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E parolle do Messiavo – Pranzo di Natale (Disnâ de Nalate o Denâ)

– Una specie di ritorno alle origini della parlata e delle tradizioni genovesi –
Rubrica a cura di Nino Durante

PRANZO DI NATALE (DISNÂ DE NATALE O DENÂ)

Cronaca dettagliata di come si celebrava il Natale a tavola secondo la tradizione genovese

C’erano due scuole di pensiero per ciò che riguardava il mettersi a tavola: aspettare il più possibile per rimanere poi in convivio fino a tardi, oppure accomodarsi allo scoccare di mezzogiorno, dopo aver dato il ferro morto alla porta, per sicurezza, sì; d’altronde noi siamo o non siamo quelli del maniman? E dopo essersi fatti il segno della croce (o patri) si cominciava. Non prima però della rituale apertura, e relativa lettura da parte del papà, della canonica letterina nascosta sotto il piatto, scritta dal o dai figli, contenente i buoni propositi per l’anno nuovo. Si cominciava dal primo in quanto non era previsto l’antipasto, infatti, quel giorno, non sarebbe certo mancata l’abbondanza, e quindi venivano subito serviti i maccheroni (i natalin), in brodo, se vogliamo ripieni, oppure conditi con sugo di carne. Per i ravioli bisognava aspettare  l’indomani.

Di diverso tipo erano le proposte per  il secondo e potevano andare dal tacchino al forno con patate al cappone, che non era raro si trasferisse anzitempo nelle nostre case, ospitato nel vano sottostante il lavello, per essere alimentato a dovere (misso a l’ingrascio) e finire poi metà in casseruola (a fracassâ in ta cassòula) e, per la parte restante, bollito (boggïo, ein questo caso non doveva mancare la mostarda piccante); dalla cima (a çimma) al sanguinaccio con le cipolle in padella (o berodo co-e çiòule in ta poëla) con l’eventuale opzione della carne del sugo (a carne do tocco).

Fra i contorni suggeriti c’erano gli spinaci ma soprattutto le radici di Chiavari (e radicce de Ciàvai) in quanto particolarmente saporite, condite con olio, aceto e aglio.

Si passava così ai formaggi, di norma stracchino e gorgonzola (a gongorzolla) che, notoriamente, mette a posto lo stomaco (a dersciddia). Per la frutta ci si affidava a quella di stagione, ossia mele, pere (raccomandate quelle Martinn-e), arance (çetroin), mandarini e uva passa messa a essiccare a suo tempo in un luogo asciutto e fresco appesa a una cordicella. E non poteva di sicuro mancare la frutta secca: noci, fichi secchi (noxe e fighe), mandorle e nocciole (ammandoe e nisseue), datteri e prugne secche (dàttai e damaschine), e poi il torrone.

A questo punto entrava in scena lui, Sua Maestà il Pandolce(o Pandôçe) che, a dire il vero, in scena c’era già da un bel pezzo in quanto la tradizione vuole (e qui uso il presente in quanto ancora oggi sarebbe un sacrilegio non usargli questa riverenza), che troneggi nel bel mezzo della tavola da subito, sistemato in un ampio e tipico piatto, contornato da confetti e cioccolatini (confittüe e ciccolätin) con un benaugurante rametto di alloro piantato (‘na rammetta d’öfeuggio ciantâ). La prima mossa spettava al più giovane della famiglia che doveva togliere il rametto (o rancava a rametta) mentre a insâ o pandôçe ci pensava il più anziano. La prima fetta tagliata andava conservata per il primo povero che avrebbe bussato alla porta (un tempo era una cosa abituale), così come la seconda, che si pensava avesse dei poteri taumaturgici contro i mali della gola. Dopodiché… dæghe drento figgieu!

Per il vino la scelta era libera, l’importante che ce ne fosse, ma de quello bon! Non doveva però assolutamente mancare il moscato, anche nella versione di passito, per accompagnare degnamente le fette di pandolce consumate.  E poi si tirava il fiato, per rimanere tranquillamente a fare salotto (a discorrî) spiluccando confetti, cioccolatini, latte dolce fritto e a inzuppare biscottini (per lo più anicini, anixin) nel vino dolce, come si suol dire a toccâse i bescheutti in to vin. Non si hanno notizie di un eventuale pasto serale.

Allegri!!                                        

Nino Durante
Classe 1948, praese DOCG, Nino Durante è quello che si può definire un artista poliedrico. Cantautore con all’attivo centinaia di testi rigorosamente in lingua “zeneise”, scrittore, conduttore radiofonico, pittore. La conservazione e la diffusione della lingua genovese e di tutto ciò che le gira intorno è, possiamo dirlo senza timore di venire smentiti, la sua missione.