Con la rubrica “il mondo in città” si vogliono raccontare i fatti dalle varie regioni del nostro pianeta che sono rilevanti per noi genovesi, italiani. Sia che ci troviamo sotto la lanterna o altrove, come nel mio caso che scrivo da Bruxelles.
Alberto Spatola

America Latina – Cile, una rivoluzione mancata


È da oltre un anno che alla guida del Cile c’è un giovane Presidente: Gabriel Boric.
Se il Cile negli anni 70 con Salvador Allende aveva attirato l’attenzione di un po’ di tutto il mondo, soprattutto dell’Italia, Gabriel Boric arriva in un mondo più disilluso, meno incline agli ideali.


È da oltre un anno che alla guida del Cile c’è un giovane Presidente: Gabriel Boric.
Se il Cile negli anni 70 con Salvador Allende aveva attirato l’attenzione di un po’ di tutto il mondo, soprattutto dell’Italia, Gabriel Boric arriva in un mondo più disilluso, meno incline agli ideali.

Gabriel Boric è divenuto popolare in Cile grazie ai movimenti studenteschi che partirono come proteste contro il rincaro dei biglietti del trasporto pubblico, ma che presto si trasformarono in una messa in discussione totale delle istituzioni cilene, a partire dalla Costituzione che, seppure democratica, fu scritta da Pinochet e i suoi generali.

Quel movimento, quelle proteste portarono all’elezione di un’Assemblea costituente completamente fuori dagli schemi: non eletta sulla base dei partiti politici, ma delle singole persone, sospinte da movimenti e organizzazioni dei popoli indigeni.
Quella Assemblea Costituente così iniziò a mettere nero su bianco i diritti e le speranze di un possibile futuro Cile.

In quella fase il Cile iniziò ad attirare i sogni di alcuni, ma neanche il tempo di celebrare l’elezione di quel giovane leader studentesco a Presidente della Repubblica che fu chiaro che diverse nuvole erano pronte a far ombra su quella voglia di trasformazione.

La Costituente cominciò a scrivere articoli sempre più radicali, un anno di lavori che attirò sempre più critiche, alcune oggettive come i costi di tutti quei diritti che si volevano garantire a tutti i Cileni, altre piú interessate come il fastidio per quelle regole su ambienti e diritti per i popoli indigeni che avrebbero messo i bastoni tra le ruote allo sfruttamento dei minerali come il litio di cui il Cile è ricchissimo.
Così una nuova ombra fece capolino nei cieli della politica cilena: il Partito Repubblicano, di estrema destra di José Antonio Kast. Kast arrivò facilmente al ballottaggio se pur perdendo poi al secondo turno.

In Cile le istituzioni sono molto simili a quelle degli Stati Uniti, ma i nomi e le tradizioni sembravano quelle dell’Italia della prima Repubblica. Sono sempre stati Socialisti e Democristiani a dominare le urne, non leader studenteschi trentenni e populisti di estrema destra con nostalgia del regime di Pinochet.
Questo cambiamento così repentino della politica, questa corsa agli estremi, alla polarizzazione, sta trasformando le speranze in illusioni infrante, e i timori verso il cambiamento in aperta nostalgia di un passato autoritario.
L’anno scorso la Costituzione così troppo radicale fu rigettata da un referendum e la nuova Assemblea Costituente eletta lo scorso 7 Maggio è dominata dai Repubblicani di Kast.

Quella Costituzione che doveva recidere i legami con la passata dittatura di Pinochet verrà adesso scritta da chi ne ha nostalgia.
Boric, nonostante si sia sapientemente distanziato dagli afflati più radicali del mondo da cui proviene, al momento è travolto dal fallimento del progetto di riforma della Costituzione, e anche se sarà capace di riemergere dall’angolo in cui è stato messo il Cile dovrà probabilmente fare i conti con una rinnovata estrema destra per gli anni a venire.
Al momento Gabriel Boric non è manco in grado di far passare al Congresso una riforma fiscale, in senso redistributivo, e la sua popolarità è molto bassa, a circa il 35%.
I prossimi tre anni di Presidenza ci mostreranno cosa avrà costruito sulle ceneri di una rivoluzione mancata.

foto: progressive.international

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