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I racconti del Blue Avana – (3) Scudetti e siringhe

SCUDETTI E SIRINGHE

Al Blue Avana, Aldo, che è il titolare, ha attaccato al muro un manifesto gigantesco con la fotografia della squadra della Sampdoria, nell’anno in cui vinse lo scudetto, e cioè il 1991. Io sono tifoso della Fiorentina, anche perché così non devo discutere con nessuno e, se ne ho voglia, posso parlare di calcio con gli altri sen-za bisogno di litigare. Bisogna dire che la squadra blucerchiata di quell’anno era proprio una signora squadra. Sotto le figure dei giocatori, nel manifesto, qualcuno ci ha scritto i nomi a penna, a futura memoria.

Ci sono: Lanna, Vierchowood, Vialli, Pellegrini, Pari, Pagliuca, Nuciari, Mikahilicenko, Mannini, Mancini, Lombardo, Katanec, Invernizzi, Dossena, Cerezo, Branca e Bonetti. Poi c’è anche Bo-skov, l’allenatore, e il Presidente Mantovani. Ho fatto caso che qualcuno dei clienti abituali, ogni volta che ci passa davanti, gli dà sempre e comunque un’occhiata, come quelli che si fanno il segno della croce quando passano davanti alle chiese. Uno che fa così è il Pino, che ora, per quel che ne so, ha il taxi a Certosa ma abita qui dalle mie parti.

– Una domenica, che avevamo appena battuto la Juventus e ormai avevamo lo scudetto quasi in tasca, – mi ha raccontato il Pino, una volta che non era riuscito ad impossessarsi in tempo della Gazzet-ta dello Sport e così gli toccava di mangiarsi la focaccia col caffè senza il giornale davanti, e si vedeva che ci soffriva – me ne è suc-cessa una strana. Me la ricordo proprio per quella sensazione di euforia che avevo addosso, in un pomeriggio di primavera di quel-li col cielo tra l’azzurro e il grigio e la giornata che si allunga e tu te ne stai lì a ciondolare e in giro c’è poca gente, e io mi ero senti-to le partite alla radio e non stavo più nella pelle e stavo pensando di andare a De Ferrari per vedere se c’era qualche collega per commentare i risultati. Quell’anno lì, tra l’altro, il Genoa non era mica andato male, e così con quelli dell’altra sponda ci pessigavamo ben bene: loro ci morivano che noi prendevamo il primo scudetto della nostra storia, ma a noi ci giravano le balle che, proprio quell’anno lì, loro invece di rischiare di andare in Serie B, come hanno fatto quasi sempre, quando sono stati in A (meno che con Spinelli e con questo Preziosi che per un po’ li hanno fatti andare un po’ meglio), stavano correndo per le coppe europee; che poi l’anno dopo hanno anche battuto il Liverpool all’Anfield Road per due a zero. Insomma: stavo friggendo e pensavo di trovarmi qual-che collega per fare due chiacchiere, quando ti vedo arrivare uno da Via Roma.

– Un po’ di lavoro, finalmente…- gli ho detto io, al Pino, ma poi ho capito subito che avevo detto una belinata.

Il Pino infatti ha scosso la testa, pucciando una punta della focac-cia nella tazzina del caffè: – Un pö de travaggio un bello belìn. Stanni a sentї.

Io mi sono appoggiato con le braccia al tavolino e ci ho messo il mento sopra, tenendo gli occhi fissi su di lui, e lui mi ha racconta-to:

– Si vedeva subito che era uno strambo. Non tanto per i vestiti, che ormai la gente dopo il ‘68 si veste tutta a modo suo e non ti puoi più fidare delle apparenze: ti capitano signori in blue jeans e delinquenti col panciotto. Era il modo di muoversi, che era insie-me un po’ troppo sciolto e un po’ troppo a scatti, e poi il modo in cui teneva la testa indietro rispetto al resto del corpo, come se fos-se sempre sul punto di cadere all’indietro. Comunque mi è entrato in macchina e mi ha dato un indirizzo verso il porto, così io ho preso per Carignano per girare in Corso Aurelio Saffi. Mentre mi muovevo, sento che mi dice: “Mi hanno appena detto che ho l’AIDS”.

– E tu? – ho chiesto io, sempre tenendo la testa appoggiata ai go-miti, lì davanti a lui che si beveva il suo caffè mangiando la focac-cia.

– E mi son stæto sitto. Cöse ti voeivi che faxesse? Ho solo provato ad accelerare per finire presto la corsa e lavarmelo di torno.

– E poi?

– E poi, siamo passati da Via Corsica, che in quella stagione lì, alla domenica pomeriggio, non ci sono neanche quelli che portano i cani a pisciare, e lui mi ha puntato una siringa e mi ha detto: “Fermati e scendi dalla macchina”. Io però mi ero accorto che non c’era tutto e ho immaginato che stesse bluffando. Allora mi sono messo a parlare, mentre accostavo al marciapiede, e gli ho detto che era proprio una brutta giornata per me, perché adesso era ar-rivato lui, ma intanto avevo anche sentito i risultati e la Sampdoria aveva perso con la Juve.

– Ma non mi hai detto che aveva vinto?

– Sì, ma io ho giocato sull’elemento psicologico: se lui era genoa-no, gli avevo dato una buona notizia, e se era sandoriano avrebbe solidarizzato con me. Infatti era sandoriano e mi ha chiesto infor-mazioni sulla partita, e io prima gli ho raccontato un po’ di musse, ma alla fine gli ho detto che avevo scherzato e che invece avevamo vinto. Intanto, avevo preso le chiavi della macchina, che avevano un bel peso attaccato, così non me le dimenticavo da qualche par-te. E lui era così bello contento e rilassato che mi sono girato e gli ho cioccato un bel pugno in mezzo alla faccia. Allora sono sceso e gli ho aperto la porta. “Va ben che sei sandoriano, gli ho detto, e ti lascio andare, ma per piacere fai quietare la gente che lavora.” Lui è scappato e non ne ho più saputo niente. Ora lasciami stare che c’ho da fare.

In effetti, quello che si era appropriato della Gazzetta si era alzato per pagare il conto, e il Pino, muovendosi quasi da seduto, con i movimenti di un granchio e l’eleganza di un ballerino, aveva già cambiato tavolo, sprofondandosi nella lettura. Uscendo, ho fatto in tempo a sentire che chiamava Aldo: “Dàmme ancon un pitinìn de fugassa e un gotto d’aegua, ma fîto, che devo anä a travaggiä”

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