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Il Mondo in città – America latina: Una “città ponte” in un’isola coraggiosa

America Latina

Una “città ponte” in un’isola coraggiosa

Siamo nei Caraibi, nell’isola di Barbados. E qualcuno potrebbe mettere in discussione se siamo effettivamente in America Latina, perché la lingua ufficiale del paese è l’inglese, non una lingua romanza. Nel ’500 e inizio ’600 spagnoli e portoghesi misero l’isola sulle mappe occidentali, ma dal 1627 al 2021 il re, o la regina, a Barbados furono inglesi.
In Novembre 2021 Barbados è divenuta una Repubblica a seguito di una cerimonia con l’allora Principe Carlo e un concerto della pop star Rihanna originaria dell’isola. Un atto di emancipazione importante, ma l’ambizione della piccola isola non si ferma qui e nei corridoi della diplomazia e politica internazionale si parla della neonata Repubblica caraibica per ragioni ancora più concrete: soldi.

“L’iniziativa di Bridgetown” è un’audace proposta di riforma dell’architettura finanziaria globale che parte da un’analisi puntuale delle disuguaglianze attuali di accesso al credito a seconda delle nazioni: i paesi ricchi ricevono prestiti con un tasso d’interesse tra l’1 e il 4%, mentre per i paesi più poveri il tasso è da strozzini, intorno al 14%.
Ma Barbados non si ferma alla denuncia e la sua “iniziativa” trova consenso tra molti paesi grazie alla capacità di proposta.
Come la sua capitale, Bridgetown (città ponte) così l’iniziativa mette insieme esigenze e interessi sia dei paesi più ricchi che quelli più poveri.

Mentre alla COP27, la Conferenza delle Parti ONU sul cambiamento climatico, dell’anno scorso in Egitto, si battibeccava su come garantire i fondi necessari ai paesi più esposti ai cambiamenti climatici, “L’iniziativa di Bridgetown” raccoglieva il consenso informale di paesi fondamentali come USA e Francia.
Alla fine della COP27 un accordo fu trovato, e così si sta costituendo “il fondo di perdite e danni”, un’assistenza fondamentale per i paesi più esposti al cambiamento climatico e un piccolo passo verso una maggiore “giustizia climatica” sul piano globale: chi ha più inquinato, ed è più ricco, supporti chi è più povero e soggetto agli effetti negativi della crisi climatica quali desertificazione e fallimento dei raccolti.
Ma “l’iniziativa di Bridgetown” va oltre, non è solo sovvenzioni, ma è soprattutto trasformazione dei meccanismi di prestito, e così meglio risponde alla profonda crisi che l’ONU sta affrontando: con questo nuovo decennio il mondo sta andando peggio.
Nel 2015 l’ONU lanciò gli “obiettivi di sviluppo sostenibile” da raggiungere entro il 2030 per un miglior sviluppo umano a livello globale. Per i primi 5 anni eravamo sulla strada giusta per raggiungerli, poi la pandemia, la crisi climatica e la guerra in Ucraina hanno riportato il mondo agli stessi livelli del 2016 su criteri fondamentali come povertà, uguaglianza di genere, educazione, accesso all’acqua e gestione delle risorse, pace e diritti umani.

Come sottolinea l’Unione Europea, che con i suoi paesi è il maggiore fornitore di finanziamenti per il clima nel mondo, non ci può essere svolta verso lo sviluppo sostenibile se ci si basa solo sugli aiuti, si deve anche rivedere l’accesso al credito e coinvolgere pure il settore privato.
Dobbiamo insomma inserire una logica di bene comune globale e una prospettiva di lungo termine nei meccanismi globali di finanziamenti; “l’iniziativa di Bridgetown” fa proprio questo.

Qualcosa che avremmo dovuto fare decenni fa quando istituzioni come la “Banca Mondiale” e il “Fondo Monetario Internazionale” furono create.
Ma come si dice in questi casi, meglio tardi che mai: in Aprile 2023 le due realtà finanziarie si incontrano per discutere come ridisegnarsi. Poi a Giugno sarà il turno di Macron insieme alla Prima Ministra di Barbados Mia Mottley, i quali cercheranno con il Summit per un “nuovo patto finanziario globale” di dare gambe e costruire ulteriore consenso politico intorno all’iniziativa.

Qualcosa d’importante, con il potenziale di cambiare il mondo, potrebbe presto prendere forma. Tutto ciò è cominciato in una coraggiosa isola caraibica di neanche 300mila abitanti che si è posta l’ambizione di far da ponte tra diversi mondi: il mondo ricco e quello “in via di sviluppo”, il mondo della finanza e quello delle battaglie per la giustizia sociale.
Il minimo che possiamo fare è continuare a osservare e non appena sarà possibile, con le nostre azioni, da come votiamo e come doniamo, sostenere questo atto di coraggio in grado di unire.