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E parolle do Messiavo – Il Carnevale

E parolle do Messiavo –  Alle origini della parlata e delle tradizioni genovesi – Rubrica a cura di Nino Durante

IL CARNEVALE

È il periodo che, notoriamente, inizia il 18 gennaio (l’indomani di Sant’Antonio, giorno in cui la tradizione genovese impone di consumare l’ultimo pandôçe rimasto) per terminare il giorno prima delle Ceneri, e poi aprire le porte alla Quaresima (a Quarëxima).

In  questa giornata di Carnevale (Carlevâ), che rappresenta la trasgressione e la gioia sfrenata prima del periodo penitenziale,inevitabilmente escono allo scoperto le maschere, e così come Pulcinella rappresenta Napoli, Arlecchino Venezia, Balanzone Bologna eccetera, anche Genova ha la sua maschera ufficiale, che è Capitan Spaventa, caricatura del soldato francese o spagnolo, che non è proprio del tutto un prode, come si potrebbe pensare, ma una sorta di Don Chisciotte che finisce deriso. Poi ci sono le maschere decisamente più nostrane, dove spiccano la figura do Mëgo (il Dottore) armato, è proprio il caso di dire, di un gigantesco e terrificante clistere (o lavativo); a Balia, per lo più sotto le mentite spoglie di un ragazzotto che tiene in braccio un bambino irrequieto, anche perché, di solito, si tratta di un gatto con la cuffietta; o Marcheise, anch’esso caricatura della nobiltà settecentesca, con cappello a tre punte, perrucca e scapin gianchi co-e scarpe neigre; o Paisan, divertente figura di contadinotto dell’entroterra (di grebani) di nome Genio o Geppin, co-i brôchin despuntæ (scarponi slacciati e giubba e braghe (pantaloni) di fustagno, accompagnato dalla moglie Nena, a paisann-a (Maddalena, la paesana).

C’è poi o Barudda, che più di una maschera è un burattino (‘na marionetta), protagonista incontrastato di questo tipo di teatro. La sua figura inconfondibile lo presenta con un cappello da Napoleone messo di traverso sopra a un viso dalle guance rubizze, con barba ma privo dei baffi, sempre pronto a far emergere la sua irascibile natura, in perfetta sintonia col suo nome che deriva dall’arabo baroud e che significa polvere di cannone. Sulla scena appare sempre in compagnia del suo fido compagno Pipìa.

Altra caratteristica tipica del carlevâ zeneise è il carossezzo, ossia quel corteo di carri allegorici colmi di vari personaggi in sfilata per la città.

E poi un ricordo: allora (anni ‘50 – ‘60)  c’eravamo noi bambini che al pomeriggio uscivamo indossando per lo più parti di vestiti dei nonni dismessi, per lasciare poi il posto la sera agli adulti (il pomeriggio erano al lavoro) che riuscivano sempre a meravigliarci per i loro originalissimi travestimenti.

Allegri!!!