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I racconti del Blue Avana – (18) Non si spara sul tassista

La “Concessionari di Automobili Pubbliche – Società Cooperativa a Responsabilità limitata“, cioè la società che raggruppa buona parte dei tassisti genovesi, ha compiuto nel 2013 i cento anni di attività. Questi, che pubblicheremo a puntate, seguendo la sequenza dei capitoli del libro Blue Avana. 100 anni di taxi a Genova di Pier Guido Quartero, pubblicato con l’editore Liberodiscrivere nel 2013, sono gli episodi più curiosi e quelli più significativi narratici dai tassisti genovesi, in attività o in pensione. Dalla calda vita della Via Pré degli anni ’50 alle corse in ospedale per salvare vite umane, dagli anni di piombo ai clienti strambi, taccagni o fin troppo generosi, dai personaggi del calcio e dello spettacolo alle lotte sindacali. Il tutto narrato attraverso le chiacchiere di una combriccola di amiconi, creati ad arte dall’autore, che perdono un po’ del loro tempo al Blue Avana: un locale come non ce ne sono più…

Non si spara sul tassista (Eventi, G8 e altri disastri)

Pier guido Quartero

Effettivamente me ne ero dimenticato, ma rimedio subito. Non ve lo avevo detto, ma l’altro giorno, alla festa di compleanno di Paolo, alla fine è arrivato anche Valentino, quello che fa il sindacalista e che, da come mi ha parlato l’altra volta, quando l’ho conosciuto al Blue Avana, potrebbe anche appartenere alla tipologia, temo in via di estinzione, di quelli che lo fanno perché ci credono.

Ora, io non mi ricordo bene come sia venuto l’argomento, e forse era perché Valentino, che, essendo un sindacalista, quando c’è l’occasione deve sempre fare un discorso, aveva celebrato il compleanno di Paolo e aveva usato l’espressione EVENTO, e allora Paolo si era schermito e aveva detto che non si deve dare troppa importanza alle cose e, insomma, ha cominciato col dire che gli eventi sono un’altra cosa, come le Colombiane e il G8 e il Giubileo, e allora si sono messi tutti a parlare del Giubileo dei tassisti, che poi era la presenza organizzata dei tassisti a Roma in occasione del Giubileo del 2000 e, siccome uno o due di loro erano andati giù, hanno cominciato a prendersi in giro.

– Devi sapere – mi ha raccontato Aldo – che, per quell’evento, era prevista una massiccia partecipazione da tutta Italia: dovevano esserci diverse migliaia di colleghi, anche tenuto conto che solo i tassisti romani sono seimila, e anche da Genova è partito un pullman con una trentina di noi. Giù a Roma, per la serata precedente il momento celebrativo, ogni gruppo si è organizzato come voleva, e c’era chi stava in albergo, chi faceva preparazione spirituale, e qualcuno andava anche a fare penitenza frustandosi, e c’era chi coglieva l’occasione per distrarsi un po’. Infatti, i nostri sono andati in una discoteca a Testaccio, dove hanno fatto le ore piccole e il giorno dopo erano tutti ridotti come degli stracci bagnati. Hai capito l’afflato religioso?!

– Complimenti – gli ho risposto io, esprimendo una solidarietà che ognuno avrebbe potuto interpretare a modo suo. Poi, visto che c’ero, ho pensato di provare a vedere se, dopo la chiacchierata dell’altra volta, che era stata piuttosto istruttiva, aveva ancora qualcosa di interessante da raccontarmi, e gli ho chiesto se lui aveva partecipato ai grandi eventi tenutisi a Genova negli ultimi anni. E naturalmente lui aveva partecipato, eccome se aveva partecipato, e io gli ho versato un po’ dello spumante che era rimasto dal brindisi e me ne sono versato un po’ anche a me, anche se ora era un po’ caldo, ma insomma non si può avere tutto nella vita e mi sono messo comodo e lui ha attaccato la prima, la seconda e la terza e la quarta e poi via in quinta che era un piacere.

– Senza prenderla troppo alla lontana – mi ha detto – possiamo parlare dal 2001, che è un momento clou. Perché dopo c’è stato anche il 2004, anno in cui Genova è stata Capitale Europea della Cultura, e probabilmente è servito a sistemare un po’ di cose e un po’ di movimento l’ha fatto, ma non mi sembra che abbia prodotto uno scatto complessivo del sistema cittadino. Sul 2001, invece, c’è molto di più da dire. Quell’anno abbiamo avuto, subito a ridosso del Salone Nautico, il raduno nazionale degli Alpini. Ragazzi formidabili, quelli. Simpatici e spendaccioni. Poi, quando scendevano dal taxi, era d’obbligo un bel sorso di grappa, e per fortuna che a quei tempi non c’erano ancora i controlli di oggi e la patente a punti, se no era un disastro. Tra l’altro, anche tipi piuttosto spicci: ricordo un gruppetto di bergamaschi che hanno acciuffato uno scippatore e gli hanno dato una bella scrollatina e poi lo hanno portato in Questura. Belli tosti per davvero. Ma il 2001 è stato soprattutto l’anno del G8. Non voglio neanche parlare dei vantaggi o dei danni che la città può aver avuto in quell’occasione, perché quando ci va di mezzo una vita il conto è in perdita, per definizione, ma credo che per te possa essere interessante il modo in cui un operatore di strada, come me, che svolge una funzione di servizio pubblico, possa aver vissuto quei giorni.

In effetti, non ci avevo mai pensato. Sapevo che, in occasione del G8, anche su indicazione delle Autorità, gran parte degli esercizi di strada avevano chiuso le serrande e che, malgrado questo, c’erano stati danneggiamenti anche pesanti in alcune zone, come la Foce, ma non mi ero mai posto la domanda su cosa avessero fatto i taxisti, che in qualche modo dovevano circolare in città, in mezzo a tutto quel casino. Questo è il racconto di Valentino, e forse interessa anche a voi.

– Bisogna dire che una parte di noi non se l’era sentita, di affrontare quella situazione: il tam tam dei mezzi di comunicazione diceva che ci aspettavano giorni pesanti e, alla fine, giorni pesanti furono: un disastro annunciato. Eravamo comunque rimasti in numero adeguato a coprire le esigenze che potevano determinarsi, anche con l’aiuto fantastico che ci diedero in quei giorni le ragazze del centralino del servizio radiotaxi. Queste ragazze, di cui non ti faccio i nomi, ma che hanno tutta la riconoscenza della categoria, e meriterebbero di averla da Genova intera, se ne stettero per 18 ore chiuse in ufficio, nei momenti più caldi, bivaccando e dandosi il turno per garantirci il funzionamento del sistema di comunicazione, che, come puoi immaginare, in quei momenti era per noi di importanza vitale e oltre a tutto era in difficoltà a causa delle frequenze radio occupate dai militari. Io, la sera precedente i grandi scontri in cui ci fu il morto, ero in Via Roccatagliata Ceccardi. Quando ho visto le inferriate e tutte quelle protezioni in cemento che stavano montando, sono rimasto basito: potevo anche capire i problemi e le preoccupazioni, ma mi veniva in mente il Muro di Berlino… Poi, il giorno dopo, è stato l’inferno che ti puoi immaginare. Noi carichiamo abitualmente persone di ogni risma, uomini della legge e delinquenti, senza chiedere la carta di identità, e anche in quei giorni valeva sempre quella regola. Certo che a me sono capitati personaggi, dell’una e dell’altra sponda, che davano la netta impressione di essere fuori di testa. Gli spostamenti si potevano fare solo arrampicandosi in collina e seguendo, nei limiti in cui ci sono, le vie di crinale. Mi è capitato anche di caricare dei giornalisti che volevano a tutti i costi raggiungere l’Ospedale di San Martino, per vedere se c’erano feriti. Quando mi sono trovato all’altezza della casa dello studente (che, a proposito, i suoi bei ricordi ce l’ha anche lei), ho visto arrivare giù da Corso Europa un specie di orda con gente abbigliata in tutti i modi, compresi i famosi Black Blocks. Avevano bandiere, bastoni, tamburi… facevano impressione. Io ho girato subito lì, infilandomi contromano e in qualche modo mi sono tirato fuori. A parte questo, devo dire, per onore di verità, che nessuno di noi ha avuto danni, in quei giorni, tranne uno la cui auto, in Via Palestro, è stata danneggiata dal fuoco appiccato alle due macchine parcheggiate ai suoi lati.

– Tutto sommato, quindi, si può dire che vi è andata piuttosto bene?

– Te l’ho detto prima. Noi carichiamo chiunque e diamo un servizio. Non siamo diversi dai portalettere, che consegnano la posta a prescindere da quello che c’è scritto, né dagli operatori sanitari, che soccorrono chiunque sta male, anche in guerra, a prescindere dal colore della divisa o anche dall’assenza di divisa. E anche gli avvocati ci sono sia per chi ha ragione che per chi ha torto. Non si spara sulla Croce Rossa, no? E perfino nel West, dove vigeva solo la legge del più forte, il principio era che non si spara sul pianista… Ecco.

– Capisco – gli ho detto io, e poi, vedendo che non accennava ad alzarsi e quindi era ancora disponibile per due chiacchiere – Immagino che, al di là dei disastri prodotti dal genio dell’uomo, abbiate avuto altre esperienze avventurose, ad esempio in occasione delle alluvioni.

Sulle prime non mi è parso che lui abbia trovato l’argomento particolarmente stimolante, ma poi qualcosa gli è venuto in mente:

– Mah, sai, sicuro che qualcosa di fuori dell’ordinario ti capita, ma anche lì ce la siamo sempre cavata tutti abbastanza bene. E’ capitato a qualcuno, con l’alluvione del ’70, di doversi arrampicare sul tetto della macchina. Ti ricordi, c’erano anche le foto della gente sul tetto degli autobus!? Ma se uno sa il mestiere e ha un po’ di buon senso è difficile che gli possa succedere qualcosa di irreparabile E però bisogna avercelo, il buon senso, e certe volte capita che qualcuno non ce l’abbia. Io a quei tempi ero alle prime armi, e mi era successo di aver caricato due signore a De Ferrari, che volevano andare in Albaro. Devo dire che erano proprio il peggior tipo di stereotipo di Albarino che si possa immaginare. Con il naso in su e tutto questo genere di cose, con tutta la simpatia per quelli di Albaro, che alla fine, di solito, non sono mica diversi dagli altri… Quando sono arrivato in fondo a Via XX Settembre ho visto l’onda che stava venendo giù e ho fatto retromarcia e poi inversione, anche se mi mettevo in senso vietato, e queste urlavano come ossesse che volevano andare a casa e ci ho quasi dovuto litigare. Erano del tipo che, se avessero avuto una macchina loro, provavano a passare e magari ci lasciavano la pelle. Invece, c’è stata una piccola avventura con un’altra alluvione: nel ’92, quando ci furono i morti alla foce dello Sturla, ricordi? Beh, devo dire che in quel caso l’intelligenza dei passeggeri fu determinante per risolvere la questione in modo positivo. Io, quella volta, avevo caricato una bambina al Gaslini, con la madre e un’altra signora, che credo che dovesse essere la zia. Venivo in qua e, all’altezza di Via Shelley, ecco che vedo arrivare l’acqua e me la trovo all’altezza della portiera. Lì, qualche pasticcio poteva anche succedere, ma per fortuna questa volta le passeggere, a differenza dell’episodio precedente, erano due tipi svegli. Infatti, senza neanche che glielo chiedessi, la madre della bimba si è messa lei al volante, mentre l’altra badava alla piccola, e io sono uscito fuori, a spingere, finché, un po’ per volta, siamo riusciti a portarci fuori dalla zona più a rischio..

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