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Libri alla Ponentina – Il silenzio del mare

Vercors “Il silenzio del mare” ed. Einaudi

1940 Parigi è occupata dalle truppe naziste. Un ufficiale si installa forzatamente in un alloggio privato dove vivono un anziano e la nipote, i due risponderanno al sopruso col silenzio, non rivolgeranno mai la parola all’ufficiale, né gli risponderanno, nonostante questi sia una persona colta e gentile. Questo libro è l’esemplificazione perfetta del mistero della letteratura, quella autentica. Una storia semplice, priva di colpi di scena; tre soli personaggi, di cui uno soltanto parla; una scrittura piana e precisa, ma di nessuna originalità; poche pagine di testo, capaci tuttavia di evocare un mondo, quello della condizione umana, stretta fra il sublime della creatività culturale e artistica e la brutalità della guerra e della sopraffazione. Contro queste ultime il silenzio, forma estrema di resistenza e rifiuto di complicità, mentre con ostinata e commovente cecità l’unico personaggio che parla – e che la sorte ha messo dal lato degli oppressori – invoca la bellezza dell’arte, illusione disperata di salvezza.

Un piccolo estratto

Avevamo deciso in un tacito accordo, mia nipote ed io, di non mutare nulla nella nostra vita, fosse pure il più piccolo particolare: come se l’ufficiale non esistesse; come se fosse stato un fantasma. Ma forse un altro sentimento si univa nel mio cuore a questa determinazione: io non posso offendere un uomo senza soffrire, si tratti pure anche del mio nemico.

Per molto tempo — per più d’un mese — la medesima scena si ripeté ogni giorno. L’ufficiale bussava ed entrava. Pronunciava alcune parole sul tempo, sulla temperatura, o su qualche altro argomento della stessa importanza, che tutte avevano come proprietà comune il non presupporre risposta. […]

Restò abbastanza a lungo senza muoversi, senza muoversi e senza parlare. Mia nipote sferruzzava con vivacità meccanica. Ella non gettò gli occhi su di lui una sola volta. Io fumavo, semisdraiato nella mia vasta poltrona soffice. Pensavo che la pesantezza del nostro silenzio non avrebbe potuto essere scossa. […] — E’ forse inumano rifiutargli l’obolo d’una sola parola —. Mia nipote alzò il volto. Levava alte le sopracciglia, su degli occhi brillanti e indignati. Mi sentii quasi un poco arrossire. […]

— Sono un musicista.

Un ceppo crollò, e un po’ di brace rotolò fuori dal focolare. Il tedesco si chinò, raccolse la brace con le molle. Proseguì:

— Non sono un esecutore di musica: sono un compositore. Questo è tutta la mia vita e così mi fa un effetto strano vedermi trasformato in guerriero. Pure non mi rammarico di questa guerra. No. Credo ne nasceranno grandi cose… […]

Stava davanti alle scansie della biblioteca. Le sue dita seguivano le legature, in una carezza lieve.

— …Balzac, Barrès, Baudelaire, Beaumarchais, Boileau, Buffon… Chateaubriand, Corneille, Descartes, Fénelon, Flaubert… La Fontaine, France, Gautier, Hugo… Che appello! — disse con un riso leggero, scuotendo il capo. — E non sono che alla lettera H! Né Molière, né Rabelais, né Racine, né Pascal, né Stendhal, né Voltaire, né Montaigne, né tutti gli altri!… — seguitava a scivolare lentamente lungo i libri, e di quando in quando si lasciava sfuggire un impercettibile «Ha!», quando, suppongo, leggeva un nome al quale non pensava. — Per gli inglesi, — riprese, — si pensa in un attimo: Shakespeare. Per gl’italiani Dante. Per la Spagna Cervantes. Per noi, subito,

Goethe. Poi, bisogna cercare. Ma se si dice: e la Francia? Allora, chi si leva istantaneamente? Molière? Racine? Hugo? Voltaire? Rabelais? o chi altro? S’incalzano, sono come una folla all’ingresso d’un teatro, non si sa chi far entrare prima. Si voltò e disse gravemente:

— Per la musica invece ci siamo noi. Bach, Haendel, Beethoven, Wagner, Mozart… che nome viene per primo?