di Alberto Bruzzone
“Uscite tutti di casa e andate più in alto che potete”. Fu così che una mattina di trentacinque anni fa tutto un quartiere si ritrovò sulla piazza della parrocchia.
C’era chi piangeva, chi pregava la Madonna, chi aspettava i propri cari, chi avrebbe voluto scendere giù. E invece giù era meglio non scendere, perché “potrebbero esserci altre esplosioni, perché i vetri potrebbero rompersi, perché non sappiamo ancora bene cosa sia successo”.
Così dicevano i Vigili del Fuoco e i soccorritori e noi, intanto, stavamo lassù, sul piazzale della parrocchia: bambini, genitori, nonne e nonni. A vedere il nostro quartiere sconvolto. Oggi è una bellissima giornata, ma trentacinque anni fa, il 15 maggio del 1987, da questa stessa prospettiva non fu affatto una bella giornata. Alle ore 8,17, due depositi della Attilio Carmagnani presero fuoco. Le fiamme si alzarono sino a dodici metri e fu quello il panorama che per ore e ore videro i cittadini di Multedo. Per ore e ore.
Quando l’incendio fu domato e ci fecero ritornare a casa, ci furono quattro persone che a casa non tornarono più. Si chiamavano Mario Nicorelli, Santino Barberis, Domenico Ponte e Attilio Macciò.


Attilio, che aveva 39 anni, abitava nella nostra scala. Pochi giorni dopo di lui, morirono anche la sua mamma Erma e la cagnolina Lea. Di crepacuore.
Proprio oggi, ho incontrato lo zio di una carissima amica che non c’è più e mi ha raccontato di essere scampato a quella tragedia per appena cinque minuti di ritardo.
Cinque minuti.Mi sarebbe piaciuto che tutti quelli che si riempiono la bocca sugli spostamenti dei depositi costieri, oggi ripensassero a questa sciagura, a cos’è successo a quei quattro lavoratori. E invece non ho letto una sola riga, una riga che sia una, in ricordo di quanto accaduto a Multedo 35 anni fa.
Se ci fossero amministratori realmente sensibili, a questo fatto storico, ma soprattutto a queste persone, avrebbero intitolato una via, una piazza, un parco, dei giardini. E invece non c’è nulla. Dicono che una persona muoia la prima volta quando se ne va da questa vita. La seconda quando non ci sarà più nessuno a pronunciare il suo nome.
E allora li continuo a pronunciare: Mario Nicorelli, Santino Barberis, Domenico Ponte, Attilio Macciò. Continuiamoli a pronunciare, questi nomi.


Il giorno dopo, il 16 maggio del 1987, di fronte al documento che negava alla Carmagnani lo stoccaggio dei materiali, si iniziò a parlare di delocalizzazione. Sono passati 35 anni, i depositi esplosi sono stati riaperti e la prospettiva di un trasferimento a Ponte Somalia è tutta di là da venire. Noi di Multedo, e penso di parlare per tanti, questa storia ce la ricordiamo bene. Ci ricordiamo bene i nomi di quattro nostri fratelli, ci ricordiamo il panorama e il terrore di quella maledetta mattina. Se lo ricordino anche gli altri. Che qui abbiamo un cuore grande così. E non ci piace quando ci mancano di rispetto.
Alberto Bruzzone
Sono passati trentacinque anni dal tragico evento dello scoppio alla Carmagnani e in tutti noi è ancora viva quella tragedia che ha colpito le vittime e le loro famiglie. È stata una tragedia annunciata, come spesso accede in questa Italia, tanto è vero che già allora di spostamento dei depositi costieri se ne parlava da anni, senza venirne mai a capo. Come giustamente Bruzzone ricorda nel suo articolo, alla memoria delle povere vittime non si è stati capaci neppure d’intitolare uno spazio del quartiere: abbiamo addirittura i giardini intitolati a John Lennon, che qualcuno mi dovrebbe spiegare quale legame abbia con la nostra comunità. Queste morti purtroppo hanno solo suscitato una solidarietà un po’ pelosa verso il nostro quartiere da parte delle istituzioni, che non hanno mai ritenuto strategico per la città affrontare questo problema. Ora è in ballo la delocalizzazione a Ponte Somalia e non sta certo a me, come a nessun cittadino, stabilire se la soluzione è idonea o meno. Saranno le autorità preposte, Consiglio Superiore dei LL.PP., Capitaneria del Porto e chi più ne ha più ne metta, che dovranno decidere, in base alle risultanze tecniche, se il sito è idoneo o meno all’insediamento. A quel punto, se non ci saranno malaugurate interferenze politiche, tutti dovranno, in un modo o nell’altro, accettare serenamente le decisioni che gli organi istituzionali avranno preso. Ciò che m’indigna è che, invece di veder remare tutti nella stessa direzione per trovare una soluzione, ci si balocca in un vergogno rimpallo politico. Per onesta intellettuale, chi contesta, a ragione o a torto, l’operazione “ponte Somalia” dovrebbe avere una soluzione alternativa già pronta perché, dopo diversi decenni, non è giustificabile farsi trovare impreparati. Tirare in ballo opzioni quali Calata Oli Minerali, già cassata per ragioni geopolitiche negli anni novanta, o oggettivamente impraticabili come Porto Petroli e la nuova diga, è un modo per non decidere e mantenere lo status quo. Non ha importanza dove verranno posizionati i depositi, se a ponte Somalia o altrove, ma è fondamentale che l’attuale procedura non sia bloccata, ma tutt’al più perfezionata e ottimizzata senza provocare irricevibili rinvii.