno dopo dormire con persone sconosciute, aprire gli occhi al mattino e non saper capire subito dove sono, non riconoscere ciò che è fuori dalla finestra…tutto anonimo, tutto diviso con altri, ritrovarsi solo nelle sofferenze dei vicini di letto, di stanza, di reparto, di istituto; specchiarsi nei mucchietti di ossa che si lamentano, nel tremolìo incerto dei passi, nello sguardo che chiede e implora, nella solitudine che dilaga.
Unico bagaglio, non ingombrante, ma pesante come un macigno: i ricordi, che si allungano, si contorcono,si ribellano alla mente che forse vorrebbe scacciarli, ma si ripresentano impietosi e crudeli, incuranti e pressanti, nitidi e precisi.. Il sole che tramonta dietro le grandi vetrate, si adagia nel mare e il giorno impallidisce nella certezza dell’alba, ma qui l’alba non sorge più, saranno sempre tanti solitari tramonti che si arrendono al proprio destino.
Mi chiedo cosa pensavano mentre preparavano, o guardavano chi gliela preparava: l’ultima valigia. Poi disfarla, chiuderla e darla da portare via…non si tornerà indietro, non la si riempirà più.
Resta ancora un viaggio, anche quello senza ritorno, ma per il quale non occorre bagaglio, ma la destinazione è ben diversa.

Il mondo per loro è diventato all’improvviso solo bianco: le lenzuola, le pareti, i muri dove non trovano quella macchiolina, quei segni del tempo sulla
tappezzeria, quei rassicuranti segnali di vita a cui si erano affezionati.
Allora diventano pazienti, rassegnati, sono umiliati ed annientati, a volte appare un sorriso su volti disperati, alla affannosa ed inutile ricerca di cose conosciute.
Pare che basti allungare la mano fuori dalla finestra per toccare quel mare, così immenso e così straniero, guardato e ascoltato in tempi lontani, sospirato, amato, condiviso…che adesso è anonimo, lontano, immenso.
Chi è qui ha bisogno di cose piccole, non del mare, cose da stringere in una mano, da tenere anche nel sonno, da sentire, da respirare, da nascondere; dovrebbe trovare fuori dalla finestra paesaggi rassicuranti, non il mare che fa smarrire, fa sentire soli ed impotenti, mette a nudo l’anima, obbliga alla resa.
Ogni volta che arrivo in reparto faccio un primo giro, sono passati alcuni giorni e noto spesso letti vuoti, rifatti da poco: qualcuno se ne è andato, qualcuno che avevo accarezzato sul viso, sulle mani, a cui avevo sorriso e dato da mangiare, cucchiaio dopo cucchiaio ascoltando e parlando, prolungando se possibile quel contatto umano, così prezioso per tutti e due.
Spesso sulle labbra di molti ho letto la parola che qui tanto ritorna: “mamma”, forse una delle ultime parole, imparata per prima in un tempo ormai sbiadito nella memoria.
Alcuni ospiti di altri piani, più autonomi, a volte siedono nell’ingresso dell’istituto, sorridono a chi entra, sperano sia qualcuno che scambierà due parole; tutto va bene, per tenere il contatto con il mondo al di fuori delle due porte a vetri.
A volte mi rattrista la consapevolezza che uno alla volta li vedrò andare via, ma la certezza di saperli nella luce, dove il dolore e la nostalgia non esistono più, dove incontreranno quei “fantasmi” dei loro deliri che incarnavano persone conosciute nella vita…si, mi rasserena.
E infatti ho salutato sorridendo due “amici” che di recente non ho più trovato in reparto…li ho guardati e ad uno in particolare ho parlato, ma li vedevo così lontani! Ho proprio avuto l’impressione di guardare dei gusci vuoti, degli involucri ormai inutili, dove fino a poche ore prima abitava il loro spirito che finalmente ha trovato riposo e pace.
Mi meraviglia sempre e non mi abituerò mai alla commovente ed entusiastica accoglienza che riservano a noi volontari; ogni giorno riallacciano contatti con visi che diventano familiari e come tali quasi indispensabili. Sempre raccolgo bracciate di affetto e benedizioni, il poco che do riceve riconoscenza centuplicata. La caramella offerta fa brillare loro gli occhi, ma un sorriso o una carezza li raggiunge al cuore.
A volte, avendo tempo a disposizione, ho fatto una visita di domenica e ho constatato quanto sia il giorno più lento e vuoto di tutti, un giorno nel quale la solitudine sembra dilatarsi; ho trovato sguardi ancora più persi nel vuoto, mani abbandonate inerti sul lenzuolo, sospiri rassegnati e tanta, tanta sofferenza.
I giorni di festa si fanno sentire, prepotenti nei loro ricordi…è così liberatorio poterli raccontare a qualcuno, smettere di narrarseli e riviverli nelle parole.


Per tutti quelli che sono entrati ormai a far parte della mia vita, e per tutti coloro che vi entreranno, spero di essere stata e continuare ad essere ciò che mi sono prefissa come motto prima di iniziare questo splendido percorso: “vorrei essere una concreta invisibilità”.
(prima stesura 2005)
Matilde Donatella Toniutti

AVO Genova è una OdV che opera sul territorio, in molte strutture ospedaliere e in strutture per anziani (RSA). Quotidianamente i volontari AVO portano una parola di conforto agli anziani ed ai malati, compresi i piccoli pazienti del Gaslini, e alle loro famiglie)

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