1

Le origini delle parole genovesi: “Ronfò”

L’ansia da anglismo sembra affliggere più che mai gli amanti della lingua italiana (e di altri idiomi mondiali) e sollecita le preoccupazioni di qualche linguista afflitto da mancanza d’idee e rigurgiti identitari: l’assedio che subisce la lingua di Dante, schiacciata dall’incombente minaccia di quella di Shakespeare e dall’incalzante risorgere (???) degli idiomi regionali è tra i cavalli di battaglia di un’attitudine postpuristica reazionaria le cui esternazioni sortiscono talvolta ad effetti involontariamente comici.

D’altronde, il purismo (quello serio) lamentava in altre epoche l'”infranciosamento” della toscana favella, non meno di quanto altrove ci si lamentasse, secoli fa, dell’eccesso di italianismi. Ma i fenomeni di prestito e l’influsso esercitato da una lingua su un’altra sono la normale conseguenza della nostra facoltà di comunicare, circostanza che implica, sempre e comunque, una salutare contaminazione: inutile strapparsi i capelli di fronte al fatto che si diffondano parole straniere se non si propaga una sana e corretta educazione al rispetto per la lingua, che è rispetto per se stessi, nei luoghi in cui l’eccesso di forestierismi è davvero immotivato. Anche il genovese, nel gioco del dare e dell’avere lessicale, ha all'”attivo” (se così vogliamo intenderlo) decine di voci liguri penetrate in altri idiomi, e al “passivo” una quantità non indifferente di forestierismi: logica conseguenza della sua proiezione internazionale.

Persino nel rapporto con l’inglese, abbiamo esportato terminologia marinara, nomenclatura peschereccia, parole esotiche transitate dalle nostre parti prima che sui nebbiosi moli londinesi, e assunto, non da ieri (il termine “nòrd” compare da noi già nella prima metà del Trecento), parecchie voci di ascendenza britannica. Tra queste vi è il caso interessante del termine “ronfò”, il vecchio forno in mattoni, a carbone o a legna, con camera metallica e in genere senza la canna per il fumo, che io ricordo benissimo in uso nella cucina di mia nonna. Non si tratta di una tecnologia specificamente ligure, e rappresenta anzi un’innovazione piuttosto recente: deve infatti il proprio nome a quello di Sir Benjamin Thompson, conte di Rumford, nato a Woburn (Massachussetts, USA) nel 1753. Diplomatico e militare, egli inventò a fine Settecento un tipo di fornelli che si diffusero soprattutto negli Stati Uniti: non a caso, in inglese d’America il termine “rumford” è documentato in questo significato già dai primi anni dell’Ottocento. In genovese, invece, la parola è attestata solo dal 1910 (Frisoni), e si può facilmente pensare che il termine, insieme al tipo di fornello, sia stato introdotto in Liguria dai naviganti che intrattenevano contatti coi paesi anglosassoni: del resto la voce è diffusa prevalentemente nei centri rivieraschi, e da qui si è irradiata anche in alcuni dialetti dell’area alto-tirrenica sottoposti a influsso ligure, come quello dell’isola di Capraia.

Non è da escludere che alla fortuna del termine abbia contribuito un accostamento di carattere fonosimbolico al verbo genovese “ronfâ” ‘russare’ (registrato nel 1465), associato al rumore delle pentole che borbottano sul fuoco.

fonte https://www.facebook.com/fiorenzo.toso

L’immagine è tratta dal “Dizionario domestico genovese-italiano” di padre Angelo Paganini (1851) e rappresenta una cucina genovese “pre-ronfò”.

Articoli Correlati: leggi tutti gli articoli già pubblicati della rubrica “E pòule/Le parole- L’origine della parole genovesi”