1

Corso Italia e la nonna Ida – Racconto di Pier Guido Quartero

LA DOMENICA DEL PONENTINO
Rubrica settimanale di Narrativa e Poesia

CORSO ITALIA E LA NONNA IDA

Pier Guido Quartero

Delle passeggiate in Corso Italia credo di avervi già detto. Si facevano nelle domeniche d’inverno, con tutta la famiglia schierata, e francamente noi avremmo preferito starcene al campetto a giocare al pallone. Ma mi torna in mente adesso che anche d’estate, ci andavamo, sulla passeggiata a mare, quando la mamma ci portava alla spiaggia. Si andava ai bagni a San Giuliano, dove c’è l’antica abbazia e gli stabilimenti avevano nomi antichi e familiari: Bagni Gemma, Bagni Amalia e via così, e lì fuori c’erano alcune cabine che assomigliavano a strane casette (e mi pare che ce ne sia ancora qualcuna, proprio sotto all’abbazia). Ho perfino un lontanissimo ricordo di una volta che era venuto anche mio padre, e mangiava una pastasciuttona (pasta coi datteri, aveva detto, e sarà stato vero, perché a quei tempi i datteri di mare si mangiavano ancora), e altre volte i grandi avevano nel piatto delle fettone di carne impanata e patate fritte. E c’era quello che girava col secchiello e vendeva coccobbellooooo e delle cose nere che si chiamavano carrube e la mamma non ce le comprava perché era roba da cavalli. I ghiaccioli e i bomboloni arrivarono qualche anno più tardi, e intanto alla baracchetta che fungeva da bar si compravano la grattachecca (pomposamente chiamata “granita”), la birra Cervisia e la birra Splugen (un esotico nome tedesco per un prodotto che veniva da Sondrio), il chinotto e l’aranciata San Pellegrino. C’era anche il calciobalilla, e qualcuno imbrogliava e metteva il fazzoletto in fondo alla porta, in modo da poter recuperare la pallina senza pagare, e se qualcuno, lanciando il gioco, favoriva troppo la propria squadra, si levavano urla di protesta e alla fine: “San Giovanni non fa inganni!”, e si rigiocava il punto.

A quei tempi, le navi lavavano i serbatoi con l’acqua di mare che poi scaricavano direttamente lì, davanti alla costa, in attesa di entrare in porto. Così, verso il tardo pomeriggio, quando il sole cominciava ad arrossarsi, il vento portava tutto a riva, e bisognava stare attenti a dove mettevi i piedi perché c’era morchia dappertutto e, se ti sporcavi, dopo era una bella noia pulirsi. Oggi il mare sembra più pulito, ma non è più quello di una volta, quando la corrente portava anche alghe fatte a forma di palline pelose (i galusci, li chiamavamo, e in effetti avevano una certa somiglianza con quella cacca che si fa quando viene il mal di pancia) e quando gli uomini, finita la partita a pallone (perché sulla spiaggia gli uomini giocavano a pallone, e bisognava stare attenti, che se ti finivano addosso potevano farti male), si precipitavano gridando a buttarsi in acqua, mulinando le gambe pelose, già segnate, per alcuni, dalle vene varicose, e qualcuno andava anche al largo a cercare gli scogli con i muscoli e quando tornavano avevano sorrisi trionfanti e tiravano fuori dai costumi (che allora di solito erano di lana blu) i neri grappoli luccicanti dei mitili, incuranti delle ferite prodotte dalle valve taglienti. E magari uno aveva anche acchiappato un polpo e allora era un gran gridare “Belìn, mìa che cu… Ma òu belìn…”.

Al mare, la nonna non ci veniva. In Corso Italia veniva con noi nelle passeggiate invernali e quando si andava a mangiare in trattoria alla baracchetta, sotto il Forte di San Giuliano oppure a Boccadasse, dove ordinava sempre la zuppa di pesce, ma la storia di come si mangiava il pesce nella mia famiglia devo avervela già raccontata: se invece non fosse come penso, ditemelo, e riparerò all’errore. Ma torniamo alla nonna (Nonna Ida, per chi ci tenesse a conoscere i particolari: Adelina Ida Raineri vedova Nicora. Gran donna. E carattere pestilenziale). Con lei, andavamo su per Via Parini verso San Francesco d’Albaro, in Piazza Leopardi, dove c’erano (e qualcuna deve ancora esserci) le baracchette del mercato. Si andava in chiesa, dove lei recitava qualche preghiera e poi ci faceva accendere una candela, e poi si usciva per comprare, e qui c’era un momento per me insopportabile. La nonna era rimasta ai tempi lontani in cui sul mercato le signore contrattavano i prezzi con i fornitori, e non vedeva motivo per cambiare sistema; così, dopo aver fatto il giro dei banchi per verificare qualità e prezzi della merce offerta, cominciava il tira e molla con gli ambulanti, i quali, come diremmo noi oggi (e come probabilmente pensavano loro in quei momenti) gh’eivan atro pe o belìn. Io mi vergognavo da morire e cercavo di scomparire, tenendomi lontano dal luogo della discussione, sicché non sono in grado di dirvi quale tra i contendenti finisse per prevalere.