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I racconti del Blue Avana – (21) Pettinando le bambole

La “Concessionari di Automobili Pubbliche – Società Cooperativa a Responsabilità limitata“, cioè la società che raggruppa buona parte dei tassisti genovesi, ha compiuto nel 2013 i cento anni di attività. Questi, che pubblicheremo a puntate, seguendo la sequenza dei capitoli del libro Blue Avana. 100 anni di taxi a Genova di Pier Guido Quartero, pubblicato con l’editore Liberodiscrivere nel 2013, sono gli episodi più curiosi e quelli più significativi narratici dai tassisti genovesi, in attività o in pensione. Dalla calda vita della Via Pré degli anni ’50 alle corse in ospedale per salvare vite umane, dagli anni di piombo ai clienti strambi, taccagni o fin troppo generosi, dai personaggi del calcio e dello spettacolo alle lotte sindacali. Il tutto narrato attraverso le chiacchiere di una combriccola di amiconi, creati ad arte dall’autore, che perdono un po’ del loro tempo al Blue Avana: un locale come non ce ne sono più…

Pettinando le bambole (lotta dura senza paura)

Pier Guido Quartero

Ero lì, l’altro giorno, che mi leggevo il mio giornale. Ero lì al Blue Avana, voglio dire, che è il bar sotto casa e qualche volta sostitui-sce la casa. Soprattutto se la Nina deve ricevere qualcuna delle sue amiche, quelle che è meglio che io non ci parli, così non ci rovi-niamo il ménage.

Abbiamo tre tipi di amiche, la Nina e io. Ci sono quelle di tutti e due, che generalmente sono quelle sposate o comunque che lei conosce da tutta la vita, che quindi hanno la sua completa fiducia. Poi ci sono le sue amiche, che spesso non hanno un compagno, e che magari hanno la fiducia della Nina, ma è meglio se mi vedono solo una volta ogni tanto, anche perché devono parlare di cose che a me non interessano. Infine ci sono la mie amiche, quelle che co-nosco da prima di conoscere lei, e lei le vede ed è molto gentile ma, se appena si accorge che si permettono qualche confidenza in più nei miei confronti, allora diventa ancora più gentile e però, dopo che la riunione si scioglie, lei mi fa un bel lavoretto di risi-stemazione, soprattutto dalla parte delle orecchie, ma anche in un punto più basso, e allora si decide che è meglio che io quelle mie amiche le veda esclusivamente per gli auguri, in occasione delle Feste comandate.

Bene. Siccome la Nina doveva prendere un tè con una di queste amiche del secondo tipo, io mi ero trasferito nella succursale di strada, e stavo appunto leggendomi le notizie di politica di questo nostro disgraziato paese quando è sopravvenuto un tale di cui ri-cordavo la faccia ma non il nome e, naturalmente, il tizio è venuto diritto verso di me e si è seduto e mi ha fatto un bel sorriso e mi ha detto: – Ciao!

E voi capite bene la situazione in cui mi trovavo. Perché capita a tutti, prima o poi, di trovarsi con uno che si comporta come se tu fossi un suo carissimo amico e parente e tu invece non hai idea di chi sia, se non magari che hai vagamente riconosciuto la sua fisio-nomia e allora ti spremi disperatamente per capire chi cazzo è quello lì ed evitare di fargli la terribile domanda, che poi è, banal-mente:

– Scusami, ma non mi ricordo il tuo nome. Sai com’è, sto invec-chiando e rincoglionisco. Per piacere, vuoi dirmi chi sei?

Che è, appunto, ciò che ho detto io al mio interlocutore, in quella incresciosa circostanza. La persona in questione, devo ammettere, ha mostrato grande professionalità, assorbendo questo colpo con molto maggiore aplomb di quanto ne avrebbero potuto avere altre, con le quali ho avuto a che fare.

– Sono Valentino – ha risposto – Valentino Dondelli. Il sindacali-sta, ricordi? Ci siamo conosciuti qui tempo fa, una sera…. E poi il compleanno di Paolo…

A questo punto ho alzato pacatamente una mano, per arrestare l’eloquio del mio dirimpettaio, ostentando nel contempo la tran-quilla fermezza di colui che si rende conto di aver finalmente pre-so ogni aspetto della situazione, per incresciosa che questa sia, sotto il proprio sicuro controllo.

– Ora ricordo benissimo. Ciao Vale. Devi scusarmi, ma noi pen-sionati, oltre a perdere la nozione del tempo, finiamo per fare an-che un po’ di confusione tra le facce della persone. Devo dire che però, ora, ho recuperato di te un ricordo preciso e anche piuttosto positivo: tu sei uno di quei sindacalisti che mi danno l’impressione di credere in quello che fanno…

Il volto del mio interlocutore ha assunto un vago colore rosato:

– Ormai, quando qualcuno ti dice qualcosa di questo genere, di solito significa che pensa che sei un imbecille, o, se va bene, un illuso. Forse però tu sei uno come me, e quando dici queste cose vuoi farmi un complimento.

– Non so se sia un complimento, ma certamente non vuol essere un insulto. Ciò posto, posso dirti una cosa: io devo stare qui da Aldo, per cause di forza maggiore che è inutile spiegarti, ancora per un’oretta. Ho già preso un cappuccino e una brioche e credo che, ragionevolmente, potrò ancora permettermi una focaccia col bianco. Inoltre il giornale l’ho già letto, parola per parola, dalla prima all’ultima pagina. Quindi, se hai voglia di raccontarmi qua-lunque cosa che non riguardi i processi di Berlusconi e i loro ri-flessi sulla governabilità del paese, argomento che ormai mi ha prodotto un’orchite cronica che si riacutizza ogni volta che guar-do i titoli dei giornali, te ne sarò grato, fino al punto di offrire an-che a te una piccola consumazione.

– Se vuoi, posso parlarti un po’ di Bersani – è stata la risposta di Valentino, e devo dire che mi ha colto di sorpresa, perché da qual-che mese a questa parte di Bersani (del quale prima si faceva un gran parlare per via del fatto che pettinava o non pettinava le bambole) non se ne hanno più un gran che di notizie. Non è il genere di argomento che mi appassiona di più, ma al momento era quanto di meglio si rendesse disponibile. Quindi ho fatto segno a Aldo perché ci portasse qualcosa e mi sono apprestato ad ascolta-re la prolusione di Valentino.

– Ti parlo di questa cosa – ha esordito lui – anche se risale a un po’ di anni fa, perché è emblematica della nostra situazione e, se ti faccio capire questa, non avrò bisogno di spiegarti altro, a propo-sito dei problemi dei tassisti.

Io ho annuito, cercando di mostrare buona volontà, e intanto ho addentato un po’ della mia focaccia. Era di quella giusta, un po’ croccante nella crosta e morbida in mezzo, con i suoi punti più bianchi, molli di olio e insaporiti dal sale.

– Allora, devi sapere che nel 2006 Bersani era Ministro della Atti-vità Produttive e, dopo aver in qualche modo risistemato il settore del commercio, che si trovava in un momento particolarmente critico, aveva deciso di intervenire pesantemente anche su diverse attività di lavoro autonomo, riducendo i vincoli posti a tutela degli appartenenti a queste categorie. Anche il settore delle auto pubbli-che fu coinvolto in questa operazione, e quindi ci furono per noi tempi difficili. Questo perché, in primo luogo, era stato previsto che le riforme venissero prima discusse con le categorie, mentre invece, immagino per esigenze di immagine legate alla politica, il governo provvide con un Decreto Legge, il 30 di Giugno, senza aver avuto un minimo confronto con noi. Ci furono 17 giorni di lotta in tutta Italia, con diverse manifestazioni. Voglio farti notare che qui, a Genova, siamo stati tra i più duri e più compatti, ma abbiamo badato molto anche alla correttezza, garantendo i tra-sporti ospedalieri e i servizi urgenti in genere. Poi, il 17 Luglio, ci fu la giornata clou. Il coordinamento nazionale posto a Roma ave-va deciso che una metà di noi rimanesse sul territorio, per le ini-ziative di lotta locali, e l’altra metà scendesse nella capitale. Da qui partirono sei pullman, e alla fine a Roma ci furono in tutto circa 15000 tassisti su 35000. La trattativa ebbe luogo dalle 15 alle 22. Bersani, che era entrato in giacca e cravatta e che in quell’occasione dimostrò di essere persona intelligente e corretta, ma anche un gran lavoratore, alla fine era in camicia, con le mani-che rimboccate. Il risultato, alla fine, fu soddisfacente, e quelli di Roma gridavano alla grande vittoria. Noi, però, gli dicevamo che era un pareggio. Un buon pareggio, ma un pareggio. Gli aspetti più a rischio li avevamo bloccati, ma lo sappiamo che prima o poi certe questioni torneranno sul tappeto.

– Ma quale sarebbe il nodo politico dello scontro? – Ho chiesto io, che ormai di politica non ne voglio sapere più che tanto, ma che ai miei bei tempi un po’ me ne ero occupato.

– Bella domanda. – mi ha risposto lui. Poi:

– Le questioni di cui si parla più facilmente sui giornali sono quel-le legate alle modalità di ammissione alla categoria e al possibile incremento del numero delle licenze, ma il problema vero non sta lì: il problema vero è quello della pluralità di licenze in capo ad un singolo soggetto. Perché sugli incrementi tariffari si discute, e ognuno fa la sua parte, e se si rifà la legge e si vogliono introdurre maggiori garanzie di servizio per i clienti e una disciplina più re-strittiva per l’ammissione alla categoria, vuoi che un occhio ai no-stri figli non glielo diamo? Nel lavoro autonomo questa, mettila come vuoi, è una regola, anche perché nell’attività c’è un investi-mento di capitali familiari. Ma, come ti dico, tutte queste sono cose su cui si discute, ognuno difendendo un legittimo interesse. Invece, sulla questione delle licenze plurime, si gioca il nostro ruo-lo.

– In che senso?

– Nel senso che, se consenti la concentrazione di più licenze in capo ad un solo imprenditore, favorisci la solita evoluzione di concentrazione capitalistica: va a finire come in America, dove le licenze e i taxi sono di proprietà di una compagnia, e alla mattina o alla sera si presenta chiunque sappia guidare un’auto e chiede se ce n’è una per lui e se ne va in giro a vedere se trova qualcuno da portare. Questo non è privatizzare: questo vuol dire lavoratori proletarizzati, privati del possesso degli strumenti di lavoro e della dignità di un ruolo e di un mestiere.

– Va beh, non metterla giù così tragica! Poi, comunque, il risultato è che a New York uno, basta che alzi lo sguardo e vede un taxi libero e poi la corsa costa pochissimo.

– E’ vero, ma questo comporta che il lavoratore non ha un minimo di diritti ed ha un trattamento economico assurdo, tant’è vero che ormai il lavoro di taxi driver non è diverso da quello di scaricatore ai mercati generali. Sei sicuro di pensare che si debba arrivare a quei punti? Noi, in ogni modo, sappiamo che possiamo ancora difenderci. Intanto, siamo solidali con gli altri lavoratori della cit-tà, perché noi lo sappiamo che la sopravvivenza di ognuno di noi è legata strettamente alla sopravvivenza di chi ci è vicino, così, tanto per farti un esempio, eravamo presenti alla manifestazione degli operai della Fincantieri. Poi abbiamo la cooperativa e il ser-vizio del radiotaxi che, proprio dal 2006, è passato dalla fonia tra-dizionale al satellitare, con comunicazioni più rapide e un sistema di monitoraggio della presenza sul territorio in qualunque mo-mento. E’ un supporto fondamentale non solo per la distribuzione della nostra offerta sul territorio, ma anche ai fini di pubblica sicu-rezza e di pronto intervento per qualsiasi tipo di calamità ed ur-genze. Chi vuole farci fuori, deve pensare anche a come sostituire tutto questo; e non è mica così facile. Noi, intanto, alle ultime ele-zioni abbiamo deciso di portare uno di noi e, a maggioranza, ab-biamo deciso di candidarlo all’interno di una lista fiancheggiatrice del centrodestra. E’ uscito bene, e ha lavorato seriamente, guada-gnandosi anche il rispetto di quelli che militavano dall’altra parte. Questo è lo stato dell’arte a oggi. Hai domande?

Io ho guardato l’orologio: ormai la Nina doveva essere sola in casa e a quel punto tanto valeva salire da lei, per vedere se c’era qualco-sa da sistemare. Poi, la politica mi piace prenderla a piccole dosi, per aver tempo di pensarci su. Così ho ringraziato Valentino e gli ho stretto calorosamente la mano, promettendogli di riflettere su ciò che mi ha raccontato. In realtà un’idea ho già cominciato a farmela, e cioè che vorrei avere più taxi e corse meno care ma non mi sembra che il concentramento di licenze in capo ad un grosso imprenditore sia una buona soluzione. Quindi, alla fine, credo che Valentino sarebbe abbastanza contento di quello che penso. Sic-come, però, volevo andarmene in fretta, ho pensato che il discorso potremo riprenderlo un’altra volta e che per ora era meglio chiu-derla qua.