Il Contastorie

Rubrica a cura di Roberto Gerbi
Il piacere di scoprire storie curiose, divertenti, drammatiche che un appassionato di libri ha ritrovato in biblioteche polverose, vecchie riviste e, qualche volta, in internet


PEL PIACER DI PORLO IN LISTA

Il Vocabolario Treccani definisce:

LISTA (ant. listra) s.f. [dal germ. (ant. ted.) *līsta «orlo, striscia»]. […]

2. Foglio di carta, in origine in forma di lunga striscia, poi in genere di qualsiasi formato, che contiene una serie ordinata di nomi o di altre indicazioni; quindi, comunem., nota, elenco.

Lo scrittore francese Charles Dantzig afferma che “la lista è la forma di scrittura più naturale per l’uomo: da bambino manda una lista a Babbo Natale; da adulto, fa liste della spesa e delle spese, delle amanti o degli amanti. Tutti compilano liste. Si possono giudicare banali, oppure la forma più rudimentale di letteratura. E il rudimento, come hanno mostrato i pittori, basta affinarlo. Da Lascaux ricaviamo Picasso”. E più avanti scrive: “Il lettore di liste è il più scrittore di tutti i lettori”.[1]

Quando la Direzione del Louvre, nel novembre 2009, offrì a Umberto Eco la possibilità di organizzare una serie di conferenze, esposizioni, pubbliche, letture, concerti, proiezioni e così via su un argomento di sua scelta, Eco non esitò un attimo a proporre come tema l’elenco, ovvero la lista. La manifestazione fu chiamata Vertige de la liste, e, in tale occasione, fu pubblicato un saggio dallo stesso nome. Scrive Eco nella Prefazione:

“Se qualcuno andasse a leggere i miei romanzi vedrebbe che in essi abbondo in liste, e le origini di questa predilezione sono due, entrambe dovute ai miei studi giovanili: certi testi medievali e molti testi joyciani. […] Dalle litanie all’elenco delle cose contenute nel cassetto della cucina di Leopold Bloom nel penultimo capitolo dell’Ulisse passa però un buon numero di secoli, come più ancora ne passano tra le liste medievali e il modello di lista per eccellenza, e cioè il catalogo delle navi nell’Iliade di Omero. […]

Ma proprio in Omero si trova celebrato anche un altro modello descrittivo, quello ordinato e ispirato a criteri di chiusura armonica e compiuta rappresentato dallo scudo di Achille. Insomma, già in Omero pare che si oscilli tra una poetica del “tutto è qui” a una poetica dello “eccetera”.

Se questo mi era già chiaro, non mi ero mai messo a fare il regesto meticoloso degli infiniti casi in cui nella storia della letteratura (da Omero a Joyce sino ai giorni nostri) appaiono delle liste, anche se subito all’inizio venivano alla mente i nomi di Perec o di Prèvert, di Whitman o di Borges. Il risultato di questa caccia è stato prodigioso, tale da dar la vertigine, e già so che moltissime persone mi scriveranno chiedendomi perché in questo libro non appaiono tale o tal altro autore. E che non solo non sono onnisciente e non conosco una infinità di testi in cui appaiono delle liste, ma se pure avessi voluto inserire in antologia tutte le liste che via via incontravo nel corso della mia esplorazione, questo libro dovrebbe avere almeno mille pagine, e forse di più”.[2]

Ogni topo di biblioteca ha il proprio catalogo di liste, la prima delle quali è quella infinita dei libri che desidererebbe leggere. Ogni catalogo potrebbe avere mille pagine, e forse più.

Tra quelle non inserite nella lista delle liste di Umberto Eco, propongo alcune delle mie preferite, a cominciare proprio dalle liste incongrue di Umberto Eco:

“Una volta, in una delle mie Bustine di Minerva, mi ero concesso un elenco incongruo e, non ricordo a quale proposito, avevo elencato, tra coloro presumibilmente disinteressati all’Accademia dei Lincei, tessitori, stagnini, viticultori al metanolo, prestatori a usura, agenti segreti, industriali del tondino, garagisti, ammalati in coma profondo, salumieri, cassintegrati, abitanti di bidonvilles, martiri, vergini, confessori, sergenti maggiori e alcuni parlamentari. Avevo ricevuto la lettera, arguta e cortese anche se anonima, di un sergente maggiore in servizio, che elencava con molta dottrina gli argomenti che un sergente maggiore conosce, ricordando che molti sergenti hanno cultura universitaria. Si trattava di un bel caso di suscettibilità di categoria.

Avevo risposto precisando che nel mio elenco non avevo usato articoli determinativi, e quindi non affermavo che tutte le vergini e confessori (e neppure tutti i sergenti) ignorassero i Lincei, ma solo alcuni di essi.

Infine spiegavo che il mio era un esempio di elenco incongruo, tecnica illustrata da Borges, per esempio, con quel suo elenco che divideva gli animali in appartenenti all’Imperatore, imbalsamati, ammaestrati, porcellini di latte, sirene, favolosi, cani in libertà, inclusi in quella classificazione, che si agitano follemente, innumerevoli, disegnati con un sottile pennello di peli di cammello, ed ecc. L’elenco incongruo ha effetto proprio perché incongruo, e cioè perché mette in rapporto categorie che non potrebbero stare insieme. La sua funzione è spesso quella di sostituire l’espressione “le cose più varie”.

D’altra parte, nessun elenco incongruo è veramente incongruo, se si sceglie il criterio insiemistico adeguato. Si pensi a questo elenco: “un canguro, un sergente maggiore italiano, Totò, Pio XII, Cavour, mia nonna, Anna Bolena, Craxi, Padre Pio e il mostro di Scandicci.” Sembra incongruo, ma elenca una serie di persone che non erano a Hiroshima nel 1945.

Altro elenco: “piccoli cuculi, caporali, ragazze au pair, paguri, zingari, inviati speciali, vermi solitari, ambasciatori, mafiosi al confino, missionari, ergastolani”. Ecco una serie di persone o animali che per definizione non abitano a casa propria.”

Tullio Pericoli – Umberto Eco, A Library of the World

Francesco Petrarca elenca, petrarcheggiando:

“Non Tesin, Po, Varo, Arno, Adige et Tebro,

Eufrate, Tigre, Nilo, Hermo, Indo et Gange,

Tana, Histro, Alpheo, Garona, e ‘l mar che frange,

Rodano, Hibero, Ren, Sena, Albia, Era, Hebro;

non edra, abete, pin, faggio, o genebro,

poria ‘l foco allentar che ‘l cor tristo ange,

quant’un bel rio ch’ad ognor meco piange,

co l’arboscel che ‘n rime orno et celebro”.[3]

Giorgio Manganelli propone un elenco di cos’è una biblioteca: “Una biblioteca è molte, strane, inquietanti cose; è un circo, una balera, una cerimonia, un incantesimo, una magheria, un viaggio per la terra, un viaggio al centro della terra, un viaggio per i cieli; è silenzio, ed è una moltitudine di voci; è sussurro ed è urlo; è favola, è chiacchiera, è discorso delle cose ultime, è memoria, è riso, è profezia; soprattutto è un infinito labirinto, e un enigma che non vogliamo sciogliere, perché la sua misteriosa grandezza dà un oscuro senso alla nostra vita”.[4]

Tom Gaud – My Library

Per rimanere alle biblioteche, tra i tanti elenchi contenuti nel Gargantua e Pantagruele di Rabelais, quello dei “bei libri della biblioteca di San Vittore”; pagine e pagine di titoli tra i quali: Il Gomitolo della teologia; il Fischiettone dei predicatori, ad opera di Turlupino; Decretum Universitatis Parisienis super muliercularum plenitudine tafanaria ac mamellaria ad libitum simulata; Ars honeste petandi in societate; Il Cornuto a corte; Sui Piselli al prosciutto, cum commento; Lo Spetazzamento dei bollisti, copisti, correttori, abbreviatori, referendari e datari, compilato da Mastro Regis; La Pelletteria dei mangialupini, estratto dal borzacchino giallo incornifistibulato nella Summa Angelica; Cacatorium medicorum…[5]

Tra i tanti elenchi inseriti da quell’altro amante delle liste che era Montesquieu nel Voyage en Italie, si trova quello del “gabinetto di curiosità del signor Vallisneri.[6] C’è una gran quantità di ogni tipo d’animali: serpenti, insetti velenosi, messi in bottiglie e conservati nell’acquavite. […] Il signor Vallisneri possiede due pietre, fra cui si vede chiaramente che vi è morto un pesce. C’è un foglio di papiro scritto; ogni tipo di corallo e di concrezione; due aghi d’avorio, con cui delle ragazze hanno rallegrato la propria natura, che si sono persi, sono finiti nella vescica e lì si sono incrostati di materia pietrosa, dello spessore di un mignolo. Ci sono dei coralli, che sono stratificazioni formatesi su rami di legno secco, il che fa pensare al signor Vallisneri che il corallo non sia una pianta, ma un ammasso d’una qualche materia che si trova nel mare, intorno a un certo legno, o qualcos’altro; ogni specie di conchiglie. Ha perfino un serricunnium,[7] che egli crede molto antico (ma non lo è ed è molto sciatto); ogni tipo di strumento chirurgico; una gran quantità di frammenti di statue antiche; parecchi pezzi di minerali; numerose statuette di divinità, alte 5 o 6 pollici, e così via”.[8]

Katie Scott e Jenny Broom – Animalium
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La più celebre tra le liste di amanti è contenuta nell’aria Madamina, il catalogo è questo, cantata da Leporello nel Don Giovanni di Mozart, su libretto di Lorenzo Da Ponte. Merita però di essere ricordato il riepilogo di Catulle Mendès:

Rose, Emmeline,

Margueridette,

            Odette,

Alix, Aline,

Paule, Hippolyte,

Lucy, Lucile,

            Cécile,

Daphné, Mélite,

Arthémidore,

Myrrha, Myrrhine,

            Périne,

Naïs, Eudore,

Jeanne, Antonie,

Flore, Florise,

            Charise,

Appolonie,

[…]

Caliste, Annie,

Grâce, Ethelinde,

            Clorinde,

Callisthénie,

Zulma, Zélie,

Régine, Reine,

            Irène!…

Et j’en oublie.[9]

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Leporello nel “Don Giovanni” di Mozart

Un libro in gran parte composto di liste, altre liste e ancora liste è Note del guanciale della poetessa giapponese Sei Shōnagon, vissuta intorno all’anno mille:

“Le montagne più belle sono: la Tenebrosa, la montagna delle Querce, quella dei Tre Cappelli, l’Impenetrabile, l’Indimenticabile, la montagna del Pino Solitario. Anche la montagna Laterale è affascinante, e ugualmente quelle dei Campi Gelati, delle Rane, dell’Oltretomba. Stupenda è la montagna dell’Alba Oscura, se contemplata da lontano. Interessante è anche la montagna di Ohire, giacché ricorda i danzatori della festa di Rinji. E poi ancora le montagne dei Tre Cerchi, del Ripido Pendio, della Lunga Attesa, la montagna Straordinaria e quella Senza Orecchi.”

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Katsushika Hokusai – Passo Inume, provincia di Kai

Gian Marco Griffi, in quel caleidoscopico romanzo che è Ferrovie del Messico, ci racconta di Bardolf Graf, che nacque a Wolfach, nella Foresta Nera, il diciotto maggio millenovecentodue. Quelli di Wolfach lo chiamavano ebete, patatucco, ‘sto scimunito, ein blöder Kerl:

“E a quelli che gli chiedevano cosa detestasse lui rispondeva niente, amo le mie mani bozzolose e il mio naso adunco, i recinti e i boschi, le darsene e i mattugi, i pastori e i libri, amo i mormorii notturni e i bisbigli che mi destano nel cuore della notte e amo gli alambicchi e le mattonelle di casa mia, i crogioli gli essiccatoi e i cannelli dardifiamma, amo la carta sì ho molta carta, telata oleata pergamenata filigranata vergata e zigrinata e amo i cappelli le réclame e i necrologi davvero tantissimo mi fanno impazzire e amo la goffratrice l’offset e la policilindrica sì amo anche gli artropodi che conosco sì conosco migliaia, milioni, di odonati megalotteri e dermatteri e miliardi di planipenni e lepidotteri e anopluri e strepsitteri, che grande compagnia mi fanno, almeno credo, e amo gli alberi piegati dal vento, il vento, gli alberi da frutta e i loro frutti e per ciascuno di questi le singole parti, ‘al ha’etz we’al perì ha’etz, almeno quelle che conosco, vediamo, amo molto il pericarpio la polpa borè perì ha’etz la scorza il mallo e il picciolo e amo i verbi imbozzacchire bacchiare e imbacare e mi piacciono i vasi cribrosi e legnosi e il felloderma e l’alburno e senza dubbio apprezzo moltissimo il gettamento l’esserci e la vecchiezza, sì proprio la senescenza e stravedo per i denti i denti i denti e ho perfino fotografie di appendiabiti palloni orpelli perché amo anche loro e godo dell’odore del refrigerio e dell’ombra, ripulisco caldaie tegghie pentole e piattelli perché amo tutti questi oggetti e onoro mio padre e mia madre specie quando li sento mugolare nella stanza a notte fonda se pensano che stia dormendo, e amo dormire, svegliarmi, andar dal dentista, amo anche templi e pagode e le cattedrali delle quali poi amo pergamo sacello lunetta e cappella e non potrei non amare i campanili e ancora pinnacoli ventarole e campane di montagna soprattutto dove ci sono il ranuncolo la potentina e il mirtillo orecchia d’orso insieme al maggiociondolo al non-ti-scordar-di-me o miosotide che-dir-si-voglia e all’achillea borsa di pastore”.

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E poi… e poi… con la paura di dimenticare, di non riuscire a elencare tutto: la lista di quelli che “dormono sulla collina” di Edgar Lee Masters, delle città nell’atlante del Gran Khan nelle Città invisibili di Italo Calvino, delle puzze, nel Profumo di Patrick Süskind, di tutto ciò che accade ed è visibile per tre giorni dal tavolino di un bar di Saint-Sulpice, nel Tentativo di esaurire un luogo parigino di Georges Perec, di “quelli che”, nel Tentativo di descrizione d’un banchetto a Parigi di Jacques Prévert, cui si è ispirato il nostro Enzo Jannacci, delle lettere dell’alfabeto, negli infiniti alfabeti…

Infine, l’Enciclopedia capricciosa di tutto e di niente di Charles Dantzig riunisce alcune centinaia di liste, sugli argomenti più svariati:

“La lista di quelli che hanno fatto bene a non nascere”, in cui ritroviamo “il figlio di Hitler e Eva Braun”;

“La lista dei film per i quali conserverei l’ultima sala cinematografica del mondo”, tra cui inserisce, motivandolo: Viale del tramonto, Bellissima, Cantando sotto la pioggia, 8½, Effetto notte, etc.

“La lista degli uomini più ridicolmente vestiti al mondo: David Beckham. Silvio Berlusconi. David Bowie. Fidel Castro. Johnny Depp. John Galliano. Brad Pitt. Qualsiasi rapper francese in tuta bianca”.

“La lista di: sono stati belli per una settimana:

Il principe William d’Inghilterra. Si è equinizzato.

L’infante di Spagna Filippo, principe delle Asturie. Sembra un bravo vecchietto che sonnecchia seduto alla terrazza di un caffè.

Mohammad VI del Marocco. È incredibile come la volgarità del potere si sia fatta strada sul suo volto, appesantendolo, gonfiandolo, rimpicciolendo gli occhi che ora sembrano occhi di serpente.

Jude Law. Dopo i trentacinque anni, l’inglese carino comincia spesso a somigliare a uno stalliere.

Vincent Pérez. Vincent chi?”.

L’ultima lista del libro è quella delle “scemenze che mi affascinano”, e l’ultima scemenza:

“Il contadino indiano D. Jaggalah è morto dopo aver bevuto alcol di contrabbando. Al momento della cremazione, gli abitanti del villaggio hanno brindato alla memoria del loro amico, utilizzando la stessa scorta di alcol che aveva ucciso Jaggalah. Dieci partecipanti al funerale sono morti”.

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Resto in curiosa attesa delle vostre liste preferite…


[1] Charles Dantzig, “Enciclopedia capricciosa di tutto e di niente”.

[2] Umberto Eco, “Vertigine della lista”.

[3] Francesco Petrarca, “Canzoniere”, CXLVIII.

[4] Giorgio Manganelli, “Archivio centrale dello Stato, fondo del Movimento di collaborazione civica, Busta 9.41”.

[5] François Rabelais, “Gargantua e Pantagruele”, II, VII.

[6] II naturalista Antonio Vallisneri (1661-1730), professore di medicina nell’Università di Padova.

[7] Un tipo di cintura di castità.

[8] Montesquieu, “Voyage en Italie”, II, in Roberto Gerbi, “Nel paese dei limoni”. La collezione è tuttora visibile nel Palazzo Cavalli di Padova.

[9] Catulle Mendès, “Récapitulation”, in “Poésies nouvelles”, 1893.

Roberto Gerbi

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