–Di Antonello Rivano–
“Lo confesso: questo piccolo scritto non lo volevo pubblicare, volevo lasciarlo nel cassetto del mio privato, per mia intima soddisfazione. Tant’è che di questo mio “vezzo” ne erano informati solamente mia moglie Luciana, mia musa consigliera, e il mio fraterno amico Checco. Invece, tralasciando l’occasione, il modo e il perché, mi trovo ora tra le mani di questa Antologia tabarchina alla Spoon River.”
Così scrive Nicolo Capriata all’inizio del capitolo “Alcune cose da sapere” che apre il suo volumetto pubblicato postumo. Ed è una fortuna che abbia cambiato idea, che ci abbia lasciato questa sua ennesima “perla” letteraria sulla tabarchinità.
Pensavamo che il suo libro sui proverbi e modi in tabarchino di Carloforte, lungo lavoro di ricerca durato 10 anni, fosse il suo ultimo regalo, una sorta di atto testamentario per i tanti che lo hanno amato e seguito nella sua opera di divulgazione e ricerca storia. Invece Nicolo ci riservava una sorpresa, nel momento che ci lasciava un alto lavoro era già stato dato alle stampe.
Nicolo Capriata si rifà alla celebre opera di Lee Masters, e, come lui ha fatto immaginando il paese di Sponn River, traduce in parole i pensieri di personaggi noti e meno noti. Solo che questa volta il paese è reale: Carloforte, si tratta di persone che in esso hanno vissuto, in epoche diverse, e ne hanno fatto o subito la storia e le vicende. Un mix, tra la profonda conoscenza della storia carlofortina del cultore e ricercatore storico, e la passione che l’autore ha da sempre nutrito per l’Antologia di Spoon River. Una raccolta di pensieri profondi , che disegnano i personaggi da un punto di vista profondamente umano.
Ho letto il libro, che ha la traduzione a fronte in tabarchino ad opera di Maria Carla Sicilano, tutto d’un fiato, immergendomi nelle parole, ritrovando in esse tutta l’umanità di Nicolo, il suo raccontare allo stesso modo la gente comune, cosi come i grandi personaggi della storia di Carloforte. Dando la stessa importanza sia agli uni che agli altri, tutti artefici di ciò che Carloforte è stata ed è. Addirittura facendo dire al Ras Muhamud Rumeli, alto dignitario della corte del Bey, che comandò e guidò l’azione del saccheggio di Carloforte nel 1798: Col dolore io vi ho portato la fede e la gloria. Dovreste essermi riconoscenti
In questa antologia, come in quella di Spoon River, c’è una scelta “democratica” riguardo ai protagonisti. Mettendo assieme gli eroi e i pavidi, i cattivi e i buoni, il Re e il galanziere, il saggio e il folle, il professore e l’imbonitore, ci viene detto che la “Storia”, è figlia di tante piccole storie, e che tutti i suoi protagonisti hanno eguale importanza. Per cui la ricerca e lo studio, specie dell’epopea tabarchina, non possono prescindere da questo. In fondo è quello che Nicolo Capriata ha sempre insegnato con la sua opera di ricerca e divulgazione.
Credo si possa affermare che questo è uno dei lavori che più rappresenta Nicolo Capriata, culturalmente e ancor più umanamente. Ci sono sia le sue ricerche che i suoi valori…e sono entrambi preziosi.
Aver dato “voce” a personaggi che già ci aveva raccontato dal punto di vista storico li rende “vivi”, crea una sorta di ponte tra noi e loro, tra vivi e morti. Ce lo suggerisce anche l’autore quando a uno dei personaggi fa dire “Spesso la morte unisce più che saperare”.
Ecco, “Antologia tabarchina alla Spoon River” è molto di più di quello che è, o almeno di ciò che a prima vista appare .
Nicolo attraverso questa antologia ci “raccomanda” delle cose, ci dà lezioni di vita e di approccio alla storia ella ricerca della cultura tabarchina, ma ci rimprovera anche, ci dice che abbiamo dimenticato persone che tanto hanno fatto per questa. Quasi un monito a non dimenticare anche lui?
C’è una cosa che accomuna tra loro tutti i personaggi dell’antologia, e accomuna loro all’autore, traspare in ogni profilo, da quello più nobile a quello più popolano, ed è l’umiltà.
A chi prende tra le mani il libro si accorge che note introduttive, prefazione, ringraziamenti, sono tutti scritti come se Nicolo Capriata fosse ancora in vita e non ci avesse lasciato qualche mese fa. Una scelta editoriale che condividiamo e apprezziamo, perché persone come Nicolo saranno sempre tenute in vita da chi li ha amate, li ama e le amerà, da chi ha il apprezzato il loro lavoro e ha seguito i loro insegnamenti fatti spesso solo di silenziosi esempi.
Vogliamo chiudere con la parte finale del pezzo dedicato a Enzo Cabulla, anche lui cultore della tabarchinità recentemente scomparso, perché sono parole che possiamo tranquillamente associare al loro autore. Queste sono parole che Nicolo, salutandoci, rivolge direttamente a tutti noi, cultori della tabarchinità e a nostra volta divulgatori, esortandoci a continuare la sua opera, la sua missione, perchè, come amava citare: “Non c’è da scommettere un soldo sul futuro di un popolo che non abbia rispetto del suo passato” (Claude Antoine Pascal)
[…] Avete fatto scrivere sulla mia lapide: “Amava e diffuse a tutti la tabarchinità”. E’ stata la missione della mia vita. Qui dal cielo lo vorrei gridare a squarciagola, far imprimere su tutti la tabarchinità. Il futuro di un paese, come quello di un uomo, risiede nella sua cultura.
A Nicolo che sulla copia che mi ha donato del suo ultimo lavoro letterario, pubblicato in vita, firmandomelo vi scrisse “Viva la Tabarchinità“