Marc Augé “Il tempo senza età. La vecchiaia non esiste” Raffaello Cortina Editore

Parafrasando una vecchia canzone di Mina questo “è il libro per me, fatto apposta per me!” E per molti abitanti della Penisola e della nostra Regione!

 A parte gli scherzi, questo testo è una interessante riflessione sulla vecchiaia e sul ruolo che la società impone a chi ha superato una certa età anagrafica. L’argomento centrale è quello della differenza che passa fra il tempo e l’età.

Qualche citazione per rendere l’idea.

“Quanti anni hai?” La domanda è maggiormente imbarazzante quando viene formulata in una lingua come l’inglese che ha l’ausiliare “essere” come intermediario: “ How old are you? ” (letteralmente “Quanto vecchio sei?”). Ma, ancora di più, lo è la risposta: “ I am …” (letteralmente “Io sono”). Io sono davvero questi quaranta, cinquanta, sessant’anni o più attraverso i quali mi trovo condannato a definirmi? In un certo senso è così e sono gli altri, la società e le sue regole che lo decidono. In tutti i campi sono stabiliti dei limiti d’età: la maggiore età, il pensionamento o la possibilità d’iscriversi alla Académie Française , come se passata una certa età non si potesse più aspirare all’immortalità. Altrettanto dicasi per i limiti – stabiliti dalle banche dello sperma – per la donna e il suo partner che chiedano la procreazione assistita, o per un cardinale che, arrivato a ottant’anni, non può più partecipare al Conclave per l’elezione del papa. In poche parole, quanto ho di più profondamente personale, il mio percorso nel tempo, che mi avvicina alla morte, la mia morte, è registrato, inquadrato, sottoposto a regolamenti, deroghe ed eccezioni: se io “sono” la mia età e non sono altro che quella, sono comunque un essere fondamentalmente sociale e culturale strettamente definito da regole collettivamente riconosciute. Ma questo cumulo di regole mi riguarda davvero? Sono davvero diventato “maggiorenne” a ventuno anni? E oggigiorno siffatto cambio di status avviene davvero tre anni prima? Sono diventato un altro una volta raggiunto il pensionamento? Dopo i sessantacinque, i settanta o gli ottant’anni non ho davvero più niente da dire? Un problema di libertà, e più le speranze di allungamento della vita aumentano, più cresce il numero di “collocamenti fuori circuito”.

 Il pericolo di queste regole: quando si toglierà il diritto di voto agli anziani?

 “Non dimostri la tua età”, un’affermazione che si sente di tanto in tanto e che dovrebbe rendere felici le persone a cui la si rivolge, uomini o donne che siano. L’espressione affermativa alla terza persona, invece – qualcuno che “fa” la propria età – , è più spesso formulata, con un tono confidenziale ispirato in qualche modo dalla pietà, nei confronti di un assente: lui (o lei) “dimostra la sua età” o, ancora con tono meno leggero, “dimostra tutta la sua età”. Il verbo dimostrare/fare , utilizzato relativamente all’età, sembra essere un controsenso. Dimostra e “fa” la sua età chi la subisce, chi sopporta passivamente l’azione del tempo e il cui aspetto fisico ne accusa il peso, lo esprime chiaramente o addirittura l’anticipa. Chi dimostra la sua età l’accetta supinamente, è passivo e subisce: dimostrare la propria età significa lasciarle prendere le leve del comando. Ci si aspetta invece che chi non la dimostri abbia una vita attiva e sana, un’energia che ne attenua o rallenta gli effetti. Faccio moto ed esercizio fisico per non dimostrare la mia età; tiro in dentro la pancia, seguo una dieta e faccio talassoterapia; mi rivolgo a creme e fondotinta, mi trucco per “far giovane”, più giovane, cioè più giovane della mia età.

 Non si “prendono” anni come si prende il largo, il coraggio o il proprio destino in mano, ma, piuttosto, come si prende freddo o ci si prende paura. I due principali verbi d’azione, “fare” e “prendere”, sono ambivalenti e basta cambiare il complemento oggetto per farli scivolare semanticamente nella forma passiva. Questo gioco sull’attivo e passivo è presente e più chiaramente espresso in altri casi: si avanza negli anni come si avanza verso qualcuno, ma, all’arrivo, è l’età stessa che si dice “avanzata”, quasi fosse un mezzo di trasporto privato: “la sua auto ha preso un posto avanzato”. L’abbinamento delle due metafore conduce quasi a un’immagine di collisione nel momento in cui diciamo che qualcuno “ha raggiunto un’età avanzata”.

 “Quanti anni gli dai? Cinquanta, cinquantacinque.” Per una strana alchimia qui il lessico propone un’offerta prima di valutare.

Insomma, il tempo passa per tutti e per tutto, nel frattempo, si cerca di avere buona salute, e quella un po’ è fortuna e un po’ stile di vita; si  deve sperare che non ti capitino grossi dolori; per il resto te la devi guadagnare, non smettere mai di essere curioso e di imparare, di avere entusiasmo per la conoscenza, e mantenere qualche ideale. E se il corpo non è più fresco come prima, pazienza; io ho visto vecchi e vecchie molto belli perché illuminati, più gradevoli di persone molto più giovani e scialbe. Coraggio, proviamoci.

Grazia Tanzi

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