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La Lanterna 04/04/2022

Di Marco Maltesu
La realtà è che anche questa volta è una forte delusione…

Anche dall’esperienza della guerra all’interno della nostra Europa non ne usciremo migliorati.

La pandemia ci ha inizialmente illuso con una sensazione di avvicinamento fra le persone, di condivisione malgrado la distanza forzata, anche la guerra vicina purtroppo si sta rivelando simile. Nonostante la visione della sofferenza sui visi dei nostri fratelli ucraini, le macerie in cui sono trasformate le città, la solidarietà che si sta muovendo in tutta Europa e nel mondo, alcuni  non riescono a sbloccare la fame di condivisione, la necessità di mettere sé stessi al centro dei pensieri piuttosto che la collettività.

Siamo più precisi, in realtà esiste tutto un mondo che muove la solidarietà, che è partito con slancio per dare supporto e calore oltre che protezione ed assistenza alla popolazione ucraina ma allo stesso tempo, come già è successo con il problema della pandemia, piano piano si sta ripetendo nella forma e nelle dimensioni, nonché anche nella violenza verbale, quello che si era già verificato sulla pandemia. 

Sui social è un fiorire di tesi particolari, di benaltrismo, una produzione articolata di argomentazioni giustificative per l’attacco della Russia di Putin, come se possano mai esistere delle giustificazioni per l’atto di aggressione di una nazione e per il genocidio che si sta consumando ai danni del suo popolo.

Eppure ormai è chiaro, l’unica possibilità che abbiamo per costruire il futuro, è fare corpo unico per superare le difficoltà che il mondo attuale ci presenta, questa, ad esempio, è diventata per l’Ucraina l’arma segreta che neppure una nazione potente dal punto di vista militare come la Russia, riesce a contrastare. Questo è l’esempio che ci viene dalla popolazione ucraina che grazie alla capacità di superare ogni differenza esistente all’interno della nazione, sta riuscendo in una impresa impensabile solo prima del 24 febbraio. 

In questo weekend ho avuto il piacere e la fortuna di essere invitato nel quartiere San Pietro, da molti a Genova chiamato  “Le Lavatrici”. Quello che in genere nelle città risulta essere un quartiere nato dall’edilizia residenziale pubblica. Un quartiere che nel passato è stato definito difficile, ma quale non lo sarebbe se improvvisamente prendessimo tante famiglie da altri contesti e le mettessimo a vivere insieme senza dotarli di servizi, con costruzioni fatte in modo che spesso risultano incomprensibili agli stessi progettisti e con, purtroppo spesso, l’utilizzazione di materiali non adeguati. Difficile riuscire a resistere alla combinazione di tutti questi elementi devastanti.

Quello che però mi preme in questo momento, che voglio dire, che ho respirato, che le persone mi hanno trasmesso, è qualcosa di diverso, qualche cosa che non si respira spesso, purtroppo, un senso di unità, di collaborazione, un senso di comunità, un senso di attaccamento al territorio che è davvero inusuale di questi tempi.

Ci saranno sicuramente altri modi ed altri momenti per entrare nel dettaglio di tutte le attività che vengono svolte in questo quartiere ma quello che intanto è importante comunicare è che questa comunità si è stretta intorno a se stessa ed ha iniziato a lavorare, in assenza di altre cose, dalla cosa più preziosa che esiste, le persone.

Persone che hanno creato associazioni e comitati, ovvero i posti di aggregazione e condivisione, lo strumento più potente che un singolo ed una comunità possano avere. La presenza di questi luoghi in cui poter incontrare, poter esprimere delle opinioni e potersi confrontare con gli altri, è diventato un punto di riferimento per tutti ed in particolare per i giovani e per gli anziani. Quello che è certo è che le persone in questo posto non si sentono sole come invece capita spesso nella nostra società.

L’unità è un’arma che nessuno può contrastare, è il carburante di cui si nutrono i miracoli.