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In punta di penna-Ciò che resta del Covid

-In punta di penna- Rubrica a cura di Antonello Rivano

Ciò che resta del Covid


Almeno sulla carta il 31 Marzo è finito in Italia lo stato di emergenza per la Pandemia da Covid-19.

Almeno sulla carta perché di fatto la pandemia è ancora in atto, anche se faremo finta che non è così, anche se metteremo in archivio, almeno per ora, i Green pass, le mascherine, i gel. Almeno sulla carta perché i contagi di fatto ci sono ancora, e tanti, i ricoveri anche, pochi ma ci sono, e cosi le terapie intensive, e i morti pure, più di 100 al giorno. Ma una volta che anche questo sarà terminato, speriamo presto, o perlomeno arginato, cosa ci resterà di questi due anni? Cosa avremo imparato? Forse nulla, ed è questo che più spaventa. Perché allora quei morti, le sofferenze, la fatica immane degli operatori sanitari, saranno state vane.

Almeno sulla carta il 31 Marzo è finito in Italia lo stato di emergenza per la Pandemia da Covid-19...ma cosa ci resta di questi due lunghi anni?

Chi scrive ha potuto toccare con mano cosa è stato il COVID, nella prima e seconda ondata, le più cruente. L’ho visto negli occhi di mia moglie: operatrice sanitaria in un piccolo ospedale trasformato, per l’emergenza, in centro Covid.  L’ho visto quando era in prima linea in corsia, bardata come se andasse in guerra, e guerra lo era davvero. L’ho visto il Covid quando lei ritornava a casa dai turni interminabili. L’ho visto quando si è a sua volta ammalata. L’ho visto nei suoi occhi mentre usciva di casa per essere ricoverata, questa volta sarebbe stata dall’altra parte della barricata, e non sapevamo ancora se ci saremmo potuti riabbracciare in questa vita.  L’ho vissuto sulla mia pelle, due giorni dopo, quando a mia volta mi sono ammalato… e isolato in casa attendevo sue notizie… mentre pure io iniziavo ad avere fame di ossigeno. Poi per me l’allarme è cessato, lo stesso giorno che mi informavano che forse lei sarebbe entrata in intensiva, dopo venti giorni di casco non era ancora migliorata.

L’ho visto il Covid, anche se non c’era più, anche se lei era finalmente “guarita”.  Quando è rientrata a casa su una sedia a rotelle… tanto era debole, e io ridotto ad ombra di me stesso… per la malattia e per la paura, per le notti insonni passate con accanto il cellulare, il termometro e il saturimetro.  La paura che i numeri sul saturimetro calassero e quelli sul termometro si alzassero troppo, paura di veder comparire sul cellulare il numero dell’ospedale dove era ricoverata mia moglie, lo stesso dove lei aveva accudito gli altri.

Ecco, mia moglie non è un’eroina, e neppure io sono un eroe, lo sapevamo che sarebbe potuto succedere, il suo lavoro comporta dei rischi, cosi come tanti altri lavori… solo che non eravamo preparati a quello, nessuno era preparato a quello che il Covid ha comportato. E in fondo siamo stati più fortunati dei centosessantamila (al 02/04/2002) che non ce l’hanno fatta. Lei è stata più fortunata dei suoi colleghi che sono “morti sul campo:tra gennaio 2020 e maggio 2021, almeno 115.500 decessi tra gli operatori sanitari e del care nel mondo. In Italia se ne stimano circa 4.000.

Ecco, noi non lo possiamo dimenticare, ma nessuno dovrebbe farlo. Torneremo, prima o poi, a riprenderci le nostre vite, ma dovremmo farlo in maniera più cosciente, capendone il valore. Se una cosa rimpiango di tutto quello che ci stiamo, forse, lasciando alle spalle: sono i canti dai balconi, i disegni con gli arcobaleni, le frasi di speranza e la promessa che ne saremmo usciti migliori, ne eravamo certi.

Eravamo cosi soli e indifesi…sbigottiti, giustamente terrorizzati, ma ci sentivamo uniti, solidali, pieni di buoni propositi: quanti ne abbiamo mantenuti? Quanti ne manterremo? Il rischio è che ciò che abbiamo vissuto diventi un ricordo cosi abituale da svanire via, scivolare tra le maglie del tempo, incapaci di trattenerlo e farne tesoro. E no! Non ne siamo usciti migliori.

Forse quel che resta del Covid, di questi due lunghi anni, è proprio la sensazione che non abbiamo imparato nulla. Che non abbiamo capito quanto sia importante un abbraccio e che di un aperitivo ne possiamo anche fare a meno ma del calore umano, della compassione e della reciproca assistenza no.

Certo, ci si abitua a tutto. Ci siamo abituati ai carri militari con i morti, le bare ammassate, le file interminabili di ambulanze, il personale medico che crollava dopo intere giornate di corsa per le corsie, mentre vedevano soffrire e morire gente in preda ad un male ancora sconosciuto, consce del fatto che quel male avrebbe potuto colpire anche loro.  

Ci si abitua alle guerre, alle bombe sui palazzi, ai morti per strada ed alle fosse comuni, ai profughi che non hanno più nulla.

CI si abitua a tutto il dolore… degli “altri”, dimenticando troppo spesso che gli “altri” in fondo siamo sempre “noi”!

Non ci sarà mai notte così lunga da impedire al nuovo sole di sorgere (dal film: Quel che resta del giorno)

n Punta di Penna, perché la nostra non è e non sarà mai una informazione urlata. Perché questa rubrica vuole essere come un venticello leggero, un PONENTINO, che vi sfiora appena e rinfresca il vostro senso critico. Senza la pretesa di dare risposte ma con lo scopo di fare riflettere e porre domande