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 Caso Attilio Manca: “Bisogna fare una doccia a un medico”. Un’intercettazione ambientale determina la svolta

di Anna Maria Cecchini

Non sono solo 40.000 le persone che attendono giustizia per la morte di Attilio Manca, tante erano nella XXIV edizione della Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, promossa da Libera e Avviso Pubblico, il 21 marzo 2018 a Foggia ad applaudire, dopo che il suo nome insieme ad altri 900 è stato ricordato. Il suono degli applausi custodito dalla memoria, perennemente infrange quel muro di omertà, e sottolinea l’impegno, la forza, il coraggio che sostiene quotidianamente tutte quelle persone che non si girano dall’altra parte e che desiderano far luce su alcuni accadimenti che riguardano la cronaca giudiziaria, la storia del nostro Paese e di quelle forze occulte che operando nei servizi deviati stringono patti scellerati ed accordi con la mafia.

Condividiamo l’impegno con la giornalista, criminologa, scrittrice Sara Favarò, nominata recentemente Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica che con la sua opera, il libro “Qualcosa è cambiato. Attilio Manca. Suicidio?” edito da Villaggio Letterario, richiama la nostra attenzione verso alcuni elementi probatori e tramite una scrupolosa, lucida ricerca investigativa promuove la riapertura del caso affinché finalmente la famiglia Manca ottenga giustizia.

Negli ultimi giorni la tremenda vicenda del giovane e brillante urologo di Barcellona Pozzo di Gotto Attilio Manca è ritornata all’attenzione mediatica perché è stata resa pubblica l’intercettazione ambientale datata 2003, raccolta tramite le microspie nascoste dagli inquirenti in una masseria dove “Binnu’u Tratturi” insieme a sei o sette picciotti e il fedelissimo Giuseppe Lo Bue si trovava fino al giorno del suo arresto avvenuto l’11 aprile del 2006, dopo 43 anni di latitanza. Nell’intercettazione qualcuno dice che bisogna fare la doccia ad un medico reo di aver negato le cure al boss Bernardo Provenzano. Come noto il capo di Cosa Nostra dal 1995 all’anno della sua cattura, soffriva di un tumore alla prostata ed aspettava di essere operato in una clinica di Marsiglia. Sembra che l’urologo intercettato dai gregari di Provenzano sia stato giustiziato a causa dello sgarro di cui si è macchiato o per aver assistito all’operazione ed essere di fatto divenuto un testimone scomodo.

La notizia della rinvenuta intercettazione è stata commentata dall’avvocato Antonio Ingroia che insieme all’avvocato Fabio Repici ha rappresentato la famiglia Manca, a cui fu negata per altro la possibilità di costituirsi parte civile nel processo di Viterbo contro Monica Mileti, coinvolta nell’inchiesta sulla morte del dottore Attilio Manca avvenuta nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 2004 nella sua abitazione della Grotticella e assolta in appello “perché il fatto non sussiste” il 16 febbraio 2021 con sentenza della III sezione penale della Corte di Appello di Roma presieduta da Gianfranco Garofalo.

Di fatto alla Signora Mileti veniva imputato di essere la pusher del giovane urologo ma le accuse sono cadute, perché basate sulla testimonianza di tre persone che riferiscono della cessione di sostanze stupefacenti al Manca in un periodo di tempo collocato tra il 1995 e il 1997, periodo molto antecedente a quello di interesse, circoscritto all’epoca anteriore e prossima al 12 febbraio 2004.

Ingroia: “Per prima cosa bisogna verificare se questa intercettazione esiste, se così fosse e se fosse vera anche la collocazione temporale di questa intercettazione, che è antecedente alla morte dell’urologo Attilio Manca. Se fosse così, la prima domanda che mi faccio è: questa intercettazione chi l’ha fatta? E cosa ne è stato fatto? Sì perché deve essere arrivata su qualche scrivania e se presa nella giusta considerazione avrebbe potuto evitare un omicidio perché sebbene fin dall’inizio il caso sia stato liquidato frettolosamente come un suicidio, la miriade di incongruenze e prove circostanziali concorrono a scrivere un’altra storia, maggiormente attinente ai dati oggettivi in possesso. Anche la deputata del gruppo misto della commissione parlamentare antimafia Piera Aiello che insieme alla collega Stefania Ascari si sta occupando del caso a proposito dell’intercettazione resa di pubblico dominio afferma la necessità che la magistratura riapra il caso e affida ad un post su Fb la personale considerazione: “ La morte di Attilio Manca non è stata casuale e l’ipotesi che il giovane, brillante urologo sia stato ucciso per volontà di Bernardo Provenzano prende sempre più consistenza. Non voglio fare polemiche su quanto stabilito nella relazione di maggioranza della commissione che si occupò del caso prima di noi. Ma adesso è il momento di pretendere verità e giustizia”. La deputata Aiello poi continua in questi termini: “A tutti coloro che in questi anni hanno infangato la memoria di Attilio Manca, dico chiaramente che per tutti gli elementi già in possesso delle procure, della Commissione Antimafia e dell’opinione pubblica, qui si sta parlando di un omicidio che ad oggi è rimasto impunito e non possiamo smettere di continuare il nostro lavoro”.

La messinscena orchestrata ad arte del suicidio di Attilio e le verità che la confutano

Il cadavere di Attilio Manca pieno di ecchimosi, dal volto tumefatto, sporco di sangue con il setto nasale deviato, viene rinvenuto riverso sul letto, coperto solo da una maglietta, nella mattina del 12 febbraio 2004, qualche minuto prima delle 11.00 all’interno della sua abitazione di Viterbo, ove da circa un anno il giovane professionista operava presso il reparto di urologia dell’ospedale Belcolle.

Il ritrovamento di due siringhe, una in bagno e l’altra gettata nella pattumiera della cucina rese fin da subito plausibile che la possibile causa della morte fosse da imputare all’assunzione di droga da parte di Attilio così le indagini della procura di Viterbo e della locale squadra mobile, al tempo guidata dal dottor Salvatore Gava già indagato e successivamente condannato per falso ideologico con abuso delle funzioni in relazioni agli accadimenti del G8 di Genova furono mirate a provare e documentare l’esistenza di rapporti tra il medico ed una donna romana con precedenti di droga, tale Monica Mileti che Attilio aveva di fatto incontrato il pomeriggio del 10 febbraio. La signora Mileti non fu nemmeno iscritta nel registro degli indagati. Ma questa non è l’unica anomalia perché le indagini come viene evidenziato nella relazione presentata da Rosy Bindi alla Commissione nella seduta del 21 febbraio 2018 sono state sommarie, caratterizzate da una certa intempestività, da omissioni inqualificabili per quantità e qualità, a cui si aggiungono pure le negligenze compiute negli accertamenti medico-legali dai professionisti che se ne sono resi responsabili, aggravate dal fatto che la locale procura della Repubblica li abbia fiduciariamente scelti e non abbia mai contestato nulla rispetto il loro gravemente inappropriato operato.

Attilio Manca è sicuramente deceduto a seguito di due iniezioni di eroina praticate al polso sinistro e nell’incavo del gomito sinistro. Ma come può riuscire un mancino puro nell’impresa? Altro fatto strano: nelle siringhe non ci sono impronte: è dunque plausibile che abbia indossato i guanti per praticarsi le iniezioni e che fine hanno fatto dal momento che in casa non sono stati rinvenuti? Soprattutto nell’abitazione non è stato neanche ritrovato il materiale necessario per la liquefazione dell’eroina quindi si dovrebbe presumere che Attilio fosse in compagnia di una persona che ha preparato le siringhe e ha poi effettuato le iniezioni e a tal proposito dobbiamo escludere la presenza della signora Monica Mileti che non si recò a Viterbo nel febbraio del 2004. Quindi un’altra persona chiuse la porta dell’abitazione come fu riportato dalla vicina in un orario compatibile con la morte del medico.

Tutti i colleghi di Attilio ascoltati dagli inquirenti hanno unanimemente asserito che per Attilio mancino puro fosse pressoché impossibile usare la mano destra per qualsiasi azione. Così Massimo Fattorini collega e amico, Simone Maurelli, Fabio Riccardi, Loredana Mandoloni, Giuseppe Panini e Maurizio Orlando Candidi, eppure la menzogna del presunto ambidestrismo di Attilio, asserita per la prima volta da personaggi barcellonesi coinvolti nelle indagini sulla morte del medico e quindi aventi interesse a depistare le indagini è stata raccolta persino dal GIP Salvatore Fanti il quale nonostante le deposizioni dei colleghi asserì nel provvedimento di archiviazione che Attilio Manca dovesse essere ambidestro perché esperto nella pratica chirurgica della laparascopia.

Un’altra menzogna volta a screditare l’immagine del professionista stimato e ben voluto da tutti riguarda la sua presunta dipendenza dall’eroina. Nessuno dei suoi contatti quotidiani ha mai notato fori nelle braccia e/o comportamenti riconducibili a crisi d’astinenza. Diversamente gli amici d’infanzia barcellonesi e suo cugino Ugo Manca hanno dichiarato che il medico fosse un consumatore abituale di eroina. Uno di loro Lelio Cappolino, imputato di falsa testimonianza a Messina in relazione all’omicidio del giornalista barcellonese Beppe Alfano, ha fornito due versioni antitetiche. Dapprima ha testimoniato l’assoluta estraneità del Manca al mondo della tossicodipendenza, asserendo come Attilio disprezzasse la droga, per poi fornire una versione totalmente diversa allorché Ugo Manca venne indagato, improvvisamente l’urologo deceduto fu dipinto come un costante assuntore di eroina. Lo stesso Ugo Manca parlò del cugino definendolo “il drogato”, peccato però che intraprese un viaggio di oltre 1000 km dalla Sicilia fino Viterbo per farsi operare da quel suo parente assiduo consumatore di eroina (?). Senza contare che l’unica impronta rinvenuta in casa di Attilio fu la sua, il suo comportamento sui generis dopo la morte, quando si presentò a casa del cugino e chiese alle autorità di poter entrare adducendo la scusa che doveva prendere gli abiti per il funerale e le circostanze tramite le quali i familiari appresero dell’avvenuto decesso del loro caro.

La morte di Attilio venne comunicata da Gaetano Manca, padre di Ugo al fratello di Attilio, Gianluca Manca verso l’ora di pranzo del 12 febbraio 2004. Lo zio informò immediatamente del ritrovamento delle due siringhe nell’appartamento di Grotticella asserendo che la comunicazione gli era pervenuta dall’anestesista, collega di Attilio, tale Giuseppina Genovese. Il figlio di Gaetano, Ugo cugino del deceduto fornisce un’altra versione: hanno ricevuto la comunicazione dal primario dell’ospedale Belcolle di Viterbo, Antonio Rizzotto. Altra “stranezza”: Gaetano Manca comunica alla famiglia che erano già stati acquistati dei biglietti aerei a nome di Gino Manca, Gianluca Manca e Ugo Manca ma non a nome della mamma Angela. La famiglia di Attilio ovviamente si oppose e alla fine partirono i genitori col fratello della signora Angela e suo figlio Gianluca.

Gli accertamenti medico-legali furono operati dalla dottoressa Ranalletta, moglie del primario del reparto di urologia dell’ospedale viterbese, professore Antonio Rizzotto. La procura scelse la dottoressa Ranalletta che tra l’altro conosceva personalmente il defunto, quale consulente nel momento che il marito era già stato sentito come testimone dagli inquirenti. Scelta quanto mai inopportuna e rivelatesi scellerata dal momento che proprio a causa dell’operato negligente del suddetto medico non è stato possibile stabilire con sicurezza l’orario della morte del Manca. Fu nominato in ausilio della dottoressa il chimico-tossicologo, dottor Fabio Centini il quale decise in piena autonomia, senza averne ricevuto ufficialmente l’incarico di effettuare l’esame tricologico su un capello di Attilio ma non fornì mai né la data né le modalità di espletamento del test e non ne diede notizia al legale della famiglia, precludendogli di fatto la possibilità di nominare un secondo consulente. Il Centini oltre ad autoassegnarsi l’esame tricologico fatto di per sé grave dal momento che il test implica la distruzione del reperto analizzato, riferì come l’esito evidenziasse il pregresso uso di eroina del Manca. Peccato che quando l’esame tricologico venga effettuato con modalità idonee permetta anche di datare la pregressa assunzione. Tutte queste anomalie sembrano testimoniare l’urgenza di ordire una ricostruzione ove palesemente, a priori si era già deciso e fin dall’inizio di incasellare la morte di Attilio Manca come il suicidio di un eroinomane che oltre le due endovena aveva anche assunto un flacone e mezzo di Tranquirit, un potente sedativo contenente benzodiazepina, sostanza che ha avuto un ruolo determinante nel provocarne il decesso.

Sia le frequentazioni di Ugo Manca che le rivelazioni dei collaboratori di giustizia ci portano a pensare ragionevolmente che la morte di Attilio non si possa annoverare tra i casi di suicidio di un tossicodipendente o comunque un caso di morte accidentale causata da una dose errata di eroina ma piuttosto rappresenti un acclarato caso di omicidio di stampo mafioso.

A tal proposito ricordiamo come una decina di giorni prima di morire Attilio avesse chiesto ai genitori informazioni su Angelo Porcino, sconosciuto a questi ma ben noto alle cronache giudiziarie come mafioso dai legami acclarati con i vertici di Cosa Nostra barcellonese quali Giuseppe Gullotti condannato per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano, e Rosario Pio Cattafi. Attilio oltre a chiedere informazioni informò i genitori che suo cugino Ugo lo aveva avvisato dell’arrivo a Viterbo di Angelo Porcino per un non precisato consulto. Dal riscontro dei tabulati telefonici risulta che il Porcino e il Manca avessero una rete comune di contatti con utenze situate in Svizzera e in Francia e che come fu immediatamente riferito agli inquirenti dal fratello di Attilio, il giorno successivo alla sua morte, il cugino Ugo fosse al telefono con Angelo Porcino. Si può quindi pensare che il tentativo di intrufolarsi nell’appartamento di Attilio nonostante i sigilli fosse concertato in accordo con il Porcino.

In questi ultimi anni alcuni collaboratori di giustizia hanno testimoniato come il medico sia stato vittima di un omicidio di mafia. Il primo pentito fu il casalese Giuseppe Setola il quale riferì ai magistrati che il boss barcellonese Giuseppe Gullotti gli raccontò che Attilio fu assassinato dalla mafia in seguito al suo coinvolgimento nelle cure dell’allora latitante Provenzano. Seguì il bagherese Stefano Lo Verso e la deposizione del collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico, leader del gruppo di sicari della famiglia barcellonese di cosa nostra. Fonte attendibile nella misura in cui ha confessato decine di omicidi in cui le autorità giudiziarie brancolavano nel buio e rivelato i dettagli di molti altri sconosciuti agli inquirenti. Le sue dichiarazioni hanno sempre avuto riscontro e hanno rappresentato le fondamenta delle ordinanze di custodia cautelare denominate Gotha 6 e Gotha 7 emesse dal GIP di Messina, per pluri omicidi , associazione mafiosa, estorsioni ed altro. D’Amico ha deposto pure nel processo sulla trattativa Stato-mafia davanti alla corte di Assise di Palermo. Carmelo D’Amico sentito dalla commissione antimafia di Messina sul conto di Rosario Pio Cattafi ha dichiarato che Attilio Manca è stato assassinato dalla mafia dopo che per interessamento di Cattafi e di un generale legato al circolo barcellonese Corda Fratres era stato coinvolto nelle cure del latitante Bernardo Provenzano. In seguito l’urologo era stato tolto di mezzo con la messinscena orchestrata ad arte della morte per overdose da un killer operante per conto dei servizi segreti deviati, il mostro calabrese. Antonino Lo Giudice, altro pentito ha identificato l’uomo dall’aspetto mostruoso nell’ex poliziotto Giovanni Aiello, testimoniando che fu proprio l’Aiello a confidargli che si era occupato oltre che di altre esecuzioni anche dell’omicidio dell’urologo Attilio Manca su incarico dell’avvocato Potaffio, identificabile in Rosario Pio Cataffi.

Le ultime ore di Attilio.

Nelle indagini fin’ora svolte vi è una grande lacuna: nulla si sa circa le ultime 24 ore trascorse in vita da Attilio. Di certo sappiamo che il 10 febbraio è stato a pranzo dall’amica Loredana Mandoloni che ha riferito della telefonata affettuosa effettuata dal medico ai genitori, appuntamento quotidiano e della telefonata ricevuta dall’amico di infanzia Salvatore Fugazzotto di cui ha prontamente informato il fratello Gianluca Manca in quanto Attilio poi apparve turbato e in tono seccato le confidò di dover incontrare a Roma persone che non aveva piacere di vedere. Poco dopo come la Mandoloni riferì agli inquirenti Attilio salì sulla sua auto e si diresse verso Roma.

Dopo aver superato un tratto rilevante di strada sulla Roma-Viterbo, all’altezza di Ronciglione, Attilio telefona alla Mileti, quindi è plausibile dedurre che la sua decisione di raggiungere la capitale fosse estranea alla possibilità di incontrare la donna, d’altra parte va rilevato che probabilmente la signora gli fu presentata da Guido Ginebri, altra persona gravitante intorno Ugo Manca e quindi riconducibile all’ambiente barcellonese. A questo punto il mistero si infittisce perché Attilio che considerava l’Urbe la sua seconda casa e in effetti vi abitava da più di 10 anni telefona per ben due volte in ospedale chiedendo indicazioni stradali ad un infermiera e ad un medico suo collega, entrambi non originari di Roma e addirittura pare che domandò che gli fosse indicato il percorso per piazza del Popolo. Non furono forse questi i tentativi di una persona che temendo per la propria incolumità cerca di lasciare segni evidenti dei propri spostamenti? Tanto più che in un’altra situazione sarebbe stato più naturale domandare indicazioni stradali ad un passante.

L’ultima telefonata di Attilio alla madre Angela

La mattina dell’11 febbraio qualche ora prima di essere assassinato Attilio raggiunge la mamma al telefono e gli fa una richiesta strana data la stagione invernale perché le chiede di mettere apposto e fare controllare la moto che era parcheggiata nella loro casa di villeggiatura di Tonnarella, una contrada messinese situata nel mezzo di due comuni (Terme Vigliatore e Furnari), in provincia di Messina. Dopo la morte di Attilio i genitori scoprirono che la moto era perfettamente funzionante e allora quale motivo poteva spingere il loro figliolo a fare tale richiesta? Non è forse il tentativo di comunicare in codice una verità ritenuta pericolosa?

Questa ipotesi sembra trovare il riscontro in una successiva intercettazione ambientale del 13 febbraio 2007 confluita nell’operazione antimafia di Messina denominata Vivaio. In auto ci sono Vincenza Bisognano, sorella del boss barcellonese Carmelo Bisognano oggi collaboratore di giustizia, il suo convivente Sebastiano Genovese e una coppia di amici. I quattro parlano della tragica storia del medico collegandola alla presenza di Provenzano a Barcellona Pozzo di Gotto. Ad un certo punto si sente Massimo Biondo affermare che “il ragioniere” si nascondesse nella cittadina messinese e affermare: “Però sinceramente, stu figghiolu era a Roma a cu ci avia a dari fastidio? (questo ragazzo era a Roma, a chi doveva dare fastidio?)”. E Vincenza Bisognano incalza:” Perché lo aveva riconosciuto”. Biondo in risposta chiosa: “Lo sanno pure le panchine del parco che Provenzano era latitante a Portorosa….Cioè lo sanno tutti”. Portorosa appartiene al territorio del comune di Fornari, tra il golfo di Milazzo e Tindari ad una manciata di km da Barcellona Pozzo di Gotto ma soprattutto vicinissima a Tonnarella la medesima contrada dove i Manca possedevano la loro residenza per le vacanze a cui fece riferimento Attilio nell’ultima sua conversazione con mamma Angela. Per dovere di cronaca ricordiamo come tale intercettazione ambientale abbia costituito una parte del materiale presentato in opposizione alla richiesta di archiviazione della procura di Viterbo la quale ha omesso di trasmettere gli atti alla direzione distrettuale antimafia di Roma.

Annamaria Cecchini