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La Lanterna 10 ottobre 2022 – Reddito di cittadinanza o di civiltà?

RUBRICA A CURA DI MARCO MALTESU

Reddito di cittadinanza o di civiltà?

 Uno dei temi su cui si sta svolgendo un dibattito surreale è il reddito di cittadinanza. Come al solito si trattano i temi senza collegarli con la realtà in cui ci troviamo.

Il Reddito di Cittadinanza è arrivato in Italia per coprire una delle mancanze più scandalose del Nostro Stato in termini sociali. Prima che venisse approvato, in Europa, esistevano solo due Stati che non avevano un meccanismo di salvaguardia sociale destinato ai meno abbienti, l’Italia e la Grecia.

Gli Stati civili, insomma, hanno un sistema di salvaguardia sociale che serve per garantire la sopravvivenza delle persone, e l’Italia, non aveva creato, in misura sufficiente, nessuna forma di tutela sociale che consentisse un contrasto della povertà nelle sue varie forme.

Nella realtà, anche con la creazione del Reddito di Cittadinanza, si è dato solo un minimo segnale di quello che dovrebbe essere lo Stato Sociale che fa la differenza fra gli Stati evoluti e quelli che lasciano che le persone “se la cavino da sole”, con tutti i rischi che comporta questa situazione in termini sociali.

Lo Stato sociale, non ha colore politico, provvedere al bene dei propri cittadini più deboli, è solo il simbolo del grado di civiltà di una Nazione e spesso all’estero, governi di destra e di sinistra, si superano sui provvedimenti di copertura sociale.

Ci sono Nazioni, più evolute della Nostra, in cui il sostegno non avviene solo sotto forma di sussidio economico, ma anche in termini di pagamento dell’affitto di casa e delle utenze.

Oggi più che mai, basta guardarsi intorno anche fra i propri amici, è davvero sottile il confine fra il fare una vita dignitosa con un posto di lavoro stabile, ed il trovarsi improvvisamente senza lavoro e senza possibilità di autosostentamento e sostentamento per la famiglia.

La crisi energetica, inoltre, sta allontanando sempre di più la possibilità di farcela per le persone, allargando il numero di nuovi poveri ed elevando sempre di più la soglia della sussistenza.

Questo è solo l’ultimo dei tasselli perché precedentemente c’è stata la pandemia ed ancora prima, tendiamo a dimenticarlo, c’era una crisi latente che aveva comunque fatto tantissime vittime economiche, e non solo, fra i lavoratori. Si tende infatti a dimenticare che anche prima della pandemia i negozi erano vuoti e le uniche spese che reggevano, in termini generali, erano quelle legate al mondo dell’alimentazione, in cui c’era un continuo ricambio fra nuove aperture e nuove chiusure di attività.

Questo è lo scenario ma da che mondo è mondo, la sopravvivenza non può essere guardata solo in termini economici, fondamentale è appunto, il livello di civiltà che uno Stato vuole esprimere. Uno Stato civile ed eticamente evoluto, fra l’altro con la maggioranza dei suoi politici che si definisce “cattolico”, non può non porsi il problema delle persone fragili in una società in cui è sempre più difficile vivere.

In molte nazioni si stabilisce quella che è la soglia economica minima di sostentamento ed è evidente che tutti quelli che si trovano al di sotto di essa, hanno la necessità di essere aiutati per riuscire a sopravvivere.

Cosa succede invece in Italia? Siccome non siamo in grado di controllare in modo serio le condizioni delle persone che richiedono tale misura, allora si grida che è necessaria la cancellazione del reddito di cittadinanza stesso. Potremmo nello stesso modo pensare che visto che abbiamo circa 100 Miliardi di euro di evasione di tasse, allora sarebbe giusto toglierle a tutti perché non siamo in grado di controllare quelli che non le pagano.

Veramente molto strana la politica italiana…

Il Reddito di Cittadinanza è una cosa molto diversa rispetto alla paga minima oraria, sembra incredibile ma molti nei dibattiti “politici” li legano. La differenza risiede nel fatto che purtroppo nella nostra società ci sono anche molte persone che pur lavorando, non riescono a guadagnare cifre che consentano di essere al di sopra della soglia di sopravvivenza, che andrebbe specificata. 

Il calcolo attuale di conteggio dell’Isee è davvero scandaloso ed anch’esso non degno di un Paese civile, non risponde a criteri sociali ed umani ma solo a criteri “burocratici”, e purtroppo come al solito ci imbattiamo in quello che in ogni analisi rappresenta uno dei problemi nodali del Nostro Paese.

Dicevamo quindi che esiste in Italia anche un problema di Paga oraria minima, questo in quanto pur essendo la trattativa contrattuale, un argomento giustamente di competenza delle Parti Sociali (Rappresentanze Sindacali, Datoriali, ecc), c’è da dire che in Italia la proliferazione dei contratti di lavoro, di nuove categorie  non completamente ascrivibili a nessuna formula esistente , ha generato delle “terre di nessuno” in cui si sono prontamente infilati i “ caporali” dello sfruttamento che grazie alla grande penuria di lavoro, e spesso anche grazie alla collaborazione di qualche legale “spregiudicato”, riescono a costruire rapporti di lavoro che offrono stipendi ben al di sotto della soglia minima di sopravvivenza.

C’è bisogno di una forte semplificazione delle forme contrattuali previste, nella maggior parte di Stati esistono solo contratti a “tempo determinato” ed a “tempo indeterminato”, le forme più facilmente controllabili.

C’è bisogno che in nessun tipo di contratto, la paga oraria (ed anche la paga mensile minima), non vada al di sotto di valori minimi che devono essere stabiliti da un dialogo fra le parti sociali.

La creazione di “strumenti sociali” non riguarda solo la sfera sociale ed etica, ma nella realtà sono anche degli enormi strumenti economici destinati a sostenere l’economia di uno Stato. È evidente che la gestione del sociale presuppone la creazione di strumenti di controllo e di applicazione che, ancora una volta mi ripeto, esistevano ma sono stati cancellati.

Il lavoro è un altro di quegli strumenti con cui si combatte la povertà. In un mondo in cui ogni giorno nascono nuove imprese e ne falliscono altre, una revisione delle norme migliorerebbe la vita non solo ai lavoratori, ma anche agli imprenditori onesti. Purtroppo ne esistono anche non tali che utilizzano il fallimento come strumento di pulizia dei propri debiti, spesso lasciando una scia di povertà di tutti coloro, lavoratori, fornitori, e partner commerciali che per lo più non trovano soddisfazione se non solo parziale. Ecco in questo mondo servono degli strumenti, come i Centri Regionali per l’Impiego ma funzionanti, gestiti dallo Stato o dalle Regioni, perché devono essere e diventare sempre di più un elemento nodale funzionante, anche regolatorio in alcuni casi, necessario per creare la connessione fra la domanda e l’offerta del lavoro. Capace quindi anche di creare, attraverso la formazione ad esempio, quel rinnovamento, che è fondamentale in un mondo in continuo cambiamento.

Anche qui diventa fondamentale che vengano creati strumenti innovativi a tutela di chi si approssima all’età del pensionamento, ad esempio al di sopra dei 50 anni, perché questa è una fascia di età in cui è difficile, nel caso in cui si perdesse il lavoro, di potersi reinventare una nuova professionalità. Non è un caso che, in altre nazioni, come ad esempio in Francia, le aziende debbano stilare un piano annuale di occupazione del proprio personale al di sopra dei 50 anni con l’interdizione al licenziamento per questa categoria di lavoratori fragili.

Il sociale, insomma, è un contenitore molto variegato ed interdipendente in cui ogni fattore è legato agli altri, è impensabile trattare solo una parte senza fare un disegno completo in cui si agisce sulla base sociale. I periodi fiorenti nel passato sono sempre corrisposti a periodi di unità e condivisione. Di contro le divisioni, hanno sempre e solo creato delle regressioni da cui ne sono scaturiti dei periodi di crisi o di buio totali.

La politica non deve essere prigioniera del contingente ma deve invece essere capace di illuminare i nuovi cammini e soprattutto non deve lasciare nessuno indietro.